Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 24-01-2013) 08-07-2013, n. 28901

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo

1.1 Con sentenza del 10 novembre 2010 la Corte di Appello di Lecce, pronunciando sull’appello proposto – per quanto qui rileva – da D. L.E., S.C. ed U.M. avverso la sentenza del Tribunale di Brindisi del 4 luglio 2006, (con la quale i predetti, imputati – unitamente ad altri – dei reati di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di ingenti quantitativi di t.l.e. e di detenzione di t.l.e., erano stati rispettivamente condannati – per entrambi i reati – alla pena di anni quattro di reclusione – D.L. – ed anni due di reclusione gli altri due) confermava la detta sentenza.

1.2 A detta conclusione la Corte territoriale era pervenuta, dopo aver disatteso la richiesta difensiva e quella del P.G. di udienza (limitatamente al reato di cui al capo b) di declaratoria di estinzione dei reati per prescrizione, confermando il giudizio di colpevolezza in ordine al reato associativo sulla base dei risultati delle intercettazioni telefoniche denotanti sia un collegamento tra i vari prevenuti e gli altri sodali, sia la consapevolezza da parte di costoro di agire all’interno di una associazione delinquenziale, della quale – secondo il giudizio della Corte territoriale – ricorrevano tutti gli elementi costitutivi. Il giudice distrettuale confermava anche il ruolo direttivo del D.L., desunto, anche in questo caso, dai risultati delle intercettazioni telefoniche ed, infine, riteneva correttamente determinato il trattamento sanzionatorio nei riguardi dei detti imputati, giudicandolo adeguato alla gravità dei fatti ed alla personalità degli imputati nei cui confronti era stata contestata (e ritenuta in sentenza) la recidiva qualificata (specifica per U. e D.S.) e reiterata specifica infraquinquennale per il D.L.).

1.3 Propongono ricorso avverso la detta sentenza il D.L., il S. e l’ U. a mezzo dei rispettivi difensori fiduciari. In particolare la difesa del D.L., con un primo motivo, denuncia violazione di legge per manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla ritenuta legittimità dei decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche; con un secondo motivo viene denunciata violazione di legge per inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 159 cod. pen. in tema di prescrizione, osservando che il computo dei periodi di sospensione effettuato dalla Corte territoriale aveva incluso periodi di sospensione in realtà non calcolabili a quel fine. Con un terzo motivo, strettamente collegato al precedente, la difesa deduce altro vizio di motivazione per manifesta illogicità con riguardo alla ritenuta recidiva reiterata specifica infraquinquennale della quale la Corte distrettuale aveva tenuto conto ai fini del computo del termine prescrizionale. Con un quarto – ed ultimo – motivo – la difesa censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione sotto il profilo della manifesta illogicità con riguardo alla conferma del giudizio di colpevolezza in ordine al reato associativo di cui al capo A), per avere la Corte confermato il ruolo di vertice del D.L. e la sua consapevolezza di par parte di un organismo associativo, in realtà del tutto insussistente sulla scorta degli elementi probatori acquisiti in atti.

1.4 Quanto ai ricorrenti S. ed U., con il primo motivo la difesa rileva violazione e falsa applicazione degli artt. 267, 192 e 125 cod. proc. pen. e art. 111 Cost., comma 6 per carenza assoluta della motivazione in ordine alla legittimità dei decreti autorizzativi delle intercettazioni emessi al di fuori dei presupposti di cui all’art. 267 c.p.p.. Con un secondo motivo viene denunciata violazione falsa applicazione degli artt. 157 e 159 cod. pen. per ragioni sostanzialmente analoghe a quelle esposte dalla difesa del ricorrente D.L. (errato computo di un periodo di sospensione in realtà insussistente). Con un terzo motivo viene denunciato vizio assoluto di motivazione ed erronea applicazione della legge penale (art. 416 cod. pen.) per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente l’ipotesi delittuosa dell’associazione a delinquere pur in assenza degli elementi costitutivi ed, in particolare, dell’elemento soggettivo. Con un quarto – ed ultimo – motivo, viene denunciata violazione^, falsa applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen. in quanto la Corte distrettuale aveva confermato il giudizio di colpevolezza di entrambi gli imputati pur in assenza di elementi di riscontro.

