Cass. civ. Sez. V, Sent., 20-07-2012, n. 12626 Imposta reddito persone giuridiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo
Con avvisi in rettifica delle dichiarazioni dei redditi presentate da B.M. s.r.l. ai fini IRPEG ed ILOR per gli anni 1994 e 1995 venivano recuperati ad imponibile i costi indebitamente dedotti dalla società, per oltre cinquantacinque miliardi di lire, in quanto in parte relativi a fatture emesse dalla ditta XXX Fonderie di C.A e da B.V.s.r.l. per operazioni soggettivamente inesistenti ed in parte privi del requisito della inerenza.
Il ricorso della contribuente era accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Brescia.
Con sentenza 14.7.2006 n. 78 la CTR della Lombardia sez. staccata di Brescia ha accolto l’appello principale proposto dall’Ufficio di Gardone Val Trompia della Agenzia delle Entrate nonchè, parzialmente, l’appello incidentale proposto da B.M. s.r.l., ed ha rideterminato il reddito imponibile della società "in misura pari al 10% dei ricavi dichiarati, con conseguente proporzionale riduzione nel minimo delle sanzioni pecuniarie irrogate.
I Giudici territoriali rilevavano:
– quanto alla fattura emessa dalla ditta XXX Fonderie di C. A. che dal PVC della Guardia di Finanza in data 17.6.1999 n. 35 risultava che detta impresa non era operativa, non disponendo di mezzi, strutture e personale per svolgere attività di impresa:
conseguentementc doveva ritenersi fondata la presunzione che la stessa ditta agisse come mera "cartiera" nella triangolazione con l’acquirente ed il fornitore, emettendo fatture alle quali non corrispondeva alcuna reale operazione commerciale con la ditta acquirente (nella specie la B.M.), essendo quest’ultima cessionaria di beni effettivamente commercializzati da altro soggetto (reale fornitore);
– quanto alla fattura emessa da B.V.s.r.l. la indeducibilità del costo per non inerenza, derivava dalla impossibilità di riferire il costo all’attività d’impresa della società ricorrente in quanto dalla fattura non risultava la indicazione del beneficiario;
– gli importi recuperati ad imponibile con gli avvisi dovevano essere tuttavia ridotti (nella misura del 10% considerato il tipo di attività svolta dalla contribuente) in quanto in mancanza di indicazione dei costi relativi ai ricavi dichiarati, occorreva, comunque procedere "ad ima ricostruzione dei costi con incidenza percentualizzata degli stessi".
Ricorre a società contribuente per la cassazione di detta sentenza deducendo due motivi. Resiste con controricorso la Agenzia delle Entrate.
Motivi della decisione
1. La eccezione di inammissibilità del ricorso, formulata dalla Agenzia delle Entrate in relazione alla incompatibilità logica delle fattispecie tipiche riconducibili al vizio motivazionale (omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione), non può essere condivisa, in quanto se non vi è dubbio che la argomentazione a supporto della decisione non può al tempo stesso difettare ed esistere (sia pure inficiata da illogicità), come peraltro rilevato nei precedenti di questa Corte (cfr. Corte cass. 2^ sez. 26.1.2004 n. 1317; id. 3^ sez. 14.6.2007 n. 13954; id. 1 sez. 1.4.201 n. 7575), tuttavia la erronea indicazione cumulativa delle fattispecie (omissione; insufficienza) contenuta in rubrica, non può ritenersi determinante ai fini della inammissibilità dei motivi di ricorso laddove dalla lettura della esposizione degli argomenti in fatto e diritto svolti a sostegno del motivo rimanga definitivamente chiarito ed individuato il paradiga di legittimità alla stregua del quale deve essere effettuato il sindacato della Corte, nella specie incentrato, in relazione ad entrambi i motivi, sulla insufficiente valutazione del complessivo materiale probatorio acquisito al giudizio di merito.
2. Con il primo motivo si censura la sentenza per vizio di omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo de giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
La ricorrente ha rilevato come i Giudici di appello abbiano del tutto omesso di considerare che la sentenza penale del Tribunale Ordinario di Brescia in data 16.2.1999 n. 84 (prodotta in allegato al ricorso inlroduttivo proposto avanti la CTP) aveva assolto il titolare della XXX Fonderie dai reati ascrittigli in base alla compiuta disamina delle prove testimoniali assunte in dibattimento, ritenendo convincenti le dichiarazioni -a comprova della effettività delle operazioni commerciali- rese dai titolari delle ditte che acquistavano i prodotti i quali avevano confermato di aver ricevuto le quantità di metallo prodotte o commercializzate dalla XXX Fonderie indicate nelle bolle di consegna e nelle fatture. I Giudici si sarebbero limitati ad affermare che la società non aveva fornito alcuna prova idonea a smentire gli elementi indiziari dai quali risultava la inoperatività della XXX Fonderie, senza tuttavia esplicare le ragioni della prevalenza degli indizi posti a fondamento del "decisum" sulle altre risultanze probatorie.
