Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., 24-07-2012, n. 13038 Accertamento

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte:

ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo, letti gli atti depositati.

Osserva:

La CTR di Milano ha accolto – a seguito di riassunzione da parte del contribuente R.C. dopo la cassazione con rinvio della pronuncia adottata dalla stessa CTR sull’appello proposto dall’Ufficio ed in precedenza già accolto – le censure d’appello proposte dall’Ufficio. Detto appello era stato proposto contro la sentenza n. 35/02/1999 della CTP di Varese che aveva accolto i ricorsi di R.C. contro tre avvisi di accertamento per 1RPEF relativa gli anni 1987-1989, avvisi emessi per il recupero di costi non documentati (e perciò ritenuti inesistenti dall’Ufficio) e che sono stati così integralmente confermati.

La predetta CTR ha motivato la decisione ritenendo che la documentazione prodotta in giudizio dalla parte contribuente non fosse idonea a fornire la prova dell’inerenza dei costi a ciascuno dei singoli incarichi di lavoro autonomo, qual’era l’attività che il contribuente esercitava.

La parte contribuente ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

L’Agenzia si è costituita con controricorso.

Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all’art. 376 c.p.c. – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

Infatti, con il primo motivo di censura (improntato all’"erronea interpretazione dell’art. 2697 c.c. e dei principi che regolano l’onere della prova nel processo civile, oltre che a insufficiente motivazione circa fatti decisi) la ricorrente si duole del fatto che la Commissione regionale abbia accolto con affermazione apodittica (se posta in relazione alla motivazione del giudice di primo grado) la tesi dell’Ufficio, senza indicare i motivi per cui dovessero essere disattese le motivazioni del giudice di primo grado" la cui pronuncia era stata favorevole alla parte contribuente.

Il motivo (formulato nell’ottica del solo vizio di motivazione, nonostante la duplice intestazione) risulta inammissibilmente formulato, invero, la parte ricorrente si limita a formulare una sterile critica avverso la stringatezza della motivazione della pronuncia impugnata ed a prospettare un inedito obbligo del giudice di appello di chiarire la ragione per la quale siano da disattendersi i motivi posti a fondamento della pronuncia di primo grado, senza indicare alcun fatto controverso e decisivo e perciò senza integrare i presupposti della tipologia del vizio qui valorizzato.

Con il secondo motivo (rubricato sotto specie di erronea interpretazione dell’art. 11 c.p.c., oltre che di insufficiente motivazione di fatti controversi e decisivi) la parte ricorrente si duole del fatto che il giudicante abbia violato la regola per cui, nel difetto di specifica contestazione, devono essere ritenuti provati i fatti dedotti, regola alla luce della quale il giudice di appello non avrebbe potuto ritenere non inerenti i costi non specificamente contestati dall’Agenzia. La prova della inerenza dei costi era stata infatti fornita con la produzione della copiosa documentazione che era stata ritenuta idonea dal giudice di primo grado.

Anche il secondo motivo appare inammissibilmente formulato, in relazione alla premessa di fatto che ne costituisce il nucleo logico centrale e cioè che l’Agenzia non abbia fatto specifica contestazione delle prove documentali prodotte in giudizio.

Si legge infatti nella stessa parte narrativa della sentenza qui impugnata che l’Ufficio, costituendosi, aveva contestato che la documentazione prodotta fosse idonea a dimostrare l’inerenza dei costi, profilo sotto il quale è stato appunto rigettata l’impugnazione proposta dalla parte contribuente avverso gli avvisi di accertamento.

Sarebbe perciò spettato alla parte qui ricorrente anzitutto di dare analiticamente conto (in maniera adeguatamente autosufficiente) dell’assunto prospettato in termini di fatto. Ciò non risultando nel ricorso introduttivo di questo grado di giudizio, non resta che concludere che non è possibile passare al vaglio del motivo di ricorso nel merito della sua fondatezza.

In definitiva, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per inammissibilità.

Roma, 25 marzo 2012.

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti;

che non sono state depositate conclusioni scritte, nè memorie;

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;

che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite di questo grado, liquidate in Euro 5.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2012

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