Motivi della decisione

1. La Corte osserva quanto segue. Possono essere congiuntamente trattati i motivi di ricorso riguardanti il difetto di motivazione per manifesta illogicità in ordine alla denunciata illegittimità dei decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche, in quanto comuni a tutti i ricorrenti.

1.2 In relazione al particolare tipo di vizio denunciato (illogicità manifesta della motivazione) vanno ricordati i principi generali elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte (rimasti peraltro inalterati anche dopo la novella legislativa del 2006 (della L. n. 46, art. 8), secondo i quali il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia risulti (oltre che effettiva e non contraddittoria) non "manifestamente illogica":

ipotesi, quest’ultima, che si verifica quando la motivazione poggi, nei suoi passaggi essenziali, su argomentazioni viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica, ovvero sia caratterizzata da inconciliabilità logiche tra le varie affermazioni in essa contenute o da incompatibilità di tipo logico con "altri atti del processo" tali da renderla radicalmente inficiata sotto il profilo logico (per l’esposizione riassuntiva di tali concetti v.

Cass. Sez. 3 2010 n. 24294, Rv). Il compito del giudice di legittimità, laddove sollecitato a pronunciarsi su tale questione in relazione alle specifiche deduzioni del ricorrente concernenti "atti del processo", è quello di effettuare un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione (oltre che effettiva ed intrinsecamente coerente), non manifestamente illogica. Tale controllo, operato attraverso una valutazione la più possibile unitaria e globale, sulla permanenza della "resistenza" logica del ragionamento del giudice, non può estendersi, per esplicita preclusione normativa alla rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, nè può concernere una autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti rispetto a quelli adottati dal giudice di merito, o perchè ritenuti maggiormente plausibili o in quanto dotati di una migliore capacità esplicativa, (vds. sul punto Cass. Sez. 6 18.12.2006 n.5782 Gagliano, Rv. 236064; Cass. Sez. 3 7.4.2010 n. 24294 D.S.B. Rv. 247872).

3. Sempre sul piano generale, e con specifico riguardo al controllo della motivazione con riguardo al problema dei decreti di autorizzazione alle intercettazioni telefoniche, va osservato quanto segue.

3.1 Premesso che le operazioni di intercettazione, telefonica o ambientale che sia, è necessario che siano sorrette da adeguata e/o specifica motivazione con riguardo alla indispensabilità del mezzo probatorio ed alla sussistenza dei gravi indizi di reato (e non dei gravi indizi di colpevolezza) cui è tenuta l’autorità giudiziaria (così tra le tante, Cass. Sez. 6 12.2.2009 n. 12722, P.M. in proc. Lombardi Stronati e altri, Rv. 243241) è pacificamente ammessa la motivazione cd. "per relationem" "quando il giudice faccia richiamo alle richieste del P.M. ed alle relazioni di servizio della polizia giudiziaria, ponendo così in evidenza, per il fatto d’averle prese in esame e fatte proprie, l’"iter" cognitivo e valutativo seguito per giustificare l’adozione del particolare mezzo di ricerca della prova" (Cass. Sez. 6 14.11.2008 n. 46056, Montella, Rv. 242233; Cass. Sez. 6 24.9.2008n. 42688, leardi ed altri, Rv. 242418; Cass. Sez. 1 3.2.2005 n, 11525, P.M. in proc. Gallace, Rv. 232261).

3.2 Alla stregua di tali parametri interpretativi la risposta offerta dalla Corte territoriale alle censure mosse dalla difesa dei ricorrenti (difesa esercitata attraverso la specifica indicazione ed allegazione dei decreti autorizzativi asseritamente viziati sotto l’aspetto motivazionale) è stata non solo effettiva, ma anche, e soprattutto, improntata a logica laddove è stato ricordato come attraverso il richiamo operato dal GIP agli atti di P.G. ed alle richieste consequenziali del P.M. è stata effettuata quella – seppur non pregevole sotto il profilo espressivo – valutazione riguardante la consistenza indiziaria ed il collegamento tra le necessità investigative e le captazioni di conversazione ritenuta sufficiente allo scopo: tanto basta per ritenere infondato il relativo motivo.

