T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 17-01-2011, n. 69

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Il ricorrente impugna il provvedimento del 6. 6. 2003 con cui il Comune di Ostiano gli ordinava la demolizione di opere abusive consistenti nella realizzazione di un "fabbricato attualmente in disuso, di vecchia costruzione ed in cattivo stato di manutenzione, un tempo utilizzato presumibilmente come deposito attrezzi ed officina meccanica. L’edificio (…) è costituito da un corpo principale in muratura di circa 80 mq con altezza media di m. 3,80 e copertura in doppia falda in legno e manto di copertura in onduline di fibrocemento. Antistante la struttura in muratura insiste un porticato avente superficie di circa 61 mq con copertura in unica falda, anch’essa in fibrocemento. Sotto il portico e nell’area circostante il fabbricato sono ricoverati mezzi vari e rottami in stato di abbandono".

L’amministrazione aveva provveduto ad attivare il procedimento di sanzione per l’abuso edilizio in quanto allertata dal N.O.E. Carabinieri che aveva effettuato un sopralluogo nell’area.

Nel ricorso si impugna cumulativamente anche la nota del 2. 8. 2003 con cui, sulla richiesta di annullamento in autotutela del ricorrente, l’amministrazione confermava il provvedimento impugnato.

I motivi che sostengono il ricorso sono i seguenti:

1. il provvedimento sarebbe illegittimo per mancanza di comunicazione di avvio del procedimento,

2. il provvedimento sarebbe illegittimo per mancato accertamento dell’autore dell’abuso e della necessità di un titolo edilizio nel periodo storico in cui è stata realizzata l’opera,

3. il provvedimento sarebbe illegittimo perché è stata illegittimamente prospettata nel provvedimento la perdita di proprietà dell’area in caso di mancata demolizione nei termini,

4. il provvedimento sarebbe illegittimo per difetto di motivazione sul mancato superamento dell’affidamento per il lungo tempo decorso dalla data di commissione del fatto.

Si costituiva in giudizio il Comune di Ostiano, deducendo l’infondatezza dei motivi di ricorso.

Nel ricorso era formulata altresì istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato.

Con ordinanza del 23. 9. 2003, n. 782 il Tribunale respingeva l’istanza rilevando che la comunicazione d’avvio era stata sostanzialmente data, che non vi è prova in ordine alla preesistenza della costruzione alla l. 765/67, che è indifferente che il destinatario dell’ordine di demolizione sia anche il responsabile dell’abuso, che la constatazione dell’abusività dell’opera è sufficiente a giustificare l’interesse pubblico alla demolizione.

Con ordinanza 25. 11. 2003 prot. 5170/03 il Consiglio di Stato respingeva l’appello cautelare.

Il ricorso veniva discusso nella pubblica udienza del 15. 12 2010, all’esito della quale veniva trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

I. Preliminarmente il ricorrente ha insistito in udienza perché in sentenza fosse dichiarato tardivo il deposito effettuato dal Comune delle memorie per l’udienza di discussione.

Questa deduzione è in effetti, in parte, fondata.

L’udienza era fissata per il 15. 12. 2010, il termine per memorie scadeva al 14. 11. 2010 (che però era festivo, la cui scadenza quindi – trattandosi di termine a ritroso – andava anticipata ex art. 52, co. 4, c.p.a. al 13. 11. 2010), mentre il termine per repliche scadeva il 24. 11. 2010.

Il Comune resistente ha depositato memorie il 15. 11. 2010 e memorie ulteriori, per così dire, di replica (anche se in realtà gli argomenti spesi sono in parte sovrapponibili a quelli delle memorie) il 24. 11. 2010.

Le memorie sono effettivamente tardive, mentre le repliche sono tempestive.

II. Nel merito, infatti, il ricorso deve essere respinto.

III. Il primo motivo di ricorso, in cui si deduce che il provvedimento sarebbe illegittimo per mancanza di comunicazione di avvio del procedimento, ed il quarto motivo, in cui si deduce che il provvedimento sarebbe illegittimo per difetto di motivazione sul mancato superamento dell’affidamento per il lungo tempo decorso dalla data di commissione del fatto, si scontrano contro straripante giurisprudenza del giudice amministrativo.

Sul primo motivo, infatti, occorre rilevare che "l’ordine di demolizione di opere edilizie abusive non deve essere preceduto dall’avviso ex art. 7 della L. n. 241/1990, trattandosi di un atto dovuto, che viene emesso quale sanzione per l’accertamento della inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e conseguente disciplinato rigidamente dalla legge" (Tar Campania, Napoli, sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 15871) (nello stesso senso cfr. anche Cons. Stato, sez. IV, 26 settembre 2008, n. 4659, secondo cui "gli atti sanzionatori in materia edilizia – attesa la loro natura rigidamente vincolata – non risultano viziati ove non siano stati preceduti dalla comunicazione d’avvio del procedimento").

