Cass. civ. Sez. III, Sent., 23-07-2012, n. 12798

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 15.12.04 F.E., Fa.En. e F.F., premesso di essere comproprietarie di un fondo rustico in agro di (OMISSIS) di circa 80 ha, concesso un affitto per circa 20 ha a N.M.L., chiedevano dichiararsi scaduto il contratto per il 20.12.05 o per la diversa data di giustizia, con condanna della N. all’immediato rilascio del fondo; in subordine chiedevano pronunziarsi la risoluzione per grave inadempimento della conduttrice, consistito nell’aver realizzato l’impianto fruttifero malgrado la revoca dell’autorizzazione alla esecuzione dei miglioramenti. In esito al giudizio, in cui si costituiva la N. eccependo la durata del contratto in anni 20, l’inefficacia della revoca della autorizzazione e formulando riconvenzionale per ottenere il risarcimento dei danni per violazione degli obblighi di buona fede e correttezza, il Tribunale, sezione specializzata agraria, di Salerno, dichiarata la scadenza del contratto per il 20.12.2010, condannava la conduttrice al rilascio per l’11.11.2011, rigettava la riconvenzionale da quest’ultima proposta. Avverso tale decisione proponevano appello principale le F. ed appello incidentale la N.. In esito al giudizio, la Corte di Appello di Salerno con sentenza depositata in data 15 febbraio 2007, in parziale accoglimento dell’appello principale, ferma restando la declaratoria di scadenza alla data del 20.12.2010, condannava la N. al rilascio del fondo a far tempo dal 20.12.2010, rigettava l’appello incidentale, compensava le spese tra le parti. Avverso la detta sentenza sia la N. che le F. hanno proposto ricorso per cassazione, principale ed articolato in quattro motivi la prima, incidentale ed affidato ad unico motivo le seconde, le quali resistono con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria difensiva.

Motivi della decisione

In via preliminare, deve rilevarsi che il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti, in quanto proposti avverso la stessa sentenza.

Procedendo all’esame del ricorso principale, va osservato che, con la prima doglianza, deducendo la violazione e la falsa applicazione degli artt. 189 e 339 c.p.c., la N. ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di Appello ha modificato la data di rilascio del fondo, anticipandola, benchè non fosse stato proposto a riguardo uno specifico motivo di impugnazione ed il gravame delle concedenti, che fu poi respinto, riguardasse la sola data di scadenza del rapporto. Ha quindi precisato la questione sottoposta alla Corte chiedendo "se il giudice di appello possa, avuto riguardo ai limiti di tale giudizio, conoscere di statuizioni non investite dai motivi di gravame".

Con la seconda doglianza, per violazione degli artt. 112 e 346 c.p.c., la ricorrente principale, premesso che in primo grado le concedenti avevano invocato la cessazione del rapporto per la data del 20.12.2005 mentre il giudice di primo grado aveva stabilito quella del 20.12.2010, ha lamentato l’erroneità della decisione per aver la Corte ritenuto, come implicita, la richiesta di parte attrice di una scadenza diversa da quella risultante dal contratto da essa invocata. Ha concluso quindi il motivo chiedendo "se incorra nel vizio di extrapetizione ex art. 112 c.p.c., applicabile anche al giudizio di appello, la sentenza che, in violazione dell’art. 346 c.p.c., prenda in esame una domanda non riproposta in giudizio dalla parte appellante".

Con la terza doglianza, per violazione sotto altro profilo dell’art.112 epe e delle norme sull’interpretazione della domanda;

insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, la ricorrente principale ha lamentato che la corte territoriale, violando il criterio ermeneutico fondato sull’elemento letterale, avrebbe erroneamente interpretato la volontà delle concedenti la quale era invece diretta a limitare l’ambito di accertamento alla declaratoria di cessazione del contratto da essa indicata. Ha quindi concluso la censura deducendo testualmente che "il quesito di diritto che con questo motivo si affida a codesta Corte attiene all’osservanza, da parte della sentenza impugnata, del principio sancito dall’art. 112 c.p.c., verificabile, direttamente ex actis con riferimento alle regole relative all’interpretazione della domanda. La denunzia subordinata, concernente il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, consiste nella insufficiente motivazione del fatto decisivo della proposizione della domanda alternativa in oggetto".

Tutti i motivi, sopra riportati nella loro essenzialità, sono innanzitutto inammissibili in quanto nessuno dei quesiti di diritto soddisfa le prescrizioni dell’art. 366 bis, risolvendosi, tutti, in genericissime istanze rivolte alla Corte di verificare l’esistenza della violazione di legge denunziata, senza contenere nè alcuna riassuntiva esposizione degli elementi di fatto, nè l’indicazione dei pretesi errori compiuti dal giudice nè soprattutto la regola di diritto da applicare" (cfr. S.U. n. 3519/2008, Cass. n. 19769/08).