4. Anche i motivi – da trattarsi congiuntamente in quanto comuni ai tre ricorrenti – concernenti la illogicità manifesta della motivazione per quanto riguarda la ritenuta sussistenza del reato associativo e – per quanto di interesse specifico relativamente alla posizione del ricorrente D.L. – il suo ruolo di vertice, non sono fondati. Richiamati i principi generali in tema di vizio di motivazione per illogicità manifesta precedentemente enunciati, anche in questo caso la motivazione della Corte distrettuale si caratterizza per la sua completezza e logicità sia intrinseca che estrinseca, non tralasciando di rilevare che il giudice di merito ha analizzato i contenuti delle intercettazioni traendone un compiuto convincimento non solo sulla esistenza del reato associativo sotto il profilo materiale (ne sono stati sottolineati l’esistenza del pactum sceleris; i collegamenti costanti e stabili nel tempo tra i vari sodali; l’affectio societatis; il programma comune marcatamente illegale finalizzato alla commissione di plurimi reati di contrabbando doganale; il ruolo "direttivo" svolto dal D.L. rispetto a tutti gli altri correi), ma anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo. L’analisi di tali elementi esclude, quindi, di poter configurare la riduttiva ipotesi difensiva di concorso di persone nel reato, avendo avuto cura la Corte distrettuale di evidenziare una stabilità di programma e una organizzazione poggiata sulla reciproca consapevolezza dei vari sodali di entrare a far parte di essa nel comune intento di raggiungere gli obiettivi perseguiti che costituiscono per l’appunto il tratto distintivo tra il delitto di cui all’art. 416 cod. pen. e il concorso di persone nel reato come delineato dall’art. 110 cod. pen. (vds., in particolare, le pagg. 7- 10 della sentenza ove sono partita mente indicati i ruoli di ciascuno dei ricorrenti; le direttive impartite di volta in volta e secondo le specifiche esigenze del momento, dal D.L.; i vari collegamenti tra i singoli correi; l’esistenza di un gruppo criminale definito, sotto il profilo organizzativo "ben al di là di quel minimum strutturale richiesta dal giudice di legittimità per la sussistenza del reato associativo"; la "sinergia operativa" del S. e dell’ U. in stretto e continuo contatto tra loro e con gli altri componenti il sodalizio).

5. Anche il motivo specifico di ricorso prospettato dalle difese dei tre ricorrenti in merito alla inadeguata e/o illogica motivazione offerta dalla Corte in merito agli elementi di riscontro dimostrativi del vincolo associativo non possono essere condivisi, richiamandosi a tale riguardo le considerazioni testè svolte in merito alla pienezza della motivazione circa la sussistenza del reato associativo e circa la consapevolezza – desunta, ancora una volta, da elementi oggettivi inoppugnabili quali i contenuti delle conversazioni telefoniche – da parte dei singoli imputati di far parte di un gruppo organizzato.

6. Rimane da esaminare, allora, il motivo, anche questo parzialmente comune (l’elemento distintivo è costituito dai criteri di computo della recidiva che è stata contestata in termini diversi per il D. L., rispetto all’ U. ed al S.).

7. Tale motivo risulta fondato nei termini che seguono.

7.1 Ai tre imputati sono stati contestati il reato associativo (con la precisazione che nei riguardi del D.L. è stata contestata la fattispecie autonoma di cui all’art. 416 cod. pen., comma 1 che prevede la pena edittale massima di anni sette) ed il reato di contrabbando doganale per il quale la pena massima edittale è pari ad anni cinque di reclusione.

7.2 Ai fini del calcolo della prescrizione, come esattamente rilevato dal giudice distrettuale, deve tenersi conto della nuova normativa (oltretutto più favorevole) introdotta dalla L. n. 251 del 2005, in quanto alla data dell’8 febbraio 2005 (data di entrata in vigore della nuova normativa) il processo era ancora pendente in primo grado (esso risulta definito il 4 luglio 2006).

7.3 Tanto precisato il termine ordinario di prescrizione per il delitto associativo è pari ad anni sei con riferimento al reato associativo contestato all’ U. ed al S.; termine analogo deve essere considerato con riferimento al delitto di contrabbando doganale.

