Cons. Stato Sez. IV, Sent., 18-01-2011, n. 356

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/


Svolgimento del processo

1. Con la deliberazione consiliare n.10 del 18.2.1999 il Comune di Sperlonga (prov. di Latina) approvava, ai sensi della legge statale n.179/1992, il programma integrato di intervento per lo sviluppo e la riqualificazione in completamento della città, recante la previsione di realizzare, fra le altre tipologie, interventi di edilizia ricettiva privata, commercio e servizi privati. La previsione, da attuare su aree di proprietà comunale (in regime di patrimonio disponibile) da destinare agli interventi previsti, veniva trasfusa in specifico Accordo di programma, approvato dalla Regione Lazio (DPGR n.1272/1999).

Successivamente il Comune individuava (delibere cc. n. 4/2003 e g.m. n.121/2003) le modalità d’asta per aggiudicare ai soggetti interessati le aree oggetto degli interventi, suddivise in lotti.

2- Con riferimento al lotto n. 2 sublotti D ed E, misurante mq 10.755, ed interessato da una previsione edificatoria per 6000 mc, il Comune, con la delibera n.121/2003, premesso fra l’altro che sull’area era prevista una struttura alberghiera, avviava la procedura di assegnazione, dalla quale veniva tuttavia esclusa la cooperativa "C.S." (delibera giuntale n. 34/del 22.2. 2005); il procedimento terminava con l’aggiudicazione ai signori T.G. e B.C..

3- La società esclusa impugnava innanzi al Tar Latina sia l’esclusione dalla gara sia l’aggiudicazione della stessa ai sig.ri T. e B.. Con la sentenza n. 171/2006 il TAR accoglieva le impugnative, annullando l’esclusione della "C.S." e l’aggiudicazione del lotto ai signori T. e B.. La decisione veniva sottoposta ad appello che, con la pronunzia del Consiglio di Stato sez. IV n. 2814/2008, veniva tuttavia dichiarato irricevibile. Questa pronunzia veniva a sua volta impugnata con ricorso per revocazione, dichiarato però inammissibile (CDS, sez.V, n.194/2010).

4.- Nel frattempo, tuttavia, il Comune di Sperlonga aveva avviato (dandone avviso alla società aggiudicataria con nota n.721 del 9.1.08) un procedimento di revoca della delibera n.121/2003 recante le procedure che si erano concluse con l’aggiudicazione del lotto contestata dalla società C.S.; il procedimento terminava con la delibera giuntale n.18 del 15.2.2008 che però, erroneamente, disponeva la revoca, anzichè della delibera n. 121/03, della delibera n. 34/2005 (esclusione della società "C.S." dalla gara di cui sopra), già annullata dalla sentenza TAR n. 171/2006.

5. Infine, con la delibera giuntale n. 17/2008, il Comune ridefiniva la destinazione urbanistica del lotto già assegnato alla C.S., stabilendo che superficie e volumi del medesimo fossero destinati alla realizzazione di interventi di edilizia residenziale pubblica (ERP).

6.- Le delibere n. 17 e 18/2008 venivano impugnate dalla società assegnataria innanzi al TAR Lazio (sezione di Latina) e con esse, in via subordinata, anche l’accordo di programma in data 30.7.1999 (DPGR n. 1272/1999), inerente il Piano di intervento integrato.

7. Con la sentenza epigrafata (n.1175/2008) il ricorso era accolto, con conseguente annullamento delle due delibere impugnate; nulla quindi disponeva il TAR in ordine alla domanda di annullamento dell’accordo di Programma.

La pronuncia del TAR è stata motivata, in sintesi, su un triplice ordine di motivazioni:

a- la Giunta ha dato avviso di procedimento di revoca (e poi revocato) con riferimento ad un atto che non ha carattere esecutivo e già annullato da sentenza, sicchè il primo rilievo rende inidoneo l’avviso a svolgere la sua funzione ed il secondo palesa l’inesistenza dell’oggetto della revoca da parte della delibera n.18/08;

b- la modificazione di destinazione del lotto operata dalla delibera n. 17/08 comportava una variante al PRG ed al programma integrato, per cui avrebbe dovuto essere adottata con le procedure previste dalla legge per le varianti;

c- nel determinarsi nel senso contestato dalla ricorrente C.S., il Comune ha violato il deliberato consiliare che aveva invece disposto l’alienazione del lotto;

d- le delibere impugnate costituiscono violazione degli obblighi derivanti dalle sentenze n. 171/2006 e n. 153/2007, che hanno sancito l’assegnazione del lotto in favore della ricorrente, o comunque integrano, per la stessa ragione un eccesso di potere, sussistendo numerosi elementi sintomatici a sua dimostrazione.

