Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con il ricorso principale gli odierni ricorrenti impugnano il provvedimento del Comune di Seriate del 16. 10. 1998 (una concessione edilizia loro rilasciata) nella parte in cui calcola gli oneri concessori dovuti in lire 191.395.160. I ricorrenti ritengono che il calcolo fosse indebito perché non detraeva quando da loro già versato in occasione di una precedente concessione edilizia del 19991 sullo stesso immobile rimasta parzialmente inattuata, e perché applicava le tariffe modificate nel corso del 1998 cioè dopo la domanda di concessione.
Con il ricorso per motivi aggiunti gli stessi ricorrenti impugnano altresì la nota dell’8. 11. 2001 con cui il Comune dispone – stante l’inadempimento dei ricorrenti al pagamento di parte dell’obbligazione sopra ricordata – l’escussione della garanzia fideiussoria dagli stessi a suo tempo prestata.
Vertendosi in materia di diritti soggettivi a fronte di attività paritetica della pubblica amministrazione, non sono formulati dei veri e propri motivi di censura dei provvedimenti impugnati, ma solo una diversa quantificazione degli oneri concessori dovuti per i titoli abilitativi rilasciati ai ricorrenti, in cui si chiede originariamente (pag. 10 del ricorso principale):
– l’annullamento della statuizione comunale per la parte eccedente l’importo di lire 95.697.580
– la dichiarazione di non debenza di somma ulteriore a lire 95.473.931 (che essi assumono essere il calcolo esatto degli oneri dovuti)
– e la restituzione della somma di lire 223.649 pagata in eccesso con interessi legali e rivalutazione monetaria.
E’ bene precisare però che nei motivi aggiunti la domanda si modifica e diventa:
– "annullarsi il provvedimento del dirigente del Comune di Seriate prot. 28489",
– "determinarsi il contributo di concessione dovuto per l’esecuzione dell’intervento edilizio",
– "e per l’effetto condannarsi il Comune di Seriate a restituire le maggiori somme che per tale titolo dovessero aver versato oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal dì del dovuto a quello della effettiva restituzione".
Non è indicata pertanto una somma massima di cui si chiede la restituzione, e si lascia al Tribunale la relativa quantificazione senza limiti nella domanda.
Si costituiva in giudizio il Comune di Seriate, che deduceva l’infondatezza del ricorso ed allegava nota di deposito documenti.
Nel ricorso per motivi aggiunti era formulata anche istanza di sospensione del provvedimento impugnato.
Con ordinanza del 12. 3. 2002, n. 164 il Tribunale disponeva istruttoria chiedendo una relazione al Comune sui fatti di causa.
Con ordinanza del 6. 5. 2002, n. 234 il Presidente del Tribunale rilevava che nulla era pervenuto e sollecitava l’esperimento dell’incombente istruttorio.
Con ordinanza del 31. 5. 2002, n. 380 il Tribunale disponeva ulteriore istruttoria chiedendo una ulteriore relazione al Comune sui fatti di causa.
Con ordinanza del 9. 7. 2002, n. 492 il Tribunale accoglieva l’istanza cautelare contenuta nei motivi aggiunti affermando che la somma dovuta per il costo di costruzione andava ricalcolata: 1) tenendo conto di quanto già versato in occasione della concessione del 1990; 2) tenendo conto delle tariffe antecedenti al 1998.
Il ricorso veniva discusso nel merito nella pubblica udienza del 14. 4. 2010 all’esito della quale il Tribunale emetteva ordinanza istruttoria 30. 4. 2010, n. 99 in cui:
– si constatava che l’originaria concessione era stata oggetto di una variante 2001 che aveva modificato i termini della questione,
– si constatava che la modifica di destinazione da uffici a residenza contenuta nella variante aveva ridotto il carico urbanistico mentre in sede di conclusioni le difese tecniche si erano limitate a richiamarsi agli scritti difensivi ed alle conclusioni precedentemente prese senza specificare quale ritenevano essere (secondo le rispettive posizioni) il credito residuo di ciascuna di esse dopo la variante 2001,
– si disponeva che la parte più diligente depositasse un prospetto contenente un nuovo calcolo del contributo di costruzione dovuto – secondo le rispettive posizioni – aggiornato alla variante 2001.
