T.A.R. Veneto Venezia Sez. III, Sent., 17-01-2011, n. 51

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Società ricorrente, il cui oggetto sociale consiste nell’attività di commercio, al minuto e all’ingrosso, nonché nella produzione di mobili ed arredamenti, espone di aver presentato al Comune di Verona in data 29 novembre 2000, una domanda di autorizzazione per l’apertura di un esercizio di commercio al dettaglio con una media struttura di vendita presso i locali siti in via omissis, prima adibiti all’attività di commercio di autovetture.

Afferma poi che il Comune, nel termine di sessanta giorni previsto per la formazione del silenzio assenso sull’istanza dal regolamento comunale approvato con deliberazione consiliare 25 febbraio 2000, n. 8, in attuazione dell’art. 8, comma 4, del Dlgs. 31 marzo 1998, n. 114, non ha opposto un tempestivo diniego.

Un diniego espresso è stato formulato in seguito tardivamente, per la mancanza del certificato di agibilità e della destinazione commerciale dell’immobile determinata dalla circostanza che il medesimo ricade in zona D del piano regolatore generale priva di specifica destinazione commerciale.

La Società sostiene che a questo punto ha continuato l’attività di vendita, con mobili di propria produzione, svolgendo quindi un’attività che non necessita di autorizzazione commerciale.

Il Comune, ritenendo non sufficientemente comprovata la circostanza della vendita di mobili di propria produzione, e ritenendo altresì tempestivamente opposto il diniego prima della formazione del silenzio assenso, con ordinanza n. 1133 del 10 agosto 2001, ha disposto l’immediata chiusura del punto vendita.

Tale provvedimento, congiuntamente al diniego, è impugnato per le seguenti censure:

A) quanto all’ordinanza di chiusura:

I) falsità dei presupposti, insufficienza, incongruità, contraddittorietà della motivazione, violazione e falsa applicazione dell’art. 14, comma 3, della legge regionale 9 agosto 1999, n. 37, per l’omessa considerazione della vendita di mobili di produzione propria e della presenza di un laboratorio nei locali;

II) incompetenza del dirigente;

III) illegittimità derivata dall’illegittimità del diniego opposto oltre il termine di sessanta giorni prescritto per la formazione del silenzio assenso, per violazione dell’art. 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241;

IV) contraddittorietà, carenza di motivazione per la mancata considerazione della formazione del silenzio assenso, falsità dei presupposti;

B) quanto al diniego:

V) violazione dell’art. 25 delle norme tecniche allegate al piano regolatore, incongruenza e contraddittorietà della motivazione, per l’omessa considerazione che la disciplina urbanistica previgente alla legge regionale 9 agosto 1999, n. 37, ammetteva l’insediamento nella zona 18, ove è ricompresa via omissis, di esercizi commerciali, che questi sono presenti in numero consistente, e che la variante n. 206 adottata con deliberazione consiliare n. 8 del 25 febbraio 2000, dispone che sia attribuita la specifica destinazione commerciale agli immobili adibiti a questa destinazione presenti in zona D.

Si è costituito in giudizio il Comune di Verona il quale eccepisce la tardività dell’impugnazione del diniego, anticipato per fax il 26 gennaio 2001 e notificato con la forma di cui all’art. 143 c.p.c., per le persone di residenza, dimora e domicilio sconosciuti mediante affissione all’albo comunale del Comune di Bussolengo, il 13 febbraio 2001, e conclude per la reiezione del ricorso.

Con ordinanza n. 842 del 31 ottobre 2001, è stata accolta la domanda cautelare.

Alla pubblica udienza del 10 dicembre 2010, la causa è stata trattenuta in decisione.

Preliminarmente deve essere respinta l’eccezione di tardività dell’impugnazione del diniego del 31 gennaio 2001.

Sul punto vi è infatti da osservare che per costante giurisprudenza è onere della parte che eccepisce la tardività provare in modo rigoroso e attendibile l’altrui piena conoscenza del provvedimento gravato (ex pluribus cfr. da ultimo, Tar Molise, Sez. I, 28 aprile 2010, n. 190), e il Comune non ha assolto a tale onere.

