Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 23-07-2012, n. 12780 Ricostituzione di posizioni assicurative

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo

Con sentenza depositata in data 20/2/2008 il Tribunale di Grosseto accoglieva la domanda avanzata da V.A. nei confronti dell’I.N.P.S., diretta a far accertare la responsabilità di quest’ultimo in relazione alla ritardata presentazione della domanda di pensione (solo nel novembre del 2005), laddove la presenza di 91 contributi agricoli sarebbe dovuta risultare – contrariamente a quanto era avvenuto – negli estratti conto datati 20/10/2004 e 8/2/2005, e condannava l’Istituto a corrispondere al ricorrente le somme pari all’ammontare della pensione di anzianità spettantegli per il periodo dal 1/10/2004 fino al 30/11/2005, oltre agli interessi legali dalle singole scadenze al saldo, nonchè a procedere al ricalcolo della suddetta pensione. Con sentenza depositata in data 18/10/08, la Corte di appello di Firenze, in accoglimento del gravame proposto dall’I.N.P.S. avverso la pronuncia del Tribunale, rigettava l’azionata domanda. Nel pervenire a tale decisione la Corte territoriale riteneva che la condotta dell’assicurato, caratterizzata da inerzia e disattenzione nel non segnalare all’Istituto il mancato accredito dei 91 contributi agricoli, fosse riconducibile alla previsione dell’art. 1227 cod. civ., comma 2 ai sensi del quale il risarcimento degli eventuali danni non è dovuto qualora il creditore non abbia usato l’ordinaria diligenza per evitare gli stessi.

Stigmatizzava la mancata collaborazione del V., evidenziando che lo stesso non aveva mai presentato domanda di pensione prima del novembre 2005 nè proposto ricorso amministrativo avverso il diniego del trattamento con decorrenza precedente, per cui appariva difficile concretizzare un presunto e virtuale diritto a pensione decorrente dall’ottobre 2004. Per la cassazione di tale sentenza ricorre V. A. con impugnazione affidata a quattro motivi. Resiste con controricorso l’I.N.P.S..

Motivi della decisione

1.1 Si premette che il ricorso è soggetto alla disciplina delle modifiche al processo di cassazione, disposte dal D.Lgs. n. 40 del 2006, e segnatamente dall’art. 366 bis cod. proc. civ., poi abrogato dalla L. n. 69 del 2009, art. 47, lett. d) (entrata in vigore il 4 luglio 2009), che si applicano ai ricorsi proposti contro le sentenze ed i provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006 compreso, cioè dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. (art. 27, comma 2 di tale D.Lgs.).

1.2 Con primo motivo di ricorso censura il ricorrente la sentenza impugnata per: "Violazione art. 342 cod. proc. civ. – Error in procedendo". Deduce che l’atto di appello proposto dall’I.N.P.S. era inammissibile in quanto non presentava un chiaro contenuto, non consentendo di individuare le statuizioni concretamente impugnate nè le ragioni sulla quali il gravame si fondava in quanto le stesse non erano state esposte con sufficiente grado di specificità. Evidenzia, inoltre, che l’atto di appello era totalmente carente dell’esposizione, quantomeno sommaria, anche in relazione ai fatti relativi allo svolgimento del processo di primo grado che l’art. 342 cod. proc. civ. esige, invece, siano esposti nel ricorso. Formula, al riguardo, il seguente quesito di diritto: "Accerti e dichiari la Suprema Corte di Cassazione se vi è stata violazione dell’art. 342 cod. proc. civ. laddove nell’atto di appello non siano indicati espressamente l’esposizione sommaria dei fatti ed i motivi specifici dell’impugnazione e, conseguentemente, se vi sia stato error in procedendo da parte del Giudice di secondo grado nella sentenza n. 1423/08 emessa in data 10/10/2008, laddove la Corte di Appello non abbia dichiarato inammissibile il ricorso di secondo grado perchè non contenente lo svolgimento del processo e dunque i fatti del giudizio di primo grado ed i motivi costituenti le ragioni di diritto del gravame".