Quanto al vizio motivazionale dedotto con il terzo motivo, l’inammissibilità di tale profilo di doglianza deriva dal rilievo che parte ricorrente ha esaurito il necessario momento di sintesi nella sola indicazione del fatto controverso senza indicare altresì le ragioni di sussistenza del vizio motivazionale. Ora, posto che la norma di cui all’art. 366 bis citato non può essere interpretata nel senso che il momento di sintesi possa desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo di ricorso, poichè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione, anche quest’ultimo profilo deve ritenersi inammissibile.

Peraltro, tutti i motivi in esame sono altresì infondati. Ed invero, il primo motivo del ricorso principale, riguardante la modifica della data di rilascio del fondo, non coglie nel segno perchè non è affatto vero che la statuizione non fu investita dal gravame posto che, come risulta dalla sentenza (cfr pag. 8) l’appello delle F. riguardava anche l’illegittimità della concessione del beneficio previsto dalla L. n. 203 del 1982, art. 47 – prevedente il rilascio del fondo solo al termine dell’annata agraria, durante la quale è stata emessa la sentenza esecutiva – non trattandosi di affitto a coltivatore diretto. Il secondo ed il terzo motivo, che sono connessi, sono infondati perchè l’individuazione della data di scadenza del rapporto di affitto, contenuta nella comunicazione di disdetta o nel ricorso introduttivo, non vincola il giudice e non gli impedisce di accertare, sulla base delle risultanze processuali e della normativa applicabile, la data effettiva di scadenza e pronunciare il rilascio del fondo per quella diversa data, senza che ciò implichi violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (cfr. ex multis Cass. n. 27731/05).

Resta da esaminare l’ultima doglianza, articolata dalla ricorrente principale sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 1218 c.c., art. 278 c.p.c., nonchè della motivazione insufficiente e contraddittoria, con cui la ricorrente principale, premesso di aver con l’appello incidentale impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva rigettato la sua domanda riconvenzionale volta ad ottenere il risarcimento del danno conseguente alla repentina interruzione dei programmati interventi di miglioria del fondo, ha dedotto che la Corte territoriale avrebbe sbagliato a respingere il gravame per carenza di prova perchè era provato per tabulas il suo diritto ad ottenere il risarcimento del danno, per effetto del comportamento delle F. non conforme alle regole di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, senza considerare che è possibile pervenire ad una pronuncia di condanna generica, pur in difetto di assenso della controparte. Ha quindi concluso la censura con i seguenti quesiti: 1) se, ai sensi degli artt. 1175, 1375 e 1218 c.c., la violazione del dovere di correttezza e buona fede determini un inesatto adempimento, come tale presupposto di responsabilità contrattuale la cui sussistenza, ai sensi dell’art. 1218 c.c., non può essere esclusa da una mera ed ipotetica rappresentazione soggettiva del debitore di conformità del proprio comportamento ai patti sottoscritti ; 2) se in un giudizio nel quale sia stata formulata ab initio domanda di condanna al risarcimento del danno specifico, ai sensi dell’art. 278 c.p.c., in presenza di una espressa istanza del richiedente ed in assenza di un espresso dissenso di controparte, il giudice sia tenuto a pronunciare condanna generica al risarcimento del danno in virtù di un apprezzamento anche di sola probabilità o di verosimiglianza sulla fondatezza del diritto azionato, senza che sia necessario alcun accertamento in ordine alla misura ed alla stessa concreta esistenza del danno. Sotto il profilo del difetto di motivazione, che prudenzialmente pure si deduce, il fatto decisivo in ordine al quale la motivazione è stata del tutto omessa consiste nella circostanza che controparte non ha mai espresso dissenso rispetto alla separazione del giudizio".

Anche tale censura è inammissibile, essendo accompagnata da quesiti multipli che non sono ammissibili (così tra le altre Cass. n. 547/08). Ciò, in quanto ad una censura di diritto esposta nel motivo non può che corrispondere un quesito di diritto ed uno solo, solo in tal modo escludendosi ogni rischio di equivocità e solo con tale scelta restando sostenibile il rapporto di pertinenzialità esclusiva e diretta tra motivo e quesito (Cass. n. 1906/2008).