7.4 Diverso – ma soltanto per il reato associativo – il termine prescrizionale per il D.L., in quanto la pena edittale massima per l’art. 416 cod. pen., comma 1 è prevista in anni sette: consegue che il termine prescrizionale è pari a tale cifra.

7.5 Ai termini come sopra specificati debbono poi essere aggiunti ai sensi dell’art. 161 c.p., comma 2 – secondo i calcoli effettuati dalla Corte territoriale – gli aumenti per la recidiva "qualificata", pari alla metà del massimo della pena edittale (per i ricorrenti U. e S.) e pari ai due terzi del massimo della pena edittale (per il D.L.).

7.6 Conclusivamente per i ricorrenti U. e S. la pena massima da calcolare, maggiorata della recidiva "reiterata" è quella di anni nove con riferimento tanto al delitto associativo che al delitto di contrabbando (termine prescrizionale ordinario pari ad anni sei, oltre l’aumento della metà per la recidiva reiterata); per il ricorrente D.L., invece, la pena massima edittale prevista per il reato associativo, pari ad anni sette, deve essere maggiorata, per effetto della recidiva reiterata specifica infraquinquennale, di due terzi per un totale di anni undici e mesi otto, mentre la pena massima edittale per il delitto di contrabbando (pari, come detto, ad anni cinque) deve essere maggiorata dei due terzi per un totale di anni dieci.

7.7 Poichè reati risultano commessi l'(OMISSIS), è da tale data che occorre prendere le mosse per calcolare il tempo necessario a prescrivere i singoli reati.

7.8 Tenuto conto delle diverse posizioni, per i ricorrenti U. e S. il termine ultimo è pari all’I marzo 2008; per il D. L., quanto al reato associativo il termine ultimo è pari all’11 novembre 2010 per il reato associativo e all'(OMISSIS) per il reato di contrabbando.

7.9 Nel corso del processo si sono verificate le seguenti sospensioni: a) dal 10.12.2003 al 16.6.2004 per complessivi giorni 188 (per adesione dei difensori all’astensione proclamata dall’organismo rappresentativo della categoria); b) dal 27.6.2006 al 4.7.2006 per complessivi giorni 7 (per analoga ragione); c) dall’8.10.2008 al 17.12.2008, da calcolarsi nel limite di giorni 60 (per legittimo impedimento del difensore); d) dal 17.12.2008 al 29.4.2009, da calcolarsi nei limiti di giorni 60) per legittimo impedimento del coimputato G.); e) dal 29.4.2009 al 7.10.2009, da calcolarsi nel limite di giorni 60 (per legittimo impedimento del coimputato G.); f) dal 27.1.2010 al 10.11.2010 per complessivi giorni 287, per adesione dei difensori all’astensione proclamata dall’Organismo rappresentativo della categoria. Il totale dei giorni di sospensione ascende quindi a 662 (e non 875 come calcolati dalla Corte territoriale).

7.10 Uno dei motivi di ricorso (comune ai tre ricorrenti) riguarda l’errato calcolo del periodo di sospensione tra l’udienza del 7.10.2009 e quella del 7.1.2010 (pari – secondo i calcoli della Corte – a giorni 112) per legittimo impedimento del coimputato G.:

ora, a prescindere dalla erroneità del criterio di calcolo in quanto, giusta quanto disposto dall’art. 159 cod. pen. in caso di legittimo impedimento della parte, il termine di sospensione non può essere superiore a giorni 60, in ogni caso in occasione della udienza del 7 ottobre 2009 non era stata accolta la richiesta di rinvio per legittimo impedimento formulata dal difensore dell’imputato:

conseguentemente di tale rinvio ai fini della sospensione non può tenersi conto alcuno.