Va in primo luogo dissipato il dubbio che trattasi di questione di interpretazione dell’atto di appello, riservata certamente al giudice di merito. La censura rileva, infatti, sotto il profilo processuale in quanto riguarda il problema dell’idoneità dell’atto, ai sensi dell’art. 342 cod. proc. civ. espressamente richiamato, ad espletare il suo effetto devolutivo ed a far conoscere quindi al giudice di secondo grado i termini dell’impugnazione per decidere su di esso (così Cass. n. 21677 del 14/08/2008: "La censura di omessa motivazione sulla doglianza di mancanza di specificità dei motivi di appello ha per oggetto un error in procedendo, atteso che l’omessa motivazione costituisce violazione della norma processuale di cui all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e che non potrebbe costituire errore di giudizio il difetto di quest’ultimo. Ne consegue che detto vizio può essere direttamente delibato dalla Cassazione mediante esame diretto degli atti, anche in omaggio al precetto costituzionale sul giusto processo" e più di recente Cass. S.U. 22 maggio 2012 n. 8077 secondi cui: "Quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, ed in particolare un vizio afferente alla nullità dell’atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell’oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purchè la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 6, e art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4)".

Orbene il ricorrente, dopo aver ritualmente adempiuto all’onere di richiedere la trasmissione del fascicolo d’ufficio alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e di depositare tale richiesta insieme al ricorso, ha riprodotto le parti del ricorso in appello che a suo dire si sarebbero risolte in mere enunciazioni tautologiche, carenti di qualsivoglia profilo normativo e comunque di specifiche critiche al ragionamento del giudice di primo grado. La censura, se pure consente di supera positivamente la preliminare delibazione di cui dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7 (gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi dei quali il legislatore ha imposto il deposito, a pena di improcedibilità del ricorso, sono quelli che non fanno parte del fascicolo d’ufficio del giudizio nel quale è stata pronunciata la sentenza impugnata – così Cass. 30 agosto 2010 n. 18854 del 30/08/2010 ed in senso conforme Cass. S.U. 3 novembre 2011 n. 22726 -) e comunque il giudizio di inammissibilità, è tuttavia infondata.

Questa Corte ha più volte statuito che essendo l’appello un mezzo di gravame con carattere devolutivo pieno, non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito, il principio della necessaria specificità dei motivi – previsto dall’art. 342 c.p.c., comma 1, nel rito del lavoro, dall’art. 434 cod. proc. civ., – prescinde da qualsiasi particolare rigore di forme, essendo sufficiente che al giudice siano esposte, anche sommariamente, le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l’impugnazione, ovvero che, in relazione al contenuto della sentenza appellata, siano indicati, oltre ai punti e ai capi formulati, anche, seppure in forma succinta, le ragioni per cui è chiesta la riforma della pronuncia di primo grado, con i rilievi posti a base dell’impugnazione, in modo tale che restino esattamente precisati il contenuto e la portata delle relative censure (cfr.: Cass. 6 luglio 2007 n. 15263, id. 25 maggio 2007 n. 12240, 11 ottobre 2006 n. 21745, 16 maggio 1997 n. 4368).

Peraltro, l’indicazione dei motivi di appello richiesta dall’art. 342 cod. proc. civ. e, nel rito del lavoro, dall’art. 434 cod. proc. civ., non esige una parte espositiva formalmente autonoma ed unitaria, ma, in quanto funzionale all’individuazione delle censure mosse dall’appellante, può emergere anche indirettamente dalle argomentazioni svolte a sostegno dei motivi di impugnazione, ove questi forniscano gli elementi idonei a consentire l’individuazione dell’oggetto della controversia e delle ragioni del gravame. Inoltre, atteso il carattere devolutivo dell’appello e la mancanza in esso del principio di autosufficienza, tale requisito è soddisfatto mediante il rinvio circostanziato a singoli atti del processo, in modo da consentire al giudice, attraverso l’esame di tali atti (che si presumono noti), di acquisire gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dei termini della controversia e dello svolgimento del processo (così Cass. 20 agosto 2004 n. 16422 ed in senso conforme Cass. 29 gennaio 2007 n. 1790).