Sul quarto motivo, invece, la giurisprudenza afferma che nel percorso argomentativo dell’ordine di demolizione non è necessaria alcuna specificazione ulteriore rispetto alla presa d’atto dell’abusività dell’opera (cfr. sul punto, anche qui ex plurimis, T.A.R. Lazio, I quater, 14 gennaio 2008 n. 174: "i provvedimenti di demolizione di opere abusive sono atti dovuti, sufficientemente motivati con l’affermazione dell’accertata realizzazione di interventi edilizi in carenza del titolo abilitativo richiesto dalla legge. Di conseguenza, in relazione a provvedimenti di tal genere, l’obbligo di motivazione è da intendere nella sua essenzialità ovvero è da intendere assolto con l’indicazione dei meri presupposti di fatto (constatazione dell’esecuzione di opere edilizie in difformità del permesso di costruire o in assenza del medesimo), che poi determinano l’applicazione dovuta delle misure ripristinatorie previste"; nello stesso senso T.A.R. Campania, Napoli, II, 13 ottobre 2008 n. 15498).

Né esiste un onere di maggior motivazione se è decorso del tempo dall’abuso, in quanto "i provvedimenti di repressione degli abusi edilizi, in quanto atti vincolati, sono sufficientemente motivati con l’affermazione dell’accertata irregolarità dell’intervento, essendo in re ipsa l’interesse pubblico alla rimozione dell’abuso – anche se risalente nel tempo – senza necessità di una motivazione su puntuali ragioni di interesse pubblico e di una specifica comparazione con gli interessi privati coinvolti: l’esercizio del potere di controllo e sanzionatorio in materia urbanistico – edilizia è, difatti, imprescrittibile e costituisce atto dovuto" (Tar Milano, II, 4648/09) (sul punto v. anche Tar Milano, II, 377/08: Stante la natura vincolata del potere sanzionatoriorepressivo degli abusi edilizi e il dato giuridico per cui la sanzione demolitoria è volta, non tanto a punire il responsabile dell’abuso, quanto a ripristinare la situazione antecedente alla violazione, è legittima l’ordinanza di demolizione comminata a distanza di lungo tempo rispetto alla commissione dell’abuso edilizio, non necessitando la medesima di essere sorretta da una specifica motivazione in ordine all’esistenza di un interesse pubblico prevalente rispetto all’affidamento del privato sulla legittimità dell’opera o sul consolidamento del proprio interesse alla sua conservazione).

IV. Non è fondato neanche il secondo motivo di ricorso, in cui si deduce che il provvedimento sarebbe illegittimo per mancato accertamento dell’autore dell’abuso e della necessità di un titolo edilizio nel periodo storico in cui è stata realizzata l’opera.

Il ricorrente sostiene in sostanza di aver acquistato il terreno nel 1974, e che a quella data il manufatto era già esistente. Da questa affermazione fa derivare come conseguenze:

– anzitutto la circostanza che egli non sarebbe il responsabile dell’abuso,

– ed in secondo luogo che alla data in cui era stata realizzata l’opera non occorreva alcun titolo abilitativo di carattere edilizio, la cui necessità era stata introdotta soltanto con l. 765/67.

Sulla circostanza che il manufatto fosse già presente in sito alla data (giugno 1974) in cui il ricorrente ha acquistato il terreno il Tribunale ritiene si sia formata la prova in giudizio, ma tale circostanza è del tutto irrilevante ai fini della legittimità di un provvedimento impugnato, potendo essere emesso l’ordine di demolizione anche nei confronti del nuovo proprietario non responsabile dell’abuso, perché lo scopo dell’ordine di demolizione non è sanzionatorio, ma ripristinatorio di un assetto urbanistico violato.

Sulla circostanza – invece decisiva – che il manufatto fosse già presente in loco alla data (luglio 1967) in cui è entrata in vigore la norma che impone un titolo abilitativo per realizzare opere edilizie, invece, il Tribunale ritiene che la prova non si sia formata.

Gli elementi in fatto addotti dalle parti per datare la realizzazione dell’opera sono, infatti, i seguenti (tutti apportati del ricorrente, tranne l’ultimo):

1. quietanza dell’Enel del 1974 da cui si desume che a quella data c’era già l’elettrodotto di servizio al manufatto, appositamente realizzato dall’Enel (il capannone è in aperta campagna, vicinissimo alla sponda del fiume Oglio, in luogo presso cui non è – o non era – edificato nulla, e quindi serviva un elettrodotto apposito per fargli arrivare la corrente); da tale circostanza si desume implicitamente, ma in modo evidente, che al 1974 c’era già anche il manufatto,

2. perizia di un geometra incaricato come tecnico di parte dal ricorrente che data la costruzione al decennio 196070 per la tipologia di materiali utilizzati,

3. dichiarazione dei due ex proprietari (del periodo 197074) che affermano che la costruzione era già presente quando essi la hanno acquistata,

4. dichiarazione di soggetti estranei alla proprietà del terreno, ma residenti nei dintorni (M.S., M.A.) che affermano che la costruzione era già stata realizzata all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso,

5. compravendita del 23. 6. 1974 in cui si descrive però il fondo come "appezzamento di terreno incolto" e non si fa alcun cenno al manufatto oggetto di causa.

