Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 24-01-2013) 20-08-2013, n. 35135 Omicidio colposo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo

F.T. proponeva personalmente ricorso per Cassazione avverso la sentenza in data 3.6.011 emessa dalla Corte di Appello di Perugia a conferma della sentenza in data 12.5.09 dal GIP del Tribunale di Perugia con al quale il predetto era stato dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 589 c.p.p. per aver cagionato la morte di G.P.J.E. per colpa consistita in imprudenza, imperizia ed inosservanza delle norme sulla circolazione stradale.

Come risulta dalla ricostruzione dei fatti contenuta nelle sentenze di merito, la vittima G.P. percorreva, alla guida dell’autocarro IVECO la strada di grande comunicazione (OMISSIS) con direzione di marcia (OMISSIS), quando, giunto all’altezza del KM 118+530, entrava in un’area di sosta fermandosi con la fiancata sinistra a ridosso della linea continua di delimitazione dell’area dalla sede stradale. Appena sceso dal veicolo veniva urtato dall’autocarro IVECO 80 E12 TG (OMISSIS) condotto dal F., che percorreva la superstrada nella stessa direzione di marcia, veniva trascinato per diversi metri riportando gravissime lesioni che provocavano a distanza, di qualche ora, la morte.

La Corte di Appello riteneva sussistente il nesso di causalità fra la condotta dell’imputato e l’evento mortale in quanto il F., che procedeva a velocità superiore, sia pure di poco, di quella consentita, come emerso dalla sue stesse ammissioni non si era accorto della presenza del camionista se non all’ultimo momento quando non era stato più possibile evitarlo, ciò a differenza dell’automobilista che lo precedeva nella stessa direzione di marcia, il quale, sentito come teste, aveva riferito di aver avvistato tempestivamente il conducente del camion, fermo all’interno dell’area di sosta ma al limitare della sede stradale, mentre scendeva improvvisamente dal camion aprendo repentinamente la portiera lato guida, che andava ad invadere parte della sede, tanto che aveva dovuto spostarsi a sinistra per evitare l’impatto con lo sportello aperto.

La difesa del ricorrente ha dedotto i seguenti motivi.

1 – ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. B, C, D, erronea applicazione dell’art. 350 c.p.p., comma 7 in ordine all’art. 63 c.p.p.: inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall’imputato nell’immediatezza del fatto nel giudizio abbreviato.

Osserva la difesa del ricorrente che la Corte di appello ha posto alla base del proprio convincimento, oltre che le risultanze dell’attività di indagine, fra le quali le sommarie informazioni rese dal teste M., le dichiarazioni ammissive rese dall’indagato F. ai sensi dell’art. 350 c.p.p., comma 7, ritenute primo indice rivelatore della sua responsabilità.

Deduce la difesa che, benchè la norma citata ponga un divieto alla loro utilizzabilità in dibattimento, esso deve ritenersi esteso anche al giudizio abbreviato, con la conseguenza che tali dichiarazione non potevano formare oggetto della valutazione da parte del GUP e successivamente della Corte di Appello.

2-Erronea applicazione dell’art. 40 c.p. in relazione all’art. 589 c.p.p., carenza di accertamenti probatori sul nesso di causalità fra condotta contestata ed evento, insussistenza del giudizio contraffattuale.

Osserva la difesa che non è stato in alcun modo affrontato dalla corte di merito il problema della rilevanza causale dell’eccesso di velocità accertato, ovvero se l’incidente si sarebbe comunque verificato qualora l’imputato avesse tenuto una velocità più moderata, rispettosa dei limiti prescritti. E mancato un giudizio contraffattuale perchè non è stata disposta alcuna perizia dinamica che potesse fare luce su tale rilievo. Di conseguenza, in mancanza di una perizia, non si può escludere che, pur a fronte del rispetto del limite di velocità da parte del prevenuto, il sinistro si sarebbe ugualmente verificato a causa del comportamento gravemente colposo della vittima. La Corte di appello non ha dato alcuna risposta in merito.

2- ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. B, C, D, violazione dell’art. 133 c.p.p. per il diniego della prevalenza delle attenuanti generiche sull’aggravante contestata, rideterminazione della pena nel minimo.

3- Mancato riconoscimento della prevalenza delle generiche, già concesse, sull’aggravante contestata, eccessività della pena.

Motivi della decisione

1 – il primo motivo è manifestatamente infondato. Le dichiarazioni spontanee rese dalla persona indagata nell’immediatezza del fatto, a norma dell’art. 350 c.p.p., comma 7 non sono utilizzabili in dibattimento, ma il divieto di utilizzabilità non riguarda il giudizio abbreviato (la norma citata parla di "dibattimento" e non di giudizio). La giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che le dichiarazioni spontanee rese alla polizia giudiziaria dalla persona soggetta alle indagini possono essere pienamente utilizzate nel giudizio abbreviato, posto che il comma settimo dell’art. 350 c.p.p. ne preclude l’utilizzazione nella sola sede dibattimentale. Sez. 1, Sentenza n. 44637 del 13/10/2004 Ud.