Più in particolare l’ordinanza istruttoria chiedeva fosse depositato un prospetto contenente il calcolo aggiornato degli oneri dovuti formulato in base alle seguenti ipotesi:
1) ipotesi in cui non si sottragga la somma versata per la concessione 112/90, si ritenga sussistente il cambio di destinazione d’uso rispetto alla destinazione originaria*, e si applichino le tariffe della delibera c.c. 62/1989,
2) ipotesi in cui non si sottragga la somma versata per la concessione 112/90, non si ritenga sussistente il cambio di destinazione d’uso rispetto alla destinazione originaria*, e si applichino le tariffe della delibera c.c. 62/1989,
3) ipotesi in cui si sottragga la somma versata per la concessione 112/90, si ritenga sussistente il cambio di destinazione d’uso rispetto alla destinazione originaria*, e si applichino le tariffe della delibera c.c. 62/1989,
4) ipotesi in cui si sottragga la somma versata per la concessione 112/90, e non si ritenga sussistente il cambio di destinazione d’uso rispetto alla destinazione originaria*, e si applichino le tariffe della delibera c.c. 62/1989,
5) ipotesi in cui non si sottragga la somma versata per la concessione 112/90, si ritenga sussistente il cambio di destinazione d’uso rispetto alla destinazione originaria*, e si applichino le tariffe della delibera c.c. 113/1998,
6) ipotesi in cui non si sottragga la somma versata per la concessione 112/90, non si ritenga sussistente il cambio di destinazione d’uso rispetto alla destinazione originaria*, e si applichino le tariffe della delibera c.c. 113/1998,
7) ipotesi in cui si sottragga la somma versata per la concessione 112/90, si ritenga sussistente il cambio di destinazione d’uso rispetto alla destinazione originaria*, e si applichino le tariffe della delibera c.c. 113/1998,
8) ipotesi in cui si sottragga la somma versata per la concessione 112/90, e non si ritenga sussistente il cambio di destinazione d’uso rispetto alla destinazione originaria*, e si applichino le tariffe della delibera c.c. 113/1998.
* per cambio di destinazione d’uso si fa riferimento alla questione posta nel ricorso principale circa la possibilità o meno di considerare assoggettati a cambio di destinazione stalle, magazzini e altri locali che nella costruzione originaria non avevano una specifica destinazione.
All’udienza del 15. 12. 2010, dopo rinvio chiesto dalla difesa della ricorrente per far verificare le tabelle nel frattempo presentate dal Comune in ottemperanza all’ordinanza, la causa veniva finalmente trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
I. Come spiegato nella parte finale del fatto, in corso di causa il giudizio si è modificato di contenuti in quanto, con provvedimento del 16. 11. 2001, il Comune di Seriate ha rilasciato ai ricorrenti una variante della concessione impugnata con il ricorso principale, in cui (per effetto del nuovo cambio di destinazione d’uso di alcune parti dell’immobile da direzionale a residenza) si riduceva notevolmente l’ammontare totale degli oneri concessori dovuti che passava – già nella prospettazione del Comune – da lire 191.395.160 richieste con la concessione del 1998 a lire 130.449.078 calcolate con l’ultima variante.
Di questi 130.449.078 lire i ricorrenti avevano versato soltanto 95.797.580, oltre 39.928.244 lire che avevano già versato in cambio della concessione del 1991 attuata soltanto in parte, e che il Comune riteneva di non dover calcolare.
Ne conseguiva che a seguito della variante 2001 le posizioni delle difese cambiavano in corso di causa perché l’asserito credito restitutorio dei ricorrenti aumentava, mentre diminuiva il credito che il Comune riteneva di avere ancora da pretendere per arrivare alla somma corrispettivo dell’edificazione.
