Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 24-01-2013) 08-07-2013, n. 28907

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo

1.1 Con sentenza del 12 gennaio 2012 la Corte di Appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Trapani – Sezione Distaccata di Alcamo – in data 25 gennaio 2008 nei confronti di M.D. (imputato dei reati di cui all’art. 81 cpv. cod. pen. e del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5 – capi A) e B) e art. 81 cpv. cod. pen. e art. 10 del medesimo D.Lgs. – capo D), dichiarava non doversi procedere in ordine ai reati sub A) e B) perchè estinti per prescrizione, rideterminando la pena per il residuo reato sub D) in mesi dieci di reclusione e confermando nel resto.

1.2 In particolare, con riferimento al reato sub D), la Corte territoriale riteneva non maturato il termine prescrizionale, tenuto conto sia della entità della pena edittale massima (cinque anni), sia della recidiva qualificata contestata che comportava, quale data di maturazione del termine prescrizionale, quella dell’1 febbraio 2012, anche in considerazione della sospensione intercorsa tra l’udienza del 23 giugno 2011 e quella del 12 gennaio 2012.

1.3 Propone ricorso l’imputato a mezzo del proprio difensore di fiducia deducendo, con un primo motivo, l’intervenuta estinzione del reato per prescrizione e, con un secondo motivo, vizio di motivazione in punto di determinazione della pena avvenuta in violazione dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con argomentazione del tutto apparente.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile. Per ragioni di priorità logica, viene esaminato il secondo motivo afferente al vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio: la motivazione offerta dalla Corte al riguardo è esente da qualsiasi censura, anche sul piano logico, essendo stati osservati i criteri indicati dall’art. 133 cod. pen., con specifico riguardo a due parametri (gravità della violazione desunta anche dai rilevanti importi dell’evasione fiscale e precedenti penali specifici e numerosi a carico dell’imputato). A fronte di tale specifica motivazione le censure del ricorrente appaiono, oltre che manifestamente infondate, anche generiche. Può solo aggiungersi – vista la censura mossa con riferimento alla mancata ed immotivata applicazione dell’istituto della continuazione – che la Corte distrettuale, anche su tale punto, ha offerto una motivazione corretta ed esaustiva collegata, peraltro, alla assenza di dati da parte della difesa sui quali poter valutare la richiesta difensiva, considerata, quindi, del tutto generica. Sotto tale profilo, pertanto, le censure contenute nel secondo motivo di ricorso risultano oltre che manifestamente infondate, anche generiche in quanto reiterative di precedenti doglianze già sottoposte alla valutazione del giudice di appello che ha fornito adeguata motivazione sul punto.

2. La manifesta infondatezza del secondo motivo riverbera i suoi effetti negativi sul primo motivo, afferente alla declaratoria di estinzione per prescrizione: premesso che l’intervenuta estinzione del reato per prescrizione non era stata dedotta con i motivi di appello (si legge in sentenza di una richiesta di prescrizione avanzata nel corso della discussione ma mai compendiata in uno specifico motivo di appello), in ogni caso va rilevato che la causa estintiva è maturata soltanto dopo la sentenza di secondo grado.

3. Ciò precisato, va osservato che, stante l’inammissibilità del ricorso ostativa alla formazione di un valido rapporto processuale, la prescrizione maturata successivamente alla sentenza di appello non può essere dichiarata: valgono, al riguardo, i principi più volte espressi dalla giurisprudenza di questa Corte secondo i quali quando la prescrizione maturi dopo la sentenza oggetto di ricorso, essa non può essere dichiarata stante la non regolare instaurazione di un rapporto processuale quale diretta conseguenza della inammissibilità del ricorso (Cass SS. UU 22.11.2000 n. 32; Cass. Sez. 2 20.11.2003 n. 47383; Cass. Sez. 4 20.1.2004 n. 18641).

4. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento della somma – ritenuta congrua – di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, trovandosi in colpa il ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2013

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