8. – Contro la sentenza è insorto il Comune di Sperlonga, con l’appello in trattazione, sostenuto da motivi evidenzianti che il TAR:

a- ha omesso in toto di pronunziarsi sulle eccezioni di inammissibilità avanzate dal Comune ricorrente (v p.8 della memoria di primo grado);

b- ha erroneamente richiamato motivi di ricorso diversi da quelli dedotti, non cogliendo peraltro che la indicazione della delibera n. 34/2005 come oggetto della revoca (anzicchè della n.121/2003) è un mero errore materiale;

c- ha condiviso la tesi dell’incompetenza della Giunta nell’adottare la delibera n.17/08 e dell’erroneità del delibera di n.18/08, in relazione alla necessità che la variazione del programma fosse introdotta con apposita variante dello strumento urbanistico;

d- ha ritenuto fondato il vizio di eccesso di potere, in quanto, nonostante l’ampia discrezionalità pianificatoria del Comune e l’adozione di articolata motivazione nel suo esercizio, ha ritenuto dimostrata la asserita finalità di non adempiere agli obblighi scaturenti dalla pronunzie n.171/06 e n.153/2007, rese in favore dell’appellata società "C.S.".

Le argomentazioni svolte a sostegno di tali censure sono esaminate nel prosieguo della presente decisione.

9- L’appellata società C.S. si è costituita nel giudizio, resistendo all’appello.

Le parti hanno illustrato in memoria le rispettive tesi e, alla pubblica udienza dell’8 giugno 2010, il ricorso è stato discusso e trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

1- Precedono gli aspetti di merito della controversia alcuni profili processuali, sollevati nel primo mezzo d’appello. Questo lamenta come la sentenza gravata non abbia proceduto all’esame delle eccezioni preliminari proposte in primo grado dalla difesa comunale. La censura non può avere esito favorevole, poiché le eccezioni in argomento (in effetti non esaminate dal TAR che pur ha accolto il ricorso nel merito) risultano infondate per le ragioni che seguono; ed invero:

1.1- quanto alla mancata proposizione del ricorso secondo le forme dell’ottemperanza (art. 90 R.d. n 642), deve rilevarsi che il ricorso tende all’annullamento di atto ritenuto di natura elusiva del giudicato, che quindi, secondo costante insegnamento della giurisprudenza (ex multis, v. Cons. di Stato, sez IV, n. 746/1988), può essere impugnato con ricorso ordinario;

1.2- l’asserita tardività della impugnazione dell’accordo di programma, viene sostenuta rilevando il decorso del termine decadenziale di 60 giorni sia dalla data di pubblicazione sul BURT che dalla sua ratifica comunale; il Collegio osserva che l’atto di carattere generale o presupposto, che non risulti immediatamente lesivo, può essere censurato unitamente all’atto che ha concluso il procedimento facendone applicazione, rimanendo il ricorso assoggettato al rispetto del solo termine stabilito per l’impugnazione dell’atto applicativo (Cons di Stato, sez. V, n.1075/2000).

2- L’esame della controversia sottoposta al Collegio, in ordine logico procedimentale, vede coinvolti i seguenti provvedimenti, tutti annullati dalla sentenza gravata:

a- la delibera giuntale n.18/2008, recante la revoca della normativa regolante l’aggiudicazione del lotto del Piano di intervento integrato disposta in favore della società C.S. (delib. n. 121/2003);

b- la delibera giuntale n. 17/2008, recante il mutamento tipologico dell’edilizia realizzabile sul lotto aggiudicato, da destinazione edilizia residenzialeservizi privati ad edilizia residenziale pubblica (ERP).

c- in relazione all’eventuale esito favorevole della impugnazione "sub b", l’Accordo di programma approvativo del piano di intervento.