Passando infine all’esame del ricorso incidentale, va rilevato che l’unica censura proposta dalle F. viene articolata sotto il profilo della violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 116, 214, 215 c.p.c., art. 2697 c.c., e delle norme dell’interpretazione della domanda – insufficiente motivazione circa un fatto controverso e e decisivo per il giudizio. In particolare, la Corte territoriale avrebbe trascurato che, in forza del principio secondo cui il giudice deve giudicare iuxta alligata e probata, essa poteva esaminare solo il contratto di affitto agrario avente scadenza il 20.12.2005, da esse esibito, e non anche quello postillato e modificato, recante la sostituzione della parola quindici con la parola venti, esibito dalla N. nonchè da esse stesse solo però per dichiararne il disconoscimento. Hanno concluso il motivo di impugnazione con i seguenti quesiti: "Dica la Corte Ecc.ma: 1) Se, avendo le ricorrenti F. prodotto in giudizio il contratto di affitto originario, non contestato, a fondamento della loro domanda, in mancanza di valida prova di fatti giuridici estintivi o modificativi idonei a contrastarla, fosse stato onere della convenuta N., provare, in ordine alle eccezioni proposte, la pretesa validità del contratto, materialmente alterato, in sostituzione di quello originario – ex art. 112 c.p.c. e art. 2697 c.c., e che, solo in tal evenienza,le F. avrebbero dovuto provare il diritto da loro fatto valere in giudizio. 2) Se il Giudice del merito, con la decisione assunta, è incorso nel vizio di ultrapetizione, ex art. 112 c.p.c., allorchè, nell’accogliere la domanda di rilascio del fondo "(OMISSIS)" proposta dalle ricorrenti F. per la scadenza contrattuale del 20.12.2005 – ha spostato tale data al 20.12.2010 – sostituendo di ufficio il contratto azionato a supporto della domanda, con quello modificato e disconosciuto – invocato dalla resistente, fondando, quindi, la domanda su una realtà fattuale non dedotta ed allegata in giudizio; 3) Se il Giudice del merito, con la decisione assunta, ha, altresì, violato e superato il principio del libero convincimento di cui all’art. 116 c.p.c., quando, nella valutazione del contratto avente efficacia di prova legale, posto a base della domanda attorea, ha di ufficio – lo ha sostituito con quello alterato, esibito dalla convenuta N., ancorchè disconosciuto – 4) Se il Giudice del merito, con la decisione assunta, ha erroneamente interpretato o violato la disposizione di cui all’art. 214 c.p.c. allorchè ha ritenuto non validamente operato dalle attrici il disconoscimento della scrittura privata falsificata esibita dalla N. con la dichiarazione resa fin dalla produzione in giudizio ovvero se il disconoscimento di una scrittura privata, a norma dell’art. 214 c.p.c., può essere validamente effettuato anche dalla parte che lo produce in giudizio per farne negare l’autenticità nei confronti dell’altra parte, senza incorrere nella presunzione di riconoscimento tacito ex art. 215 c.p.c.. 5) Se, avendo le ricorrenti F. provato l’alterazione materiale del contratto invocato dalla N., esibendo la copia di quello originario, riconosciuto tacitamente da ambedue le parti sarebbe stato onere della predetta – che ha inteso anteporre il documento alterato – dimostrare che l’alterazione sarebbe stata compiuta e voluta dai sottoscrittori, dopo la stipula del contratto originario, in modo da modificarne il contenuto, così come impone la disposizione di cui all’art. 2697 c.c., secondo cui chi vuoi far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento".

Anche quest’ultimo ricorso è inammissibile, ancor prima di essere infondato. L’inammissibilità deriva dal fatto la doglianza proposta è accompagnata da quesiti multipli,i quali per le considerazioni già espresse in precedenza non sono ammissibili (così Cass. n. 547/08, Cass. n. 1906/08).

Inoltre, la censura non coglie nel segno in quanto il giudice del merito può avvalersi di elementi comunque emersi dalla compiuta istruttoria per argomentare in ordine ai temi del dibattito processuale, ancorchè non ne sia stato richiesto dalla parte stessa.

E ciò in quanto, accanto al principio dispositivo, nel nostro ordinamento vige il principio di acquisizione processuale, secondo cui le risultanze istruttorie, comunque ottenute, concorrono tutte ed indistintamente alla formazione del libero convincimento del giudice, senza che la diversa provenienza possa condizionare tale formazione in un senso o nell’altro.

Tutto ciò premesso e considerato, entrambi i ricorsi in esame, siccome infondati, devono essere rigettati. Sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese di questo giudizio in considerazione della reciproca soccombenza.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa tra le parti le spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2012

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