In base a tali elementi si ritiene raggiunta la prova in ordine alla esistenza del manufatto nel 1974; c’è uno iato però di sette anni tra tale approdo istruttorio ed il luglio 1967, data in cui è divenuta necessaria l’acquisizione di titoli edilizi.

Questo iato di sette anni non può essere riempito con le dichiarazioni dei due ex proprietari del quadriennio 197074 che – come la difesa del Comune correttamente deduce – sono parti interessate alla causa, e come tali non pienamente attendibili (se avessero ammesso di aver realizzato essi stessi il manufatto tra il 1970 ed il 1974, quando erano proprietari, avrebbero dovuto rispondere anche civilmente delle spese di demolizione dello stesso e delle altre conseguenze dell’abuso, quindi possono essere interessanti a retrodatarlo ai proprietari precedenti).

Questo iato di sette anni non può essere riempito neanche con le dichiarazione di soggetti estranei alla proprietà del terreno, ma residenti nei dintorni (M.S., M.A.) che affermano che la costruzione era già stata realizzata all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso, perché troppo generiche nella datazione dell’opera (una persona interrogata a trent’anni di distanza da un fatto può non vedere differenza tra il 1967 ed il 1969 o il 1971, differenza che qui invece sarebbe decisiva); fermo restando che nessuno di essi dice esplicitamente e con certezza che l’opera c’era già nella prima parte del 1967.

Lo iato non può essere riempito neanche con la perizia del geometra incaricato come tecnico di parte dal ricorrente che data la costruzione al decennio 196070 per la tipologia di materiali utilizzati, perché essa raggiunge certezze solo sul fatto che l’opera non possa essere datata oltre i primi anni Settanta, mentre sul resto fornisce al Tribunale mere illazioni.

La situazione di incertezza processuale in ordine alla possibilità di datare il manufatto almeno al luglio 1967 non giova alle ragioni di chi ha introdotto questo argomento in giudizio.

Nel processo amministrativo vige, infatti, la regola generale dell’art. 2697 c.c., secondo cui l’onere di provare i fatti è a carico di chi li deduce. Tale regola generale è soltanto temperata dal principio del c.d. onere dispositivo con metodo acquisitivo (peraltro, in via di superamento alla luce, da un lato, delle riforme sulla trasparenza amministrativa cui ha dato avvio la l. 241/90, dall’altro della ristrutturazione del processo amministrativo voluto dal d.lgs. 286/98 e dalla l. 205/00), che, partendo dalla constatazione che alcuni documenti sono in disponibilità della sola amministrazione e non del ricorrente, faceva carico al ricorrente il solo onere di indicare le fonti di prova del proprio ragionamento, lasciando al giudice il compito di assumere le relative prove.

Il temperamento alla regola generale, peraltro, è applicabile solo alle fonti di prova che sono nella disponibilità esclusiva dell’amministrazione, ma non anche a quelle di cui il ricorrente può disporre liberamente.

In materia edilizia il principio è del tutto consolidato ed stato riaffermato da ultimo da Cons. Stato, sez. IV, 13 gennaio 2010 n. 45, secondo cui "l’onere della prova circa la data di realizzazione dell’immobile abusivo (o anche della attività edilizia abusiva da sanare) spetta a colui che ha commesso l’abuso e solo la deduzione, da parte di quest’ultimo, di concreti elementi, che non possono limitarsi a sole allegazioni documentali a sostegno delle proprie affermazioni, trasferisce il suddetto onere in capo all’Amministrazione. La P.A., infatti, non può di solito materialmente accertare quale sia la situazione dell’intero suo territorio a quella data prevista dalla legge, mentre il privato, che propone l’istanza di concessione edilizia in sanatoria, è normalmente in grado di fornire idonea documentazione che comprovi la ultimazione dell’abuso entro la data prevista dalla legge, a costui spettando l’onere di fornire quantomeno un principio di prova su tale ultimazione e in caso contrario restando integro il potere di non concedere il condono e di irrogare la sanzione prescritta".

L’onere della prova non è stato assolto ed il motivo di ricorso deve, pertanto, essere rigettato.

V. Residua da esaminare il terzo motivo di ricorso, in cui si deduce che il provvedimento sarebbe illegittimo perché illegittimamente è stata prospettata nel provvedimento la perdita di proprietà dell’area in caso di mancata demolizione nei termini, che invece non dovrebbe esservi in quanto si verserebbe al più in ipotesi di proprietario non responsabile dell’abuso.

La circostanza è del tutto irrilevante perché essa potrebbe viziare l’eventuale procedura di acquisizione coattiva che dovesse il Comune attivare successivamente al provvedimento impugnato, ma non incide sulla demolizione che è retta da altri presupposti, che nel caso in esame sono stati – come si è spiegato sopra – rispettati.

VI. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo (si ricorda che non si terrà conto della memoria fuori termine di cui al punto I di questa motivazione).

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia, I sezione interna, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

RESPINGE il ricorso.

CONDANNA il ricorrente al pagamento in favore del Comune di Ostiano delle spese di lite, che determina in euro 1.500, oltre i.v.a. e c.p.a..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Petruzzelli, Presidente

Sergio Conti, Consigliere

Carmine Russo, Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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