2.1.- Entra nel merito del contendere il secondo ordine di censure d’appello, con riferimento all’annullamento della delibera n. 18/2008; questa ha formalmente disposto la revoca della delibera n. 34/2003, mentre nella parte motiva illustra le ragioni per procedere alla revoca della delibera n. 121/2003 (per la quale è stato emesso l’avviso di procedimento) avente ad oggetto la precedente disciplina di gara, conclusasi con l’aggiudicazione del lotto alla società appellata.

Sul punto la sentenza ha anzitutto rilevato la non corrispondenza tra l’avviso del procedimento (atto n.721/2008, che risulta avviato per la revoca della deliberazione n.121/2003) e la revoca alla fine adottata, avente invece per oggetto la delib n.34/2005. Alla censura proposta (trattata al punto n.9 della sentenza) il primo giudice ha dato esito positivo rilevando che l’atto della Giunta ha carattere diverso (esecutivo) ed è afflitto da inesistenza dell’ oggetto, poiché la delibera revocata era già stata annullata, per effetto di precedente decisone giurisdizionale; la sentenza aggiunge che l’errore rilevato avrebbe perciò condotto ad una vanificazione della funzione dell’avviso procedimentale pur reso dalla relativa nota inviata dall’amministrazione.

Il motivo svolto dall’ appellante nega la sussistenza del vizio procedimentale individuato dal TAR, deducendo che trattasi di errore materiale che il primo giudice avrebbe potuto agevolmente rilevare con un’attenta lettura del provvedimento (in particolare dell’avviso procedimentale), pervenendo quindi ad escludere il vizio del procedimento prospettatogli. La censura è fondata.

Al riguardo il Collegio osserva quanto segue.

Dall’esame della diffusa motivazionepremessa recata dalla delibera giuntale n.18/2008 a sostegno della revoca, emerge con chiarezza che quest’ultima era diretta non alla delibera n.34/2003 (che aveva escluso la ricorrente dalla gara) ma esplicitamente alla delibera n.121/2003, riguardante la disciplina dell’asta per l’assegnazione dei lotti; che questo fosse l’oggetto sostanziale della revoca (la delibera n.121/2003) è confermato del resto dalle esplicite valutazioni recate dalla delibera impugnata e con le quali il Comune spiega le ragioni per cui intende procedere al varo di una nuova disciplina delle gare. Peraltro, revocare l’altra delibera (n.34/03), che aveva disposto l’esclusione della C.S. dalla gara, ne avrebbe determinato la riammissione alla procedura, risultato del tutto inutile in quanto già conseguito per via giurisdizionale (con le sentenze sopra citate). Si tratta quindi di un caso di contraddizione tra premessa del provvedimento (recante la motivazione) ed il suo dispositivo, che deve essere risolto alla stregua degli orientamenti offerti dalla giurisprudenza in materia. In particolare viene qui in rilievo il principio per cui, rispetto ad ipotesi di invalidità dell’atto per contraddizioni inerenti il suo oggetto, deve prevalere la possibile ricostruzione logico- giuridica della volontà dell’amministrazione e della logica complessiva dell’azione amministrativa esercitata, al fine di attribuire un significato non irrazionale all’atto nella sua interezza (cfr. Cass, civ., n.1815/2000 e TAR Lombardia, BS, n.1122/2010). La ricostruzione della vicenda come errore materiale è pertanto condivisibile, sussistendo diversi ed univoci elementi per ritenere che l’oggetto effettivo ed indiscutibile della revoca fosse la delibera n. 121/2003. Sono perciò infondati i rilievi svolti del primo giudice sia sull’avviso del procedimento (perché questo corrisponde pienamente all’oggetto della revoca), sia sulla ritenuta inesistenza dell’oggetto del provvedimento, che come detto è chiaramente la delibera n. 121/2003.

L’esatta individuazione del provvedimento effettivamente revocato priva quindi di ogni rilievo il fatto che la delibera erroneamente revocata fosse stata già annullata in sede giurisdizionale, non costituendo la delibera stessa l’oggetto effettivo della revoca disposta.

2.2 – La corretta ricostruzione dell’oggetto della revoca, non sgombra però il campo dalle questioni emerse sul provvedimento in esame, atteso che la sentenza impugnata ha ritenuto illegittima la revoca con riferimento alle posizioni acquisite dalla società appellata.

