Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 24-01-2013) 20-08-2013, n. 35141 Provvedimento abnorme

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

All’esito di controllo effettuato dalla Polizia in data 15 febbraio 2011 mentre V.I. si trovava alla guida della propria autovettura, veniva contestato al medesimo il reato di guida in stato di ebbrezza. Nel corso delle indagini preliminari l’indagato e il P.M. raggiungevano un accordo per la definizione del procedimento con sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. ed il PM trasmetteva gli atti al GIP per la fissazione dell’udienza camerale ex art. 447 c.p.p..

All’esito di tale udienza, tenutasi il 12.6.012, il GIP presso il Tribunale di Trento, con ordinanza emessa in pari data, ritenendo di non poter accogliere la richiesta concordata con riguardo alla conversione della pena nel lavoro di pubblica utilità, rigettava la richiesta di patteggiamento e disponeva il rinvio a giudizio del V..

Avverso tale ordinanza il PM ha proposto ricorso per cassazione deducendo, con unico motivo, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale.

il P.M. ricorrente, dopo aver premesso che si tratta di un’ipotesi di immediata ricorribilità in cassazione ex art. 127 c.p.p., comma 7 (prevista per i provvedimenti adottati con rito camerale) con conseguente possibilità di impugnare autonomamente il provvedimento in questione e non unitamente alla sentenza dibattimentale ex art. 586 c.p.p., (Cass sez. 6, Sentenza n. 591, Badioli, del 04/11/1992 Rv. 193461), rileva che, poichè la richiesta di applicazione della pena concordata dalle parti era stata presentata nel corso delle indagini, prima della richiesta di rinvio a giudizio, il GIP avrebbe dovuto fissare apposita udienza camerale, come previsto dall’art. 447 c.p.p. nel caso di richiesta di applicazione della pena nel corso delle indagini preliminari, per provvedere, nel contraddittorio delle parti, su tale istanza, anzichè decidere, come erroneamente ha fatto, all’udienza preliminare.

La scelta dell’udienza preliminare, oltre a contravvenire il disposto dell’art. 447 c.p.p., è erronea, ad avviso del ricorrente, anche sotto altro profilo: difatti il rito previsto per il reato contestato di guida in stato di ebbrezza è il procedimento monocratico a citazione diretta ex art. 550 c.p.p., ss., per il quale non è prevista l’udienza preliminare, essendo l’imputato citato a giudizio direttamente dal PM. Quindi si sarebbe dovuto procedere con citazione diretta a giudizio senza il previo espletamento dell’udienza preliminare.

Invece il GIP è incorso nell’ulteriore errore procedimentale di disporre il rinvio a giudizio all’esito di udienza preliminare, così disattendendo l’iter processuale previsto per i reati a citazione diretta.

Nel contempo, disponendo l’udienza preliminare senza che essa sia stata preceduta dalla richiesta di rinvio a giudizio del Pubblico Ministero, il GIP ha violato le norme che regolano l’esercizio dell’azione penale da parte del Pubblico Ministero, iniziativa che si realizza, appunto, nel rito ordinario, con la richiesta di rinvio a giudizio, non formulata.

Rileva ancora il ricorrente che in tal modo è stato violato anche il diritto di difesa in quanto il rinvio a giudizio non è stato preceduto dall’avviso di conclusione delle indagini preliminari e di deposito dei relativi atti nella cancelleria del PM, ex art. 415 bis c.p.p..

Ad avviso della difesa, il Giudice delle indagini preliminari, respinta l’istanza di applicazione della pena, avrebbe dovuto rimettere gli atti al P.M. affinchè procedesse "nelle forme ordinarie" ovvero secondo il rito ex art. 550 c.p.p., ss. previo l’avviso del deposito degli atti delle indagini preliminari ai sensi del citato art. 415 bis c.p.p..

Ciò, secondo il PM, non avrebbe determinato un’indebita regressione del procedimento ad una fase antecedente (ipotesi abnorme) ma, invece, avrebbe prevenuto il verificarsi di nullità di carattere assoluto idonee ad inficiare il successivo giudizio.

Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione ha presentato requisitoria scritta con la quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Premesso che, per il principio della tassatività delle impugnazioni, il decreto di rinvio a giudizio è inoppugnabile, occorre, ad avviso del P.G., stabilire se esso presenti i caratteri del provvedimento abnorme, direttamente ricorribile in Cassazione, per ritenere che esso possa essere oggetto di ricorso per Cassazione. Il P.G perviene alla conclusione che il provvedimento di rinvio a giudizio emesso dal GIP a seguito del rigetto dell’istanza di applicazione pena, benchè non preceduto dalla richiesta di rinvio a giudizio del PM e dall’avviso di conclusione delle indagini preliminari, non costituisca un provvedimento abnorme in quanto l’atto è astrattamente previsto dalle norme processuali e la circostanza che sia stato adottato in assenza dei presupposti di legge, ovvero senza una preventiva richiesta di rinvio a giudizio del P.M., senza un previo avviso di conclusione delle indagini preliminari e per un reato che non prevede l’udienza preliminare, non lo rende affetto da un’anomalia così radicale, sotto il profilo strutturale, da non poter essere inquadrato nello schema suo tipico, (abnormità strutturale).

Sotto il profilo funzionale (abnormità funzionale), poi, il provvedimento impugnato, ad avviso del P.G., non determina una stasi o una indebita regressione del procedimento, trovandosi esso, invece, nella fase dibattimentale, successiva a quella a quella in cui è stato emesso, ove proseguirà normalmente se non saranno sollevate eccezioni di nullità del provvedimento stesso.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Deve innanzitutto sgombrarsi il campo dall’equivoco in cui è incorso il Pubblico Ministero ricorrente nel ritenere che il GIP del Tribunale di Trento abbia provveduto sull’istanza di applicazione della pena all’udienza preliminare e non in udienza camerale fissata appositamente ai sensi dell’art. 447 c.p.p..

In realtà, benchè sul verbale di udienza redatto su modulo predisposto vi sia l’indicazione testuale "udienza preliminare" con l’intestazione del dispositivo di sentenza, ciò può verosimilmente spiegarsi con l’impiego di un modulo, quello appunto predisposto per tale tipo di udienza, per la trattazione di altra udienza, come può agevolmente desumersi dal dato che il verbale contiene alcune sostituzioni e cancellazioni a penna ("ordinanza" al posto di "dispositivo di udienza", "giudice per le indagini preliminari" al posto di "giudice per l’udienza preliminare"), incompatibili con lo svolgimento di un’ udienza preliminare.

Quindi, al di là delle risultanze testuali, deve ritenersi che il giudice si sia pronunciato sull’istanza di patteggiamento in corso di indagini preliminari in apposita udienza camerale, fissata ai sensi dell’art. 447 c.p.p. e regolarmente comunicata alle parti.

Vengono meno conseguentemente le censure mosse dall’organo dell’accusa ricorrente in quanto connesse all’espletamento di udienza preliminare, ovvero l’inidoneità del rito ordinario prescelto, trattandosi di reato per il quale è previsto il procedimento speciale a citazione diretta ex art. 550 c.p.p., che non contempla l’udienza preliminare (essendo l’imputato citato a giudizio direttamente dal PM), nonchè la violazione delle norme che regolano l’udienza preliminare e l’esercizio dell’azione penale da parte del Pubblico Ministero, non essendo stata l’udienza preliminare preceduta, come previsto nel rito ordinario, dalla richiesta di rinvio a giudizio.

Tali profili della censura devono quindi essere disattesi.