Il motivo è inammissibile ex art. 366 bis c.p.c., nonchè per difetto di autosufficienza.
Il motivo, soggetto alla disciplina dell’art. 366 bis c.p.c. introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006 n. 40, art. 6 (che trova applicazione ai ricorsi proposti avverso sentenze e provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2.3.2006 data di entrata in vigore dello stesso decreto e fino al 4.7.2009, data dalla quale opera la successiva abrogazione disposta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d)), non è corredato della "chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione di assume omessa o contraddittorietà ovvero le ragioni per la quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione" (art. 366 bis c.p.c., seconda parte: cfr. Corte cass. SU 1.10.2007 n. 20603, id. 3^ sez. 7.4.2008 n. 8897 secondo cui tale indicazione deve concretare un "momento di sintesi" che costituisce un "quid pluris" distinto dalla esposizione del motivo. Tale concisa formulazione del fatto controverso, come è dato evincere dall’art. 366 bis c.p.c., non si identifica con il requisito di specificità del motivo ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, ma assume una propria autonoma funzione volta a consentire la immediata rilcvabilità del nesso eziologico tra la lacuna o incongruenza logica denunciata ed il fatto ritenuto determinante – ove correttamene valutato – ai fini della decisione favorevole al ricorrente: cfr. Corte cass. 3^ sez. 7.4.2008 n. 8877; id. 3^ sez. n. 16567/2008; id. SU n. 11652/2008), incorrendo nella conseguente sanzione della inammissibilità.
Il motivo, peraltro, è anche carente in ordine al requisito di autosufficienza. In sede di legittimità è precluso, infatti, non solo il riesame delle prove la cui valutazione sia stata fatta in modo difforme da quella prospettata dal ricorrente, ma altresì l’accertamento di un eventuale travisamento delle prove stesse, essendo il controllo possibile solo se tale vizio logico si traduca in una insufficiente motivazione: la valutazione delle prove da parte del giudice di merito sfugge al sindacato della suprema Corte se dalla motivazione della sentenza risulti che detto giudice abbia desunto il proprio convincimento dall’esame di tutte le risultanze istruttorie ed abbia ottemperato al dovere di spiegare le ragioni che lo hanno indotto a preferire l’una anzichè l’altra delle versioni prospettate dalle parti (massima consolidala: Corte cass. 3^ sez. 11.2.1969 n 478; id. 5^ sez. 12.8.2004 n. 15675; id. sez. lav.
11.7.2007 n. 15489; id. sez. lav. 2.2.2007 n. 2272; id. sez. lav.
23.12.2009 n. 27162). Il motivo di ricorso con il quale viene dedotto il vizio motivazionale deve, pertanto, evidenziare, per assolvere al requisito di utosufficienza del ricorso, il carattere "decisivo" del fatto omesso od inesattamente apprezzato dal giudice di merito. Al proposito occorre considerare che la nozione di Spunto decisivo" della controversia ("fatto controverso e decisivo" nel testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sostituito dall’art. 2, comma 1 D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), di cui al dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 sotto un primo aspetto si correla al "fatto" sulla cui ricostruzione il vizio di motivazione avrebbe inciso ed implica che il vizio deve avere inciso sulla ricostruzione di un fatto che ha determinato il giudice all’individuazione della disciplina giuridica applicabile alla fattispecie oggetto del giudizio di merito e, quindi, di un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo od estintivo del diritto.
Sotto un secondo aspetto, la nozione di "decisività" concerne non il fatto sulla cui ricostruzione il vizio stesso ha inciso, bensì la stessa idoneità del vizio denunciato, ove riconosciuto, a determinarne una diversa ricostruzione e, dunque, afferisce al nesso di casualità fra il vizio della motivazione e la decisione, essendo, peraltro, necessario che il vizio, una volta riconosciuto esistente, sia tale che, se non fosse stato compiuto, si sarebbe avuta una ricostruzione del fatto diversa da quella accolta dal giudice del merito e non già la sola possibilità o probabilità di essa.