In primo luogo occorre verificare se, una volta venuta meno (per effetto della revoca) la disciplina di gara inizialmente stabilita, risulti travolta anche l’aggiudicazione del lotto alla società appellata che di quella disciplina aveva fatto applicazione. Si accede così alla questione se la revoca della disciplina di gara poteva legittimamente porsi in contrasto con (o determinare il venir meno di) un’aggiudicazione sancita in favore della società da sentenze delle quali la ricorrente, con censura accolta dal TAR, ha lamentato l’assoluta mancata considerazione.

In contrario l’appello argomenta diffusamente sul potere dell’amministrazione di procedere, previa ampia motivazione sul pubblico interesse, a modificazioni di un Piano urbanistico nel senso di scelte preferenziali (nella specie verso l’edilizia pubblica residenziale) che, nel corso del tempo, si presentino di migliore utilità per il pubblico bene, e che, per tale ragione, possono essere effettuate anche in deroga a situazioni sancite da un "dictum" giurisdizionale.

Va premesso che la questione presenta un aspetto pregiudiziale, dovendo essere chiariti portata ed effetti della revoca rispetto alla posizione conseguita dalla società aggiudicataria per effetto della sentenza. Nel merito, e permanendo detta posizione, va poi definito quali limiti essa incontri a fronte dei poteri pianificatori nella specie esercitati (con l’altra delibera) a modifica della destinazione dell’area assegnata.

2.2.1 – Sotto il primo aspetto va premesso che la revoca della disciplina di gara normalmente determina l’automatico venir meno della aggiudicazione disposta in sua applicazione (TAR Sicilia, PA, n. 4483/2002)

Ad avviso del Collegio la questione deve essere sicuramente risolta nel senso della illegittimità della revoca di una disciplina di gara che, per concatenazione procedurale, viene ad incidere su posizioni consolidate a seguito della procedura revocata. Nel caso in esame, invero, la società "C.S." ha avuto riconosciuto prima il diritto a partecipare alla gara e poi alla sua aggiudicazione, e tale posizione è stata sancita da un "dictum" giurisdizionale; in tale situazione una pur diffusa motivazione sul pubblico interesse a giustificazione del sacrificio della posizione conseguita dall’aggiudicatario, appare, oltreché tardiva, insufficiente, alla stregua del principio conformativo che assiste la sentenza, per legittimare il travolgimento di situazioni soggettive consolidatesi prima dell’esercizio del potere di autotutela. Oltre a ciò, pur reperendo nella fattispecie provvedimentale in esame un’ampia motivazione sull’interesse pubblico a sostegno della revoca (ad ossequio dei principi generali), la Sezione, rileva che la stessa operando specificamente solo sulle modalità della gara per l’assegnazione delle aree, risulta solo mediatamente o indirettamente collocabile in un contesto propriamente pianificatorio, del quale non può pertanto invocare i principi che normalmente permettono di esercitare il potere in questione previo motivato sacrificio delle posizioni soggettive preesistenti. Nel caso "sub iudice", e fatto salvo quanto si osserverà sull’altro citato versante del potere esercitato (per modificare la destinazione del lotto), deve dunque farsi applicazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale, per il quale il provvedimento di revoca risulta illegittimo, o meglio nullo (secondo la giurisprudenza prima (v. "ex multis" Cons. di Stato, sez. V, n.861/2006) e la formulazione poi introdotta all’art. 21septies della legge n. 241/1990), allorchè infranga i limiti costituiti da situazioni soggettive sancite da sentenze passate in giudicato o comunque esecutive ai sensi dell’art. 33 della legge n.1034/1971; su tali problematiche, quindi, correttamente il TAR ha fatto riferimento al principio conformativo del giudicato, rilevandone la violazione da parte della nominata delibera giuntale. Per le esposte ragioni quest’ultima, e nonostante abbia effetti retroattivi anteriori alla formazione del giudicato (revocando una delibera del 2003) non poteva legittimamente essere opposta alla società C.S., in favore della quale resta dunque ferma l’aggiudicazione del lotto interessato.

Con riferimento all’annullamento della deliberazione n.18/2003 pertanto l’appello, a conferma della sentenza impugnata, deve essere respinto, determinandosi anche la conferma della aggiudicazione del lotto alla società appellata.

2.2.2 – A diversa conclusione deve pervenirsi invece sulle ragioni che, come affermato dal TAR, renderebbero illegittima la contestata variazione della destinazione del lotto (disposta dall’altra delibera), in esercizio del potere pianificatorio. Vengono qui in esame gli altri motivi d’appello proposti, a partire dal terzo mezzo.

