Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 24-01-2013) 31-05-2013, n. 23667

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
M.G., per il tramite del difensore, N. C. e N.M.A., personalmente, proponevano separati ricorsi per Cassazione avverso la sentenza in data 12.3.012 emessa dalla Corte di Appello di Salerno a sostanziale conferma (salva la revoca della sospensione condizionale della pena disposta per S.V.), della sentenza emessa in data 15.5.09 dal Tribunale di Salerno sezione distaccata di Mercato San Severino con la quale i predetti erano stati dichiarati responsabili del reato di cui all’art. 40 cpv c.p., art. 590 c.p., comma 2, in relazione all’art. 583 c.p., comma 1, n. 1, perchè, il M., nella qualità di committente dei lavori da eseguirsi nel cantiere posto in (OMISSIS), N.C. quale legale rappresentante della società Costruzioni X di X X e C s.a.s., impresa appaltatrice dei lavori da eseguirsi presso il cantiere posto in (OMISSIS), N.M.A., quale legale rappresentante della società "X s.r.l." impresa subappaltatrice per i lavori di carpenteria presso il suddetto cantiere, nonchè in qualità di datore di lavoro di P.G. (oltre a S.V., quale coordinatore per la progettazione e l’esecuzione dei lavori, nominato dal committente M.G. ai sensi del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 10, che non ha proposto ricorso per cassazione ), quali diretti destinatari delle