Si ritiene opportuno riportare il riassunto dei titoli abilitativi succedutisi sul punto, dei relativi versamenti e dello stato dei lavori, che è il seguente:
– titolo concessorio 112/90 del 15. 2. 1991; contributo di costruzione dovuto lire 39.928.244, interamente versato; l’opera non è stata realizzata nella sua totalità, non è stata chiesta la restituzione del contributo versato in più se non con questo ricorso;
– concessione 97/318 del 16. 10. 1998; contributo di costruzione calcolato lire 191.395.160, contestato dalla parte ricorrente che assume essere dovuti solo lire 95.473.931, versata la somma di 95.797.580; opera realizzata con modifiche che ne hanno ridotto il carico urbanistico introdotte con la variante del 2001 di cui al punto che segue;
– variante 16. 11. 2001; ricalcolata la somma dovuta (ivi compresa la concessione 97/318 rispetto alla quale si pone come variante) in lire 130.449.078, non versato nulla perché la ricorrente aveva nel frattempo introdotto il presente giudizio lamentando di aver già versato troppo.
In questo contesto i motivi di contrasto tra la posizione dei ricorrenti e la posizione del Comune sono in definitiva tre. A giudizio dei ricorrenti, infatti:
1. dalla somma dovuta dovrebbero essere detratti lire 39.928.244 già versati dai ricorrenti per il primo titolo abilitativo ad essi rilasciato (quello del 1991), e poi parzialmente non eseguito;
2. sarebbero state applicate le tariffe introdotte dal Comune soltanto nell’aprile del 1998 in presenza di una domanda di concessione presentata prima dell’entrata in vigore di questa delibera e rilasciata dopo soltanto per le inadempienze del Comune;
3. sarebbero state applicate le tariffe per la modifica di destinazione d’uso (relativamente a mq 477,77 di uffici e 1.324,13 di residenziale), nonostante che non sarebbero possibile a rigore individuare preesistenze di uso attesa la verosimile pregressa presenza in loco di stalle, magazzini e simili.
Su ciascuna di queste tre questioni è stata strutturata l’ordinanza istruttoria emessa dal Tribunale nella fase di merito riportata per esteso nella parte in fatto.
Il Comune ha depositato calcoli su cui convengono anche i ricorrenti, ma ciascuna di esse ha preso conclusioni finali discordanti in diritto:
– i ricorrenti ritengono applicabile l’ipotesi 3,
– il Comune ritiene applicabile l’ipotesi 5.
Il Tribunale ritiene invece che il giudizio debba essere risolto applicando l’ipotesi 7, e nei paragrafi successivi passa a spiegare perché.
II. La prima questione (se dovesse essere stornato o meno il pregresso pagamento del 1991) deve essere decisa in favore delle tesi dei ricorrenti.
In questo senso si era già espresso il Tribunale in sede di sospensiva, e tale decisione deve essere confermata.
Il contributo di costruzione è il corrispettivo del diritto di costruire e quando il diritto di costruire non è esercitato viene meno il titolo in forza del quale il Comune ha incassato il contributo di costruzione. Questo principio vale anche quando il titolo edilizio è stato utilizzato soltanto in parte, nel qual caso esso viene meno pro quota (T.a.r. Lombardia, Milano, sez. II, Sentenza n. 728 del 24/03/2010: il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato soltanto parzialmente, tenuto conto che sia la quota degli oneri di urbanizzazione che la quota relativa al costo di costruzione sono correlati, sia pure sotto profili differenti, all’oggetto della costruzione. L’avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie consentite da un permesso di costruire comporta dunque il sorgere, in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla porzione non realizzata).