A- In ordine logico la prima questione da trattare (punto 10.1 della sentenza) ha natura procedimentale ed investe la possibilità per il Comune di mutare la destinazione di suoli a mezzo di semplice delibera di Giunta, senza ricorrere cioè ad una delibera consiliare di variante dello strumento in questione, costituito dal piano integrato; in assenza di questa, secondo la tesi dei primi giudici, la delibera giuntale n.17/2008, nel disporre il mutamento ha esorbitato dai limiti dell’art. 6 della legge regionale Lazio n. 22/1997, entro i quali è consentito non ricorrere ad un formale procedimento di variante urbanistica in senso tecnico. Il TAR ha accolto la tesi della società "C.S.", in particolare osservando che la modifica di destinazione attiene a categoria non omogenea, comporta la realizzazione di organismi edilizi autonomi e riguarda una quota superiore al 10%. Il motivo d’appello in esame ritiene invece erronea questa tesi e, ribadita la compatibilità del procedimento seguito con la citata norma di legge regionale, argomenta che la modificazione era consentita dal punto 2 delle norme di carattere generale contenute nella scheda normativa per ambito di intervento del piano, recepite dall’accordo di programma. Il motivo è fondato.

Il Collegio non ritiene anzitutto che l’art. 6 della citata legge regionale n.22/1997 sia applicabile alla fattispecie, considerando che le sue prescrizioni si rivolgono esplicitamente ai mutamenti dei progetti esecutivi degli interventi e a quegli interventi che si trovino nella " fase di realizzazione". Il provvedimento contestato attiene invece a fase ben anteriore a quella progettuale, poiché inerente al regime giuridico edilizio da conferire all’ area in questione (sotto il profilo della tipologia dell’intervento previsto), elemento di natura pianificatoria che normalmente precede le fasi successive. Al procedimento "de quo" erano da applicarsi piuttosto le norme dell’art.4, comma 4, della citata legge regionale, il quale in effetti indica espressamente tra le altre forme procedimentali alternative l’accordo di programma. In realtà il problema della esatta individuazione della norma applicabile al procedimento di modifica del piano integrato va risolto alla stregua dell’art. 2 della normativa generale (varata a corredo della delibera n.10/99) approvata dall’accordo di programma (DPRG n.1272/99). Tale norma dispone infatti che "nel rispetto delle volumetrie fissate dalla Tabella A" "l’Amministrazione potrà variare le destinazioni d’uso e che le"suddette modifiche non costituiranno variante al P.I.". Al riguardo, premesso che il primo giudice non ha svolto alcuna indagine sulla portata di queste disposizioni dell’Accordo, il Collegio osserva che esse hanno invero una duplice e decisiva valenza, permettendo anzitutto all’amministrazione, nel rispetto delle volumetrie, di modificare le destinazioni d’uso inizialmente stabilite per i fondi posti a sua disposizione; la norma stabilisce poi che queste modifiche non costituiscono variante al programma integrato. In sostanza l’accordo di programma costituisce espressamente, ai sensi del già sopra richiamato art. 4 della legge regionale, anzitutto uno strumento procedurale speciale in quanto alternativo alle forme di cui all’art. 2 (che richiama a sua volta le disposizioni della legge regionale 2 luglio 1987,n.36, concernenti lo snellimento delle procedure); la evidente "ratio" acceleratrice della disposizione, unitamente al suo tenore letterale, permette in definitiva di affermare che il punto 2 delle disposizioni di carattere generale costituisce la disciplina da applicare al procedimento di modificazione del piano integrato, sicchè le variazioni rispettose delle volumetrie possono essere disposte senza ricorrere ad alcun procedimento di variante tecnicoformale.

B.- Del resto, passando al profilo sostanziale della censura, la delibera di variazione rispetta l’unica condizione imposta dalla norma suddetta, costituita dall’osservanza della volumetria originariamente prevista, sulla quale il TAR nella specie si è invece pronunziato negativamente, rilevando una localizzazione sui lotti in questione di una volumetria superiore al 10% di quella complessivamente prevista. La conclusione del TAR non è condivisibile.