7.11 In relazione all’avvenuto computo di un periodo di sospensione, pari a giorni 112, del quale non si sarebbe dovuto tenere alcun conto ed all’errato calcolo, per eccesso, dei periodi di sospensione per legittimo impedimento sub c) e d), per un totale, in eccesso, di giorni 101, il numero dei giorni complessivo di cui tenere conto ai fini della sospensione non è quindi 875 come calcolato dalla Corte (vds. pag. 4 della sentenza impugnata) 7.12 Ne consegue che – con riferimento alla posizione dei ricorrenti U. e S., la prescrizione – riferita ad entrambi i reati – sarebbe dovuta maturare – secondo i calcoli effettuati dal giudice distrettuale – il 20 gennaio 2009; con riferimento, invece, alla posizione del D.L., la prescrizione sarebbe dovuta maturare – quanto al reato associativo – il 3 settembre 2012 e quanto al reato di contrabbando doganale, il 12 settembre 2009.

7.13 Senonchè la Corte territoriale, nell’effettuare la maggiorazione del periodo prescrizionale per gli imputati U. e S. derivante dalla recidiva reiterata, ha indicato in due terzi l’aumento da effettuare e non, invece, nella metà rispetto al massimo edittale (pari a sei anni) come previsto dalla prima parte dell’art. 99 cod. pen., comma 4 così determinando un indebito prolungamento del termine prescrizionale, maturato, invece, ben prima della sentenza di appello: da qui l’inesatto inserimento tra i periodi di sospensione, di quelli verificatisi a partire dall’ (OMISSIS), in quanto posteriori al termine del 12 settembre 2008 considerato quello ultimo comprensivo dei due rinvii per complessivi giorni 195 (i periodi sub a) e b).

7.14 Ma anche per il D.L. – con esclusivo riferimento al reato di contrabbando, oltre a non doversi tenere conto di complessivi 210 giorni per effetto dell’inserimento di un periodo di sospensione non verificatosi e dell’eccesso di giorni relativi ai periodi sub c) e d) – non si sarebbe dovuto tenere conto, con riferimento al delitto di contrabbando (per il quale il termine massimo – esclusi i periodi di sospensione – sarebbe dovuto giungere a maturazione l’1 marzo 2009) dei periodi di sospensione intervenuti successivamente al 12 settembre 2009 (sostanzialmente i periodi sub e) ed f), oltre il periodo compreso tra il 7.10.2009 e il 27.1.2010, del quale non tenere conto in quanto mai verificatosi.

7.15 Tali errori di calcolo, parte dei quali esattamente individuati dalla difesa dei ricorrenti, rendono fondato il motivo specifico riguardante l’errato computo della prescrizione (2 motivo per il ricorrente D.L. e 3 motivo per i ricorrenti U. e S.).

7.16 Siffatta conclusione non sarebbe comunque mutata anche a tenere conto del periodo di sospensione per giorni 161 (quello compreso tra il 29.4.2009 e il 7.10.2009) come calcolato dalla Corte territoriale, nel senso che il periodo ultimo di prescrizione sarebbe maturato per i ricorrenti U. e S. il 12 novembre 2008; per il D. L., rispettivamente, il 3 novembre 2012 e il 12 novembre 2009:

anche aggiungendo i sessantuno giorni eccedenti non si sarebbe potuto comunque tenere conto del periodo di sospensione compreso tra il 27.1.2010 e il 10.11.2010 in quanto successivo – sia pure di poco – al termine massimo prescrizionale frattanto maturato.

7.17 Conseguentemente alla data odierna i termini prescrizionali per i reati ascritti agli odierni ricorrenti sono certamente trascorsi.

7.18 Essendo maturati i termini di prescrizione, quanto meno con riferimento alla posizione del ricorrente D.L., dopo la sentenza di appello (circostanza che non si è verificata per gli altri due ricorrenti, per i quali il termine prescrizionale è, invece, maturato prima), vale, sul punto, il principio affermato dalle SS.UU. di questa Corte secondo il quale nella ipotesi di maturazione del termine prescrizionale successivamente alla sentenza di appello è solo l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi a precludere la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p., non potendo considerarsi formato un valido rapporto di impugnazione (Cass SS. UU 22.11.2000 n. 32; Cass. Sez. 2 20.11.2003 n. 47383; Cass. Sez. 4 20.1.2004 n. 18641).

8. La sentenza impugnata – alla stregua delle considerazioni che precedono – va annullata senza rinvio per essere i reati estinti per intervenuta prescrizione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere i reati estinti per prescrizione.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2013

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