(dep. 17/11/2004) Rv. 230754, Sez. 1, Sentenza n. 40050 del 23/09/2008 Ud. (dep. 28/10/2008) Rv. 241554, Sez. 5, Sentenza n. 18064 dei 19/01/2010 Ud. (dep. 12/05/2010) Rv. 246865.

2- il ricorso, al limite dell’ammissibilità, perchè sotto l’apparente deduzione di vizi di legittimità in realtà si censura l’apprezzamento delle prove da parte dei giudici del merito, va comunque respinto perchè infondato.

Si richiamano i principi espressi da questa Corte secondo cui il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione dell’espressa previsione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E, al solo accertamento della congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o della autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti. Ne consegue che, laddove le censure del ricorrente non siano tali da scalfire la logicità e corenza della motivazione del provvedimento impugnato, queste devono ritenersi inammissibili perchè proposte per motivi diversi da quelli consentiti, in quanto non riconducibili alla categoria di cui al richiamato art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E (Cass sez., feriale 2.8.011 n. 30880, sez. 6, 20.7.011, n. 32878, sez 1, 14.7.0 n. 33028). il compito della Cassazione non consiste nell’accertare la plausibilità e l’intrinseca adeguatezza dell’interpretazione delle prove, riservata al giudice di merito, bensì nel controllare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali; dunque deve accertare se i giudici di merito abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano dato esauriente risposta alle deduzioni delle parti e se nell’interpretazione delle prove abbiano esattamente applicato le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove in modo da fornire giustificazione razionale delle soluzioni adottate a preferenza di altre.

Venendo al caso in esame, la difesa del ricorrente lamenta che i giudici di appello hanno motivato sulla base di elementi contraddittori e illogici, senza esaminare i fatti alla luce di tutte le emergenze processuali e delle deduzioni difensive, che mettevano in evidenza l’insussistenza di un nesso di causalità fra la condotta dell’imputato e l’evento mortale. L’assunto non è fondato poichè la Corte ha assolto l’obbligo della motivazione spiegando congruamente le ragioni del proprio convincimento e ritenendo, con espresso richiamo alle puntuali argomentazioni della sentenza di primo grado, sussistenti a carico dell’imputato specifici e concreti elementi di prova.

In particolare la Corte di merito ha evidenziato, con motivazione congrua ed aderente alle emergenze istruttorie, con riferimento al rapporto di causalità, che, indipendentemente dall’incidenza causale del superamento del limite di velocità, effettivamente di modesta entità, sussiste pur sempre un profilo di colpa generica a carico del F., consistente nel non aver apprestato la dovuta attenzione alla presenza di pedoni sulla sede stradale o ai suoi margini. Ferme restando le dichiarazioni ammissive dello stesso imputato, circa il mancato avvistamento della vittima, vi è il dato significativo, posto in rilievo dalla sentenza impugnata, che il conducente del mezzo che lo precedeva, il teste M., è riuscito ad avvistare col dovuto anticipo il conducente del tir fermo nell’area di sosta e schivarlo mentre questi apriva lo sportello del camion e scendeva.

Per quanto il veicolo condotto dal F. sia sopraggiunto in un momento di poco successivo, rispetto a quello del M., la Corte di Appello di Ancona ha rilevato che l’imputato avrebbe potuto seguire e tenere sotto controllo con maggiore anticipo la presenza del camionista in quanto aveva una più ampia e soprelevata visuale della strada data la maggiore altezza del mezzo che conduceva.

Quindi, correttamente, ha concluso la sentenza impugnata, la condotta disattenta tenuta dal F., valutata unitamente al superamento del limite di velocità, ha concorso a causare l’urto e il decesso del G. e ciò malgrado l’evidente concorso di colpa della vittima per l’improvvisa manovra apertura dello sportello e la discesa dalla cabina di guida ai margini della sede stradale.

2 – infondate sono le censure riguardanti il trattamento sanzionatorio. Si rammenta in proposito che le statuizioni in ordine all’entità della pena, al pari di quelle relative al riconoscimento o meno delle attenuanti generiche, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, rientrano nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, che sfugge al sindacato di legittimità qualora non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretto da sufficiente motivazione. Sez. U, Sentenza, del 25/02/2010 Ud. (dep. 18/03/2010) Rv. 245931, Sez. 2, Sentenza del 18/01/2011 Ud. (dep. 01/02/2011) Rv.

249163).

Quanto alla determinazione della pena, si è inoltre sostenuto che, proprio perchè la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, questi ottempera all’obbligo motivazionale di cui all’art. 125 c.p., comma 3, anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 c.p. e, qualora la determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, anche adoperando espressioni come "pena congrua", "pena equa", "congruo aumento", ovvero richiamandosi alla gravità del reato o alla personalità del reo. (cass. sez. 3, 29.5.2007 rv. 237402, sez. 4, sentenza n. 41702 20.9.2004 rv. 230278, sez. Unite 25.02.2010 rv.

245931, sez. 2, 18.1.2001, rv. 249163).

Tanto premesso, correttamente i giudici gravati hanno evidenziato che la condotta gravemente colposa del F. non consente di valutare le già concesse attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti, nè di qualificare la pena base in misura corrispondente al minimo edittale.

Il ricorso deve dunque essere respinto.

Segue per legge, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Pubblica udienza, il 24 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2013

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