A parte il fatto che il limite, come sopra già chiarito, non è applicabile ad un procedimento che è regolato da altre disposizioni che detto limite non prevedono, deve confermarsi che la delibera contestata non ha operato una modificazione delle volumetrie del lotto interessato ma soltanto destinato le stesse ad uso ERP. Ed invero nel dispositivo del provvedimento si legge chiaramente che:

– la dotazione ERP viene integrata dalla dotazione del lotto D/E conferendovi la superficie (misurante mq 10.755);

– conseguentemente viene destinata all’ ERP anche la corrispondente volumetria stabilita in origine (mc 6000) per il lotto in questione.

E’ quindi da escludere che la delibera non abbia rispettato le volumetrie esistenti, anche perchè le contestate modificazioni sono state disposte tra destinazioni che risultano funzionalmente omogenee in quanto entrambe di natura ricettiva e sottoposte perciò ai medesimi "standards" urbanistici. Il mezzo d’appello dedotto è pertanto fondato anche sotto l’aspetto sostanziale, atteso che l’art. 2 della citata normativa generale dell’Accordo, nell’imporre il rispetto della volumetria precedentemente fissata dall’Accordo stesso, permette dunque solo le modificazioni tra tipologie omogenee (nel caso in esame residenziale).

Quest’ultima precisazione, certamente di natura interpretativa, è peraltro necessaria proprio per assicurare il rispetto delle previsioni volumetriche del Piano di intervento, atteso che la predeterminazione dei volumi è operata normativamente tramite "standards" dimensionali stabiliti per categorie di destinazione edilizia.

3.- – Il quarto motivo d’appello introduce la trattazione delle altre ragioni indicate dal TAR a sostegno della propria pronunzia; le motivazioni adottate investono altri due aspetti inerenti la deliberazione in esame:

a- Il giudice di prime cure ha rilevato l’illegittimità della delibera n. 17/08, che imprime una nuova destinazione ai lotti, anzitutto sotto il profilo del contrasto con il provvedimento che aveva disposto l’alienazione del lotto assegnato alla ricorrente. Sul punto l’appello deduce che tale contrasto non sussiste in quanto la nuova destinazione agevola il soddisfacimento delle esigenze abitative in materia di alloggi di edilizi popolare e tale esigenza di pubblico interesse rivestirebbe carattere prevalente rispetto a provvedimenti amministrativi;

b- Le delibere impugnate si sottraggono agli obblighi derivanti dalle sentenze n. 171/2006 e n. 153/2007, anche poiché integrano, un eccesso di potere per sviamento, sussistendo elementi sintomatici a dimostrazione del fatto che l’Amministrazione avrebbe fatto uso dei poteri pianificatori per porre nel nulla la posizione conseguita dalla società oggi appellata. In proposito il Comune di Sperlonga controdeduce argomentando sull’insussistenza degli ipotizzati sintomi di eccesso di potere rispetto alle invocate decisioni e nuovamente richiamandosi all’ampia motivazione che, nel pubblico interesse permetterebbe di superare, le posizioni acquisite dalla società appellata.

Le tesi svolte dal Comune, con riguardo alle modificazioni di cui si discute, sono meritevoli di accoglimento, considerati i limiti dispositivi presentati dalle stesse sentenze richiamate dal TAR.

Si è testè evidenziato che la citate pronunzie si limitano a garantire solo l’assegnazione del lotto alla società appellata (impedendo revoche con essa contrastanti) senza però estendersi a tutelare la realizzabilità su di esso della specifica tipologia edilizia originariamente stabilita dal piano integrato, restando quindi legittima l’individuazione di una diversa ma omogenea tipologia edilizia.

D’altra parte, occorre muovere dal principio già affermato da questo Consesso e per il quale "non è consentito dilatare il contenuto dispositivo di una sentenza fino a ricomprendervi nuovi vincoli per la successiva azione amministrativa, che non siano espliciti nelle statuizioni del giudice o che non siano un effetto diretto o immediato di quell’ accertamento o di quella pronuncia (Cfr. Cons. Stato, V Sez., 4 maggio 1979 n. 212 e VI Sez., 31 gennaio 1986 n. 83, in "Cons. Stato", 1979, I, 750, e 1986, I, 119).