Nella specie non si rileva il lamentato vizio.

Come si evince dalla impugnata sentenza, il giudice di gravame ha riformato la decisione del primo giudice perchè questi, come denunziato nell’atto di appello, aveva inammissibilmente considerato che la pensione del V. non dovesse restare fissata con decorrenza dal dicembre 2005, senza che in realtà nulla vi fosse da ricostituire o integrare, ed in particolare omesso di considerare che: 1) in mancanza di domanda non era possibile la liquidazione della pensione con decorrenza pregressa; 2) il ricalcolo della pensione era illegittimo sia perchè non richiesto sia perchè la somma riconosciuta al V. era stata attribuita a titolo di risarcimento e non di arretrati o ratei di pensione; 3) alcuna inesattezza era imputabile all’I.N.P.S. il quale non aveva riportato nelle certificazioni la contribuzione del V. quale coltivatore diretto in quanto il dato, estraneo ai propri archivi, non era a sua conoscenza; 4) erroneamente non era stata attribuita rilevanza alla responsabilità dello stesso assicurato il quale mai aveva fatto presente tempestivamente la sussistenza dei contributi agricoli utili per l’accesso alla pensione dall’ottobre 2004, Si evince, altresì, dal ricorso in appello che l’Istituto aveva censurato la ritenuta sussistenza di un danno, rilevando, da una parte, che la certificazione rilasciata dall’I.N.P.S. recava chiaramente l’avvertenza che non era da intendersi definitiva ed impegnativa e conteneva l’invito al destinatario ad effettuare le necessarie verifiche e, dall’altra, che il V. aveva continuato a prestare attività lavorativa fino a novembre 2005, per cui, al più, il risarcimento andava contenuto nell’eventuale differenza reddituale.

Non erano, dunque, ravvisabili seri profili di inammissibilità dell’appello, atteso che il relativo atto, contenendo i requisiti prescritti ai fini della qualificazione di un rituale gravame, a norma del sopra citato art. 434 cod. proc. civ., consentiva l’immediata e pronta individuazione dei termini della controversia e delle questioni da risolvere oltre che dello svolgimento del processo.

1.3 Con secondo motivo di ricorso censura il ricorrente la sentenza impugnata per: "Violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 88 del 1989, art. 54". Deduce che il tenore letterale della norma richiamata ("E’ fatto obbligo agli enti previdenziali di comunicare, a richiesta esclusiva dell’interessato o di chi ne sia da questi legalmente delegato o ne abbia diritto ai sensi di legge, i dati richiesti relativi alla propria situazione previdenziale e pensionistica. La comunicazione da parte degli enti ha valore certificativo della situazione in essa descritta") è chiaro nell’imporre all’I.N.P.S. l’obbligo di comunicare correttamente all’assicurato che ne faccia richiesta i dati relativi alla propria situazione previdenziale e pensionistica. Evidenza che in modo riduttivo la Corte territoriale ha affermato che il valore certificativo di cui alla L. n. 88 del 1989, art. 54 va attribuito solo nei casi in cui non sia apposta dall’ente (come invece nella specie è avvenuto) nell’estratto conto richiesto dall’assicurato l’avvertenza di non essere dotato il medesimo documento di valore assoluto, a causa degli ovvi riscontri demandati alla collaborazione del medesimo interessato. Evidenzia, altresì, che la Corte di merito ha totalmente trascurato il fatto che l’estratto conto fornito dall’Istituto al V. in data 21/11/2001 riportava espressamente la dizione "comunicazione certificativa del conto assicurativo ai sensi della L. n. 88 del 1989", nel quale veniva omesso il conteggio delle 91 settimane di contributi da coltivatore diretto. Formula, pertanto, il seguente quesito di diritto: "Accerti e dichiari la Suprema Corte di Cassazione se vi sia stata violazione/falsa applicazione della L. n. 88 del 1989, art. 54 laddove la sentenza della Corte d’appello ha dichiarato che agli estratti conto che riportino l’avvertenza di non essere dotati di valore assoluto con richiamo ad una espressa riserva di verifica da parte dell’assicurato, debba essere attribuito un mero valore dimostrativo ed illustrativo e quindi non debbano essere ritenuti impegnativi per l’Ente sotto il profilo della responsabilità e dell’affidamento del contribuente, e dunque se vi sia stata violazione della L. n. 88 del 1989, art. 54 laddove non si attribuisca valore certificativo della situazione previdenziale e pensionistica descritta nella comunicazione che l’Ente rilascia a richiesta dell’interessato".