Il ragionamento del Comune (faccio pagare tutto ciò che è dovuto per la concessione 1998 senza stornare il pregresso, di cui al limite mi verrà chiesto il rimborso se quantificheranno quanto era stato utilizzato il titolo del 1991 e quanto no) non può reggere perché la concessione del 1998 rilasciata dal Comune ai ricorrenti sullo stesso edificio del 1991 e per completare (e variare) i lavori rimasti in sospeso a seguito dell’abbandono di quel titolo edilizio parla in modo equivoco di rinnovo della concessione.
Può darsi che il termine sia stato usato in modo improprio, posto che la concessione del 1998 era sostanzialmente differente in molti punti dalla precedente pur avendo ad oggetto lo stesso immobile. Ma in ogni caso, l’argomento della unicità del titolo è stata valutata anche dal Comune e risolta in senso positivo. Nel momento in cui si ragiona in termini di titolo unico tra concessione del 1991 e concessione del 1998 (che costituisce il rinnovo della concessione del 1991) non si può far pagare il contributo di costruzione due volte, e doveva quindi stornarsi per sottrazione quanto pagato dai ricorrenti in occasione della prima concessione.
III. La seconda questione (tariffe applicabili) viene risolta dal Tribunale nel senso che al titolo rilasciato il 16. 10. 1998 andassero applicate le tariffe previste dalla deliberazione del Consiglio comunale n. 113/98 entrata in vigore dopo la domanda di concessione (che era del 16. 9. 1997), ma prima del suo rilascio.
Ogni provvedimento amministrativo deve essere emesso in base alle norme vigenti nel momento in cui viene emanato (T.a.r. Lombardia, Milano, sez. II, sentenza n. 426 del 25/02/2008: "l’art. 11 della legge n. 10 del 28/01/77 prevede espressamente che la quota di contributo per oneri di urbanizzazione primaria e secondaria sia corrisposta al comune all’atto del rilascio della concessione e che la quota di contributo per il costo di costruzione sia determinata all’atto del rilascio della concessione. Tale norma è stata costantemente interpretata dalla giurisprudenza nel senso che l’obbligazione di pagamento sorge al momento della quantificazione della obbligazione stessa. Ne deriva che è corretto il calcolo della quota di tali contributi effettuato dall’Amministrazione in base alle aliquote vigenti al momento del rilascio della concessione"), ciò prescinde dalle eventuali responsabilità del Comune nel ritardo nel rilasciare il provvedimento amministrativo rispetto al termine legale entro cui doveva concludersi il procedimento (il Comune deduce che il rilascio del titolo edilizio è stato ritardato dalla necessità di procedere ad istruttoria, ipotesi che d’altronde è tipizzata dalla legge e che consente di sospendere il termine per il rilascio del provvedimento).
Se vi sono state davvero responsabilità nel ritardo nel rilasciare il titolo edilizio, e se da questo ritardo è derivata l’applicazione di tariffe del contributo di costruzione più pesanti, ciò può essere fatto valere con una azione di responsabilità per danni, ma non pretendendo che il rilascio del titolo fosse affiancato da tariffe non più vigenti, e di cui mancano norme apposite per sostenerne la pretesa ultrattività.
E’ il caso di rilevare che adesso una disposizione di questo tipo esiste, perché l’art. 38, co. 7bis, l.r. 12/05 (introdotto dalla l.r. 4/08), stabilisce che "l’ammontare degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria dovuti è determinato con riferimento alla data di presentazione della richiesta del permesso di costruire, purché completa della documentazione prevista", ma una disposizione derogatoria dei principi generali di tal fatta non esisteva nel momento (circa dieci anni prima) in cui venne rilasciata la concessione edilizia oggetto di giudizio e non può essere creata in via interpretativa.
Questo Tribunale, nella sede di Milano, si è d’altronde già pronunciato sulla norma dell’art. 38, co. 7bis, ed ha ritenuto tale disposizione non applicabile a casi pregressi, in quanto "per effetto della modifica apportata dalla l. rg. n. 4 del 2008, che ha introdotto nell’art. 38 il comma 7 bis, per il permesso di costruire, gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria vengono determinati alla data di presentazione della richiesta del permesso di costruire, purché vi sia la completezza documentale. Da ciò si deduce che prima della modifica legislativa gli oneri andassero determinati al momento del rilascio del titolo, mentre a seguito della modifica legislativa la determinazione è anticipata all’atto della presentazione della richiesta del permesso" (T.a.r. Lombardia, Milano, sez. II, 2029/09).