Nel caso in esame, e diversamente da quanto ritenuto dal TAR, può affermarsi quindi che non sussistevano anzitutto i presupposti oggettivi per dare luogo sul punto ad un contrasto tra il giudicato e la nuova (ma omogenea) tipologia impressa al lotto dalla delibera giuntale n.17/2008; va aggiunto che quest’ultima è anche assistita da un ampia motivazione che, in conformità ad un pacifico orientamento giurisprudenziale, chiarisce le ragioni per le quali si procede al sacrificio di una posizione privata che aspirava a realizzare, sul lotto assegnato, una diversa tipologia di intervento edilizio; ed invero "il principio secondo il quale le scelte urbanistiche non comportano necessità di specifica motivazione incontra deroghe quando particolari situazioni hanno creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti, le cui posizioni appaiono meritevoli di specifica considerazione" (Cons. di Stato, sez.IV, n.1068/1993, in tema di impegni presi per effetto di convenzione di lottizzazione; cfr. anche Ap. 21 ottobre 1980 n. 37, IV Sez. 28 gennaio 1985 n. 2, IV Sez. 2 luglio 1983 n. 488, IV Sez. 20 marzo 1985 n. 96, IV Sez. 4 marzo 1993 n. 240 e IV Sez. 11 dicembre 1979 n. 1141, in "Consiglio di Stato", 1980, I, 1269; 1985, I, 5; 1983, I, 671; 1985, I, 265; 1993, I, 309; 1979, I, 1772).

E poiché l’aspettativa della società appellata era da ritenersi limitata alla assegnazione del lotto e, dall’altro versante, le necessarie motivazioni della variazione sono del tutto chiaramente individuate dal Comune nella esigenza socialelocale di incrementare gli interventi di edilizia residenziale pubblica, deve ritenersi che, disponendo la contestata modificazione della tipologia edilizia in origine prevista per il lotto, il Comune si è mantenuto nell’alveo dei poteri assegnatigli, non intaccando il "dictum giurisdizionale" come invece indicato dal TAR. In favore della stessa conclusione milita del resto il già rilevato potere, previsto dall’art. 2 delle norme generali dell’Accordo, di procedere a modificazioni della predetta natura.

I rilevati profili di eccesso di potere, pertanto, non sussistono.

. Per le ragioni esposte ai punti precedenti, l’appello proposto avverso l’annullamento della deliberazione n.17/2008 deve essere accolto, con riforma sul punto della sentenza impugnata e corrispondente rigetto del ricorso di primo grado.

3.1- L’accoglimento dell’appello nei predetti termini comporta la trattazione della domanda subordinata, formulata dalla società C.S. innanzi al TAR e tesa all’annullamento dell’ Accordo di programma 30.7.1999, domanda non trattata dai primi giudici avendo essi accolto la domanda principale, oggi rigettata.

– Ma tutte le censure svolte dal ricorso di primo grado contro l’accordo di programma integrato sono infondate, atteso che il medesimo:

– è stato sottoscritto ed approvato ben prima della sua formazione del giudicato, il quale non può quindi esplicare effetti su detta fonte pattizia;

– sia diversamente regolando il procedimento formale che prevedendo la possibilità di modificare la tipologia della destinazione (nel rispetto delle prescrizioni ivi indicate), non si pone in contrasto con alcune delle disposizioni di legge invocate.

4.- Conclusivamente l’appello deve essere in parte rigettato ed in parte accolto, nei termini di cui in motivazione, con corrispondente riforma parziale della sentenza di primo grado.

In ragione della presente decisione, la società C.S. conserva il diritto all’assegnazione e conseguente alienazione del lotto in proprio favore, ma ha titolo di realizzarvi non più l’intervento nella tipologia edilizia in origine prevista ma in quella di edilizia residenziale pubblica, come disposto dalla delibera n.17/2008.

5. – Le spese del doppio grado giudizio possono essere compensate, attesa sia la soccombenza parziale nell’ appello, sia la sufficiente complessità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe:

– ACCOGLIE l’appello relativamente all’annullamento della delibera n. 17/2008, nei quali limiti, per l’effetto, riforma la sentenza impugnata e respinge il ricorso di primo grado, anche con riguardo all’accordo di programma di cui al DPRG n. 1272/1999;

– RESPINGE l’appello, con riferimento all’annullamento della delibera n.18/2008.

– Dichiara interamente compensate tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 novembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Anna Leoni, Presidente FF

Sandro Aureli, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere

Raffaele Potenza, Consigliere, Estensore

Andrea Migliozzi, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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