Nel caso all’esame non costituisce prova della conoscenza del provvedimento l’invio mediante fax, perché è avvenuto ad un numero che non corrisponde a nessuno di quelli indicati nella domanda di autorizzazione, né ai numeri che si riferiscono alla sede legale e amministrativa della Società, né è riferibile al suo rappresentante legale: come sottolineato dalla parte ricorrente nella memoria di replica, nella domanda era stata infatti indicata la sede legale della Società, l’indirizzo della residenza del rappresentante legale, nonché il numero di telefono dello studio professionale che ha seguito la procedura, mentre il fax risulta inviato ad altro numero. Inoltre, come eccepito, non è neppure depositato in giudizio un rapporto di trasmissione da cui risulti documentato l’invio a quel numero telefonico del provvedimento di diniego (è infatti allegato un mero rapporto di attività che non attesta la ricezione del provvedimento di diniego del 31 gennaio 2001), cosicché non appare pertinente la giurisprudenza richiamata dal Comune nelle proprie difese, che si riferisce a fattispecie in cui sia la partenza che la ricezione del fax e del suo contenuto sono documentati con il rapporto di trasmissione.

Non può costituire prova della piena conoscenza neppure la notifica del diniego avvenuta nelle forme di cui all’art. 143 c.p.c., per le persone di residenza, dimora e domicilio sconosciuti mediante affissione all’albo comunale, posto che la notifica alle persone giuridiche avviene nelle forme prescritte dall’art. 145 c.p.c. (cioè nella sede legale o effettiva mediante consegna di copia dell’atto al rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa, ovvero se la notifica non può essere eseguita con tali modalità, mediante notifica alla persona fisica che rappresenta l’ente, osservando le disposizioni degli art. 138, 139 e 141 c.p.c.; e se neppure l’adozione di tali modalità consente di pervenire alla notificazione, si procede con le formalità dell’art. 140 c.p.c., qualora di detta norma ricorrano i presupposti, nei confronti del legale rappresentante, oppure nel caso in cui la persona fisica non sia indicata nell’atto da notificare, direttamente nei confronti della società), e la relata di notifica del messo comunale del Comune di Bussolengo depositata in giudizio attesta in realtà solo che il provvedimento, anziché essere posto nella disponibilità della Società, è stato irritualmente affisso all’albo pretorio.

L’eccezione di tardività deve pertanto essere respinta.

Nel merito il ricorso è fondato e meritevole di accoglimento per le assorbenti censure di cui al primo e secondo motivo, in quanto, per le medesime considerazioni sopra svolte, deve rilevarsi che il Comune non dimostra di aver comunicato entro il termine di 60 giorni dalla presentazione dell’istanza il diniego dell’autorizzazione.

Infatti l’art. 20 delle legge 7 agosto 1990, n. 241, per evitare la formazione del silenzio assenso, pretende che il provvedimento negativo debba essere non solo adottato ma anche comunicato all’interessato entro il termine fissato per la conclusione del relativo procedimento (ex pluribus cfr. Lazio Roma, Sez. II, 6 marzo 2009, n. 2365), e pertanto, fino a quando non sia stato comunicato all’interessato il provvedimento esplicito sfavorevole, non si interrompono i termini per la formazione dell’atto tacito, il quale prevale su quello esplicito nel caso in cui quest’ultimo non sia stato portato a conoscenza dell’istante entro il termine prescritto.

Da ciò deriva che nel caso all’esame, come afferma la parte ricorrente, si è consolidata l’autorizzazione commerciale mediante il meccanismo del silenzio assenso, e il diniego deve essere ritenuto invalido in quanto il potere dell’amministrazione, anziché svolgersi nelle forme proprie dell’autotutela, proprio perché comunicato oltre i termini di conclusione del procedimento, è stato esercitato in contrasto con l’art. 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241, in maniera illegittima.

L’illegittimità si estende, in via derivata, alla successiva ordinanza che ha disposto la chiusura dell’attività, che presuppone il suo esercizio senza alcun titolo, mentre la stessa, come rilevato, deve ritenersi esser stata autorizzata per silenzio assenso.

In definitiva pertanto, con assorbimento delle censure non espressamente esaminate, il ricorso deve essere accolto.

Le peculiarità della controversia giustificano tuttavia l’integrale compensazione delle spese tra le parti del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Di Nunzio, Presidente

Marco Buricelli, Consigliere

Stefano Mielli, Primo Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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