IV. Resta da esaminare soltanto la terza questione (se dovesse essere computata o meno la modifica di destinazione d’uso di alcuni locali, che secondo il ricorrente non vi è mai stata), su di essa non si è pronunciata la sospensiva è stata lasciata aperta dalla sospensiva ed è stata ridimensionata nel seguito del giudizio.
La questione va risolta nel senso che il passaggio da stalla o magazzino a residenza e uffici è una modifica di destinazione d’uso. Le modifiche di destinazione d’uso giuridicamente rilevanti sono tutte quelle che portano ad un aggravio del carico urbanistico, ed il passaggio da locali adibiti a stalla o magazzino a locali adibiti a residenza o uffici portano un incremento del carico urbanistico, posto che le persone che andranno a risiedere o lavorare in locali prima utilizzati per animali o merci abbisognano di più servizi (parcheggi nelle adiacenze, smaltimento rifiuti) e sottoservizi (più potente rete elettrica, dell’acqua, del gas e fognaria) di quelli di cui abbisognavano gli animali e le merci ivi depositate.
Si tratta di attività edilizie destinate ad incidere sugli standard urbanistici, e come tali andavano ricomprese nel calcolo degli oneri dovuti.
V. In base a queste tre risposte (deve essere stornato quanto già corrisposto nel 1991; devono essere applicate le tariffe della delibera del 1998; deve essere computato il cambio di destinazione d’uso) il giudizio va risolto applicando la ipotesi 7 individuata nel prospetto depositato dal Comune di Seriate il 24. 5. 2010 in adempimento dell’ordinanza istruttoria del Tribunale.
Nel prospetto citato sono stati calcolati in 90.520.824 lire quanto il Comune avrebbe avuto il diritto di chiedere per il complessivo intervento edilizio costituito dalla concessione del 1998 e dalla variante del 2001.
I ricorrenti avevano versato 95.797.580 lire all’atto del ritiro della concessione del 1998 (nulla avevano versato per la variante 2001 perché avevano già introdotto questa causa).
Ne consegue che essi hanno diritto di vedere accolta la loro pretesa di non debenza di ulteriori somme, e di vedere accolta altresì la pretesa restitutoria di quanto corrisposto in più del dovuto, sia pure nel limite di sole lire 5.276.756.
VI. Sono stati chiesti gli interessi e la rivalutazione automatica.
Gli interessi legali devono essere riconosciuti. Si versa, infatti, in presenza di interessi corrispettivi (art. 1282 c.c.), che sono fondati sulla naturale fecondità del denaro, e che prescindono pertanto da profili di colpa, che rileverebbero in presenza di interessi con funzione risarcitoria quali quelli moratori (art. 1224 c.c.).
Quanto alla loro decorrenza, va rilevato che l’art. 16 del d.p.R. 380/01 prevede che il contributo per oneri di urbanizzazione debba essere versato all’atto del rilascio del titolo abilitativo (co. 2). Il momento in cui sorge il credito relativo agli oneri di urbanizzazione, pertanto, è quello del rilascio del titolo, e non della realizzazione dell’opera (è il costo di costruzione che viene, invece, pagato in base agli stati di avanzamento lavori).
Posto che al momento del rilascio del titolo sorgeva il credito, occorre aggiungere che la norma generale dell’art. 1282 c.c. prevede che gli interessi decorrano dal momento in cui il credito è liquido ed esigibile. In base alla teoria generale, credito esigibile è quello che non è sottoposto a condizione sospensiva o termine in favore del debitore; credito liquido è quello il cui ammontare è certo o accertabile mediante operazioni di mero conteggio aritmetico.