Infatti, se il vizio di motivazione per omessa considerazione di punto decisivo fosse configurabile sol per il fatto che la circostanza di cui il giudice del merito ha omesso la considerazione, ove esaminata, avrebbe reso soltanto possibile o probabile una ricostruzione del fatto diversa da quella adottata dal giudice del merito, oppure se il vizio di motivazione per insufficienza o contraddittorietà fosse configurabile sol perchè su uno specifico fatto appaia esistente una motivazione logicamente insufficiente o contraddittoria, senza che rilevi se la decisione possa reggersi, in base al suo residuo argomentare, il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, n. 5, si risolverebbe nell’investire la Corte di Cassazione del controllo sic et sempliciter dell’iter logico della motivazione, del tutto svincolato dalla funzionalità rispetto ad un esito della ricostruzione del fatto idoneo a dare luogo ad una soluzione della controversia diversa da quella avutasi nella fase di merito (cfr. Corte cass. 3^ sez. 7/12/2004 n. 22979; id. 3^ sez. 5/08/2005 n. 16582; id. 3^ sez. 22/09/2006 n. 20636).
Ne consegue che "per poter configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base" (cfr. Corte cass. Sez. Lav. 26.5.2004 n. 10156; id. 3^ sez. 21/04/2006 n. 9368; id. 3^sez. 26/06/2007 n. 14752).
Orbene la parte ricorrente si è limitata soltanto a contrapporre alcune delle risultanze probatorie emerse nel procedimento penale a quelle poste dal Giudice di appello a fondamento della propria decisione, senza tuttavia spiegare le ragioni per cui l’impianto probatorio in ordine al quale il Giudice di merito ha fondato il proprio convincimento dovrebbe essere "con certezza" caducato e sostituito dagli altri elementi probatori, venendo pertanto a risolversi la censura nella inammissibile richiesta alla Corte di provvedere, non al sindacato sul discorso giustificativo della decisione, ma alla rinnovazione -in relazione alla soggettiva prospettazione de materiale istruttorio compiuta dal ricorrente- dell’esame, valutazione e selezione delle fonti di prova, attività riservata in via esclusiva al Giudice del merito in quanto attinente alla formazione del libero convincimento ex art. 116 c.p.c., comma 1.
3. Con il secondo motivo viene dedotto il vizio di omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
La società sostiene di avere richiesto fin dal ricorso in primo grado, in via subordinata, "la deduzione dei costi tutti indicati in bilancio, costi tutti riferiti a ricavi dichiarati". I Giudici territoriali sono incorsi nel lamentato vizio di legittimità, non avendo fornito alcuna logica giustificazione alla limitazione della deduzione dei costi, "sostenuti, documentati e regolarmene indicati in bilancio", soltanto nella misura del 10% dei ricavi dichiarati.
Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, oltre che per omessa formulazione del momento di sintesi ex art. 366 bis c.p.c..
A quanto è dato comprendere dalla parte espositiva del motivo, la società lamenta che i Giudici territoriali avrebbero immotivatamente disconosciuto la deducibilità di costi "ritualmente documentati ed iscritti in bilancio". Onde consentire a questa Corte di verifìcare la congruità e fondatezza della censura, la ricorrente avrebbe, pertanto, dovuto specificare -indicandoli in ricorso e trascrivendone il contenuto (non avendo accesso diretto la Corte agli atti e documenti de giudizio di merito, in relazione al tipo di vizi denunciati)- le prove documentali, ritualmente prodotte nei gradi di merito, dalle quali emergevano detti costi deducibili (dei quali peraltro neppure è stato specificato l’ammontare), evidenziando in tal modo la inadeguatezza dell’argomento logico posto dai Giudici di merito a fondamento della determinazione "forfetaria" dei costi (cfr.
sentenza CTR: "in presenza di dichiarazione di ricavi, senza una documentazione dei costi, occorre ricostruire tali costi con una incidenza percentualizzata degli stessi") rispetto alle voci di costo puntualmente risultanti dal contenuto dei documenti contabili acquisiti al giudizio (ctr. sull’onere di integrale trascrizione del documento: Corte cass. SU 24.9.2010 n. 20159; id. 6^ sez. ord. 30.7.2010 n. 17915; id. 3^ sez. 4.9.2008 n. 22303; id. 3^ sez. 31.5.2006 n. 12984; id. 1^ sez. 24.3.2006 n. 6679; id. sez. lav.
21.10.2003 n. 15751; id. sez. lav. 12.6.2002 n. 8388. Per quanto eoncerne l’onere di specificazione delle modalità di acquisizione processuale del documento: cfr. Corte cass. sez. lav. 7.2.2011 n. 2966; id. 1^ sez. 13.11.2009 n. 24178; id. 3^ sez. ord. 4.9.2008 n. 22303; id. 3^ sez. 25.5.2007 n. 12239).
Il motivo è altresì inammissibile in quanto non è corredato della "chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione di assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per la quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione" richiesta a pena di inammissibilità dall’art. 366 bis c.p.c., seconda parte, applicabile "ratione temporis".
4. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della società contribuente alla rifusione delle spese del presente giudizio che vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte:
– dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società contribuente alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 15.000,00 per onorari oltre le spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 dicembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2012

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