Rimane pur sempre il rilievo dell’abnormità di un provvedimento di rinvio a giudizio disposto dal GIP senza essere stato preceduto dall’esercizio dell’azione penale da parte dell’organo titolare dell’accusa, e senza stato preceduto neppure dagli adempimenti previsti a tutela del diritto di difesa, quale l’avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 bis c.p.p…

Quanto al primo profilo, deve innanzitutto rammentarsi che si verte nell’ipotesi di richiesta di applicazione della pena avanzata nella fase delle indagini preliminari, contemplata dall’art. 447 c.p.p..

Tale norma prevede che la suddetta istanza possa essere proposta anche nel corso delle indagini preliminari, o congiuntamente dalle parti, P.M. e difesa, previo raggiungimento dell’accordo sulla pena, o da una di esse e in tal caso il giudice fissa un termine entro il quale l’altra parte deve esprimere il suo consenso. In presenza di richiesta di patteggiamento nella fase delle indagini preliminari, il Giudice non può provvedere de plano ma deve fissare apposita udienza camerale e il relativo provvedimento deve essere notificato ai sensi degli art. 447 e 127 c.p.p. alle parti. La partecipazione del P.M., del difensore e dell’imputato è meramente facoltativa come si desume dalla previsione dell’art. 447 c.p.p., comma 2 secondo cui "P.M. e il difensore sono sentiti, se compaiono"e, più in generale, dall’art. 127 c.p.p., comma 3.

Controversa è la questione se l’istanza di applicazione della pena presentata nel corso delle indagini preliminari, prima cioè che sia formulata l’imputazione, equivalga ad esercizio dell’azione penale da parte del P.M.. che nella proposta presentata congiuntamente con la difesa o nell’atto di adesione alla richiesta presentata dal solo difensore, provveda alla definitiva contestazione dell’addebito.

La questione è connessa al principio di irretrattabilità dell’azione penale di cui all’art. 50 c.p.p., comma 3, nel senso che, ove, si reputi esercitata l’azione penale con la richiesta di patteggiamento, deve pervenirsi alla conclusione che, nel caso tale richiesta venga respinta dal Gip (o in tutti i casi in cui il relativo procedimento instaurato ex art. 447 c.p.p. non si definisca con sentenza di patteggiamento), e gli atti vengano ritrasmessi al P.M., stante l’irretrattabilità dell’azione penale sia preclusa al P.M., in questa fase successiva alla trasmissione degli atti, qualsiasi attività di indagine, potendo lo stesso, una volta esercitata l’azione penale, limitarsi a chiedere al GIP la richiesta di rinvio a giudizio.

Secondo un orientamento consolidato, se durante la fase delle indagini preliminari sia il P.M. a prendere l’iniziativa, l’istanza di patteggiamento da questi proposta comporta necessariamente la formulazione dell’imputazione, di guisa che essa coincide con il promovimento dell’azione penale e con l’acquisizione della qualità di imputato in capo alla controparte. Ma alla stessa conclusione si deve pervenire anche nel caso che l’iniziativa del patteggiamento provenga dall’indagato nel senso che la dichiarazione di consenso espressa dal P.M., contenendo la formulazione dell’imputazione, equivale anche essa all’esercizio dell’azione penale.

Ciò non toglie che, nell’ipotesi che il Giudice decida di non ratificare l’accordo, respingendo l’istanza di patteggiamento, con conseguente trasmissione degli atti al P.M., quest’ultimo non sarà vincolato alle conseguenze del pregresso esercizio dell’azione penale, con delimitazione del suo campo di azione alle sole iniziative conseguenti ad esso, ovvero richiesta di rinvio a giudizio emissione del decreto di citazione a giudizio nei casi di procedimenti a citazione diretta ex art. 550 c.p.p..

Invero, in caso di mancato accoglimento dell’istanza di patteggiamento da parte del GIP, l’azione penale non può ritenersi utilmente esercitata, il che implica la necessità di un rinnovamento della stessa a causa della sopravvenuta inefficacia della precedente domanda formulata dal P.M., senza che ciò possa integrare una violazione del principio di irrettrattabilità dell’azione penale.