Nel caso in esame, posto che non vi possono essere questioni sulla esigibilità del credito, non ve ne sono neanche sulla liquidità dello stesso, in quanto la determinazione del credito degli oneri di urbanizzazione è frutto – come si è detto trattando del primo motivi di ricorso – di un mero calcolo aritmetico fondato sull’applicazione dei criteri predeterminati previsti dalla legge. Ne consegue che il credito in esame era liquido fin dalla data in cui è sorto.
Il credito dei ricorrenti sorge, però, non subito dopo il rilascio del titolo del 1998, ma solo dopo la variante 2001 che riduce il carico urbanistico e consente agli stessi di maturare il credito nei confronti del Comune.
Il primo atto successivo alla variante del 2001 in cui è stato richiesto il pagamento risulta essere la domanda di motivi aggiunti (notificata il 12. 2. 2002) (cfr. T.a.r. Lombardia, Milano, sez. II, 728/10: il privato, sulle somme indebitamente riscosse dalla P.A., ha diritto agli interessi legali i quali, qualora non vi siano elementi che escludano la buona fede dell’Amministrazione, spettano dalla data della domanda).
Ne consegue che gli interessi legali devono essere riconosciuti dal 12. 2. 2002.
E’ vero che la domanda in questione, pur contenendo il riferimento alla variante 2001, non conteneva il calcolo preciso della somma dovuta, ma tale calcolo poteva però accertarsi con meri calcoli matematici.
VII. E’ dovuta anche la rivalutazione monetaria.
E’ vero che il credito di restituzione del contributo di costruzione pagato in misura maggiorata non è un credito di valore, ma un credito di valuta in cui la rivalutazione è possibile soltanto se si prova il maggior danno ex art. 1224 co. 2 c.c., qui del tutto pretermesso dall’esposizione dei ricorrenti.
Ma è anche vero che Cass. civ., sezioni unite, sentenza 18 luglio 2008 n. 19499 ha sostenuto che nelle obbligazioni pecuniarie, in difetto di discipline particolari dettate da norme speciali, il maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, rispetto a quello già coperto dagli interessi moratori è, in via generale, riconoscibile in via presuntiva, per qualunque creditore che ne domandi il risarcimento, nella eventuale differenza, a decorrere dalla data di insorgenza della mora, tra il tasso del rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi ed il saggio degli interessi legali determinato per ogni anno ai sensi dell’art. 1284 c.c., comma 1, salva la possibilità per il debitore di provare che il creditore non ha subito un maggior danno o che lo ha subito in misura inferiore e per il creditore di provare il maggior danno effettivamente subito (in motivazione la Corte ha anche precisato che: non sussistono d’altro canto i paventati pericoli che i debiti di valuta ricevano in tal modo una disciplina identica a quella propria dei debiti di valore, con sostanziale pretermissione del principio nominalistico di cui all’art. 1277 cod. civ.; o che le conseguenze dell’inadempimento finiscano per divenire, per qualsiasi credito di denaro, identiche a quelle "speciali" che l’art. 429 c.p.c., comma 3, contempla per i crediti di lavoro; ovvero che sia sostanzialmente disapplicato il principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 cod. civ..