1.4 Con terzo motivo di ricorso censura il ricorrente la sentenza impugnata per: "Violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 88 del 1989, art. 54 in relazione agli artt. 1175, 1176, 1218, 1227 cod. civ.". Deduce che, trattandosi, nella specie, di ipotesi di responsabilità contrattuale il creditore che agisce in giudizio (nella specie l’assicurato) per il risarcimento del danno ovvero per l’adempimento deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento o del non esatto adempimento della controparte, mentre il debitore convenuto (nella specie l’I.N.P.S.) è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento o dall’impedimento rappresentato dall’impossibilità della prestazione per causa a lui non imputabile. In conseguenza incombeva all’I.N.P.S. provare il fatto estintivo della pretesa del ricorrente, non potendosi dare rilevanza esclusivamente alla mancata comunicazione da parte dell’assicurato dell’esistenza dei contributi da coltivatore diretti. Deduce, altresì, che la L. n. 88 del 1989, art. 54 impone all’I.N.P.S. un obbligo di diligenza (in linea con i principi sanciti dagli artt. 1175 e 1176 cod. civ.) nel verificare la corrispondenza dei contributi presenti sui propri registri informatici e cartacei a quelli effettivamente versati ed eventualmente provvedere all’integrazione di essi con quelli risultanti dai registri ex SCAU. Formula, pertanto, il seguente quesito di diritto: "Accerti e dichiari la Suprema Corte di Cassazione se vi sia stata violazione della L. n. 88 del 1989, art. 54 in relazione agli artt. 1175, 1176, 1218 e 1227 cod. civ. laddove nella sentenza la Corte d’appello, pur sussistendo l’obbligo degli adenti previdenziali di comunicare a richiesta esclusiva dell’interessato o di chi ne sia da questi legalmente delegato o ne abbia diritto ai sensi di legge, i dati richiesti relativi alla propria situazione previdenziale e pensionistica, e pur avendo la comunicazione da parte degli enti valore certificativo della situazione in essa descritta, abbia interpretato ed applicato l’art. 1227 cod. civ. nel senso che è fatto obbligo al creditore assicurato di utilizzare l’ordinaria diligenza nel comunicare all’Istituto il mancato accredito della comunicazione a suo favore onde evitare il danno, non interpretando invece il rapporto assicurativo come un rapporto che si fonda sulla responsabilità riconducibile al diritto delle obbligazioni, vale a dire ad un rapporto debitore-creditore che deve essere attuato secondo la regola della leale collaborazione e buona fede (Cass. civ. n. 26925/2008) e quindi abbia attribuito inerzia e disattenzione all’assicurato anzichè all’I.N.P.S.".