E difatti, allorchè sia stata disposta la restituzione degli atti al pubblico ministero, si verifica una legittima regressione del processo alla fase delle indagini preliminari in per cui non è più proponibile la questione relativa alla obbligatorietà e irretrattabilità dell’azione penale, che è caducata dal provvedimento. Conseguentemente il pubblico ministero, nuovamente investito dagli originari poteri di iniziativa e di propulsione processuale, non è più vincolato da quel principio e può esercitare liberamente i poteri-doveri attribuitigli dalla legge per quella fase procedimentale. Quindi può procedere con il rito ordinario, ma può chiedere anche l’archiviazione del procedimento, che non è preclusa dal pregresso esercizio dell’azione penale, ormai caducata dalla legittima restituzione degli atti e dalla facultizzata regressione nella fase delle indagini preliminari.

In definitiva la restituzione degli atti al PM comporta la regressione del procedimento nella fase in cui si trovava prima della formulazione della richiesta di patteggiamento ex art. 447 c.p.p., con conseguente riapertura delle indagini preliminari e riespansione dei poteri attribuitigli in detta fase, previsti dagli art. 405 c.p.p., e segg., (richiesta di rinvio a giudizio o di archiviazione) e il riferimento all’irretrattabilità dell’azione penale è del tutto inconferente, dal momento che con la restituzione degli atti al p.m., lo stesso giudice si svincola dalla richiesta formulatagli.

In tal senso si è ripetutamente la Suprema Corte sia pure con riguardo al caso diverso – ma pur sempre afferente procedimenti speciali instaurati a conclusione della fase delle indagini preliminari – di richiesta da parte del Pubblico Ministero di decreto penale di condanna, respinta dal Gip con conseguente trasmissione degli atti al P.M. a norma dell’art. 459 c.p.p., comma 3 (Cass. sez. 5, 25.3.2003 n. 26480, rv. 226119, 20.9.2004 n. 41392 rv. 230328, 14.1.05 rv. 231128).

Così precisati i principi che regolano la materia, discende da essi che il Gip, ritenendo di non accogliere la richiesta di patteggiamento, avrebbe dovuto trasmettere gli atti al PM stante la legittima regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari, dando così modo al Pubblico Ministero, titolare dell’azione penale, di esercitare tutti i poteri attribuitigli in tale fase, non essendo il medesimo vincolato alla irrettrattabilità dell’azione penale esercitata con la richiesta di applicazione della pena, in quanto ormai caducata dal provvedimento del giudice, tant’è che se il PM intende confermare la sua precedente scelta, deve esercitare di nuovo l’azione penale.

Mai avrebbe potuto il Gip disporre, a seguito del rigetto dell’istanza di applicazione della pena nella fase delle indagini preliminari, il rinvio giudizio dell’imputato, senza che questo fosse preceduto dall’iniziativa del PM, titolare dell’azione penale (quella esercitata con la richiesta di patteggiamento è stata caducata dal provvedimento di rigetto dell’istanza).

Tale iniziativa dell’organo di accusa è necessaria per la valida instaurazione del giudizio stesso: difatti di norma è il Pm che decide di far progredire il procedimento chiedendo che l’imputato sia rinviato a giudizio.

L’unico caso in cui si apre il processo senza una richiesta di rinvio a giudizio è quello dell’imputazione coatta che rappresenta sicuramente l’ipotesi più eclatante di ingerenza del Gip nella sfera di dominio del PM. Proprio per tale motivo l’ipotesi appena richiamata è prevista espressamente dal codice di rito.

Alla stregua di tali considerazioni si deve ritenere che il provvedimento di rinvio a giudizio emesso dal Gip, in quanto affetto da anomalie genetiche così radicali da impedirne l’inquadramento in nessuno schema legale, sia un provvedimento abnorme. Come tale esso è ricorribile per Cassazione.

Si impone pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con trasmissione degli atti al Pubblico Ministero della Procura della Repubblica di Trento.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dispone la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero di Trento.

Così deciso in Roma, nella udienza camerale, il 24 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2013

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