Sul primo punto va infatti osservato che il rispetto del principio nominalistico non è affatto incompatibile con la rilevanza delle variazioni del potere d’acquisto della moneta. Solo che, mentre nei debiti di valore la considerazione di quella variazione è insita nel procedimento di determinazione quantitativa della prestazione in quanto il denaro vale solo a misurare e ad esprimere un valore necessariamente attuale, nei debiti di valuta essa può invece rilevare esclusivamente sub specie damni (…)Neppure è possibile che si creino confusioni di sorta sul piano processuale, posto che nei debiti di valore (tipica l’obbligazione di risarcimento del danno) la rivalutazione non va neppure domandata, essendo il giudice tenuto d’ufficio alla liquidazione in valori monetari attuali; mentre nei debiti di valuta vanno chiesti sia gli interessi moratori sia il maggior danno (anche da svalutazione, secondo l’impreciso ma corrente lessico giudiziario; e tuttavia, più esattamente, da intervenuta impossibilità, per fatto del debitore, che il creditore si sottraesse agli effetti della svalutazione), risultando altrimenti inficiata da vizio di ultrapetizione la sentenza che riconoscesse gli uni o l’altro. Quanto alla temuta possibilità che i crediti pecuniari ordinari e quelli di lavoro finiscano con l’essere trattati allo stesso modo, s’è già rilevato che per i crediti di cui all’art. 429 c.p.c., comma 3 interessi e svalutazione si cumulano, mentre nei debiti di valuta il maggior danno anche da svalutazione è dovuto, ex art. 1224 c.c., comma 2, solo per la parte che non sia già coperta dagli interessi moratori. Quanto alla pretesa disapplicazione dell’art. 2697 cod. civ. che deriverebbe dal ritenere presunta ma, rectius, normale una modalità di impiego del denaro tale da consentire al creditore di sottrarsi agli effetti della svalutazione, è stato da tempo chiarito come, in definitiva, è nel rapporto tra normalità ed anormalità, tra regola ed eccezione che si rinviene il criterio teorico pratico della ripartizione dell’onere della prova, il quale non costituisce un istituto giuridico in sè concluso, ma un modo di osservare l’esperienza giuridica. E la giurisprudenza ha quindi fatto ricorso, tutte le volte che il modello legale prefissato non risultava appagante in relazione alle posizioni delle parti riguardo ai singoli temi probatori, allo schema della presunzione in modo talora così tipico e costante da creare, in definitiva, vere e proprie regole di giudizio. Col risultato non già di invertire l’onere della prova, ma di distribuirlo in senso conforme alla realtà dell’esperienza positiva.
Ebbene, è senz’altro conforme alla realtà dell’esperienza positiva che il denaro sia speso in relazione alla sua primaria destinazione allo scambio, ovvero impiegato in rassicuranti forme remunerative tali da garantire un rendimento superiore al tasso di inflazione, qual è quello dei titoli di stato, costantemente eccedente l’incremento dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati rilevati dall’Istat).
Nel caso in esame, in cui nessuna delle parti in causa si è preoccupata di provare alcunché sulla esistenza o meno di un maggior danno va applicato pertanto il criterio presuntivo appena citato.
Per escludere la rivalutazione automatica non è sufficiente affermare (come aveva fatto in passato T.a.r. Marche 296/04) che si tratterebbe di indebito oggettivo, ai sensi dell’art. 2033 c.c., in quanto anche l’indebito oggettivo non è altro che "una obbligazione pecuniaria di fonte legale (art. 2033 c.c.) assoggettata alla disciplina propria di tali obbligazioni, in particolare alla disposizione dell’art. 1224 c.c. in tema di interessi moratori e risarcimento del maggior danno per il ritardo nell’adempimento" (Cass. civ, sez. lav., 4833/09).
Dalle somme dovute a titolo di rivalutazione monetaria va defalcata la somma percepita a titolo di interessi legali, in quanto – non trattandosi di credito di lavoro – non è consentito il cumulo tra interessi e rivalutazione.
VIII. La decisione di questo ricorso è stata complessa; la soccombenza è stata reciproca; si possono compensare tra le parti le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia, I sezione interna, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
ACCOGLIE PARZIALMENTE il ricorso, e, per l’effetto, dichiara non dovute dai ricorrenti somme ulteriori rispetto a quelle già versate e condanna il Comune a restituire ai ricorrenti la somma di lire 5.276.756, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria (calcolati come in motivazione) a partire dal 12. 2. 2002 e fino alla data dell’effettivo pagamento.
RESPINGE per il resto.
COMPENSA tra le parti le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Petruzzelli, Presidente
Sergio Conti, Consigliere
Carmine Russo, Referendario, Estensore
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