1.5 Con quarto ed ultimo motivo di ricorso censura il ricorrente la sentenza impugnata per: "Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, ex art. 360 cod. proc. civ.". Deduce che erroneamente la Corte di Appello ha fatto derivare conseguenze sfavorevoli per il ricorrente dal non avere lo stesso presentato domanda di pensione prima del novembre 2005 e ciò proprio in ragione del fatto che, di fronte alle comunicazioni dell’Ente previdenziale circa la sussistenza di un numero di contributi insufficiente alla maturazione del diritto a pensione, il V., avendo fatto affidamento sulla correttezza delle suddette comunicazioni, non aveva presentato la domanda. Evidenzia che tale circostanza assume rilievo decisivo ai fini della cassazione della sentenza impugnata specie in considerazione del fatto che la Corte di Appello ha errato nel ritenere che il V. aveva dichiarato al proprio patronato, nel 2004, l’esistenza di contributi figurativi per il servizio militare e per l’attività di artigiano laddove, invece, tali contributi già figuravano dell’estratto conto certificativo del 2001. Pone, al riguardo, il seguente quesito di diritto: "Accerti e dichiari la Suprema Corte di Cassazione adita se, nella sentenza la Corte d’Appello di Firenze, vi sia stata insufficiente o contraddittoria motivazione laddove, a fondamento della riforma della sentenza di primo grado, la Corte d’Appello abbia indicato la mancata proposizione di domanda di pensione o ricorso amministrativo da parte dell’assicurato, rispettivamente nel caso di mancanza di requisiti per accedere al trattamento pensionistico ed in assenza del provvedimento di diniego da parte dell’Ente previdenziale".

Il secondo e terzo motivo di ricorso (punti 1.3 e 1.4), da trattarsi congiuntamente in ragione della intrinseca connessione, sono inammissibili sotto diversi profili.

Incorre il ricorrente nel vizio di inammissibilità nella parte in cui, in deroga al principio di autosufficienza del ricorso (da intendersi, come chiarito dalla già citata Cass, S. U. 22 maggio 2012 n. 8077, come un corollario del requisito della specificità dei motivi d’impugnazione, ora tradotto nelle più definite e puntuali disposizioni contenute nell’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 6, e art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4) chiede la riforma della sentenza deducendo un vizio di violazione o falsa applicazione della L. n. 88 del 1989, art. 54 senza allegare la documentazione che, a suo dire, la Corte territoriale avrebbe trascurato e che, in ossequio ai principi sanciti dagli artt. 1175 e 1176 cod. civ., avrebbe fondato la responsabilità per danni dell’I.N.P.S. e nella parte in cui da una lettura differente delle risultanze processuali volta ad accreditare un iter argomentativo che assume coerente, diversamente da quello seguito dal giudice di appello.

Invero, secondo un consolidato orientamento di questa Corte, il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci tanto un vizio ex art. 360 c.p.c., n. 3 quanto un difetto di motivazione in ordine alla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente valutato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisi vita dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la Corte di Cassazione deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (ex multis, Cass. 30 luglio 2010 n. 17915).

Nella specie, i motivi di ricorso prospettano l’errata valutazione, in violazione della L. n. 88 del 1989, art. 20 degli estratti conto del 21/11/2001 e del 29/10/2004 senza trascriverne il contenuto, nè indicare dove e quando gli stessi siano stati prodotti nelle pregresse fasi di merito, facendo (peraltro per il solo estratto del 21/11/2001) un mero e generico cenno numerico ad una produzione documentale priva di ulteriore specificazione a corredo.

La giurisprudenza di questa Corte afferma che, in tema di ricorso per cassazione, ai fini del rituale adempimento dell’onere, imposto al ricorrente dall’art. 366 cod. proc. civ., n. 6 di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti processuali su cui si fonda (e di trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza), è necessario che, in ossequio al principio di autosufficienza di detto atto processuale, si provveda anche alla loro individuazione con riferimento alla sequenza di documentazione dello svolgimento del processo nel suo complesso, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (Cass. 23 marzo 2010 n. 6937; analogamente, Cass. 23 gennaio 2009 n. 1707 secondo cui: "In tema di ricorso per cassazione, gli elementi dedotti con il ricorso, che non siano rilevabili d’ufficio, assumono rilievo in quanto siano stati ritualmente acquisiti nel dibattito processuale nella loro materiale consistenza, nella loro pregressa deduzione e nella loro processuale rilevanza, quale potenzialità probatoria che consenta di giungere ad una diversa soluzione, ed in sede di legittimità siano rievocati in modo autosufficiente").

La giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte ha ulteriormente ritenuto che la previsione di cui al ricordato art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, deve ritenersi soddisfatta, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale siano contenuti gli atti e i documenti su cui il ricorso si fonda, ferma in ogni caso l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ai sensi dell’art. 366 cod. proc. civ., n. 6, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi (cfr. Cass. S.U. 3 novembre 2011 n. 22726).

E’ pur vero che risulta riportata, con riferimento all’estratto conto fornito dall’Istituto al V. in data 21/11/2001, una parte del contenuto dello stesso (il ricorrente, infatti, deduce che tale estratto riporta la dizione "comunicazione certificativa del conto assicurativo ai sensi della L. n. 88 del 1989") ma ciò non consente di ritenere soddisfatta l’esigenza di specificità e completezza nei termini sopra riportati. Manca, infatti, nel ricorso ogni descrizione degli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, sono stati formulati, nella sede di merito, sulla base del documento citato dovendosi, peraltro, rilevare che a detto documento non era stata attribuita specifica rilevanza dal ricorrente in sede di domanda introduttiva del giudizio tanto che lo stesso era stato del tutto trascurato dal giudice di primo grado (il quale pure aveva riconosciuto fondata la pretesa, individuando, però, come imputabile all’istituto l’errore commesso nell’estratto posizione assicurativa del 29/10/2004). In sostanza, pur a fronte di un preciso onere di allegare, per evitare una statuizione di inammissibilità per novità della questione, l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito, non vengono precisati nel ricorso per cassazione gli assunti svolti nel giudizio a quo in relazione al documento dal quale la parte vorrebbe trarre ora argomenti a favore della propria tesi (non è sufficiente che un documento sia stato prodotto nel giudizio di merito, essendo necessario che lo stesso sia stato posto a fondamento delle ragioni esposte).

Manca, altresì, ogni riferimento alla parte del documento nella quale, in rapporto ad una domanda amministrativa avanzata dall’interessato (cui non si fa alcun cenno), si sarebbe concretizzato il denunciato inadempimento sub specie della violazione da parte del soggetto pubblico qualificato del peculiare obbligo di fornire informazioni veritiere ed immuni da vizi formali e sostanziali. Si consideri che la valenza certificativa di un estratto, a termini della L. n. 88 del 1989, art. 54 va necessariamente circoscritta all’ambito di operatività dell’estratto stesso – id est alla situazione in esso descritta – ed allora, per dare contenuto ad una prospettata inesatta comunicazione da parte dell’I.N.P.S., era determinante chiarire e specificare che l’attestato ammontare dei contributi versati in una sola determinata gestione – nella specie, "gestione artigiani" – non fosse stato in linea con la richiesta della parte. Essendo incontroverso che i contributi versati, appunto, in detta gestione erano stati correttamente indicati dall’Istituto e che sempre alla "gestione artigiani" si riferiva l’indicazione delle settimane di contributi figurativi, la carenza allegati va sopra specificata inficia a monte i motivi di impugnazione, precludendo alla Corte l’esame del merito degli stessi.

Da tanto consegue che, assorbita ogni altra questione posta dal ricorrente e così anche l’ulteriore motivo impugnatorio, il ricorso deve essere rigettato.

2. Alla controversia, introdotta con ricorso del 10/1/2007, si applica l’art. 152 disp. att. cod. proc. civ. nel testo modificato dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, u.c., conv. in L. 24 novembre 2003, n. 326, e non risulta che il ricorrente abbia diritto all’esonero dalla condanna alle spese del giudizio di cassazione.

Tuttavia, il diverso esito dei giudizi di merito giustifica la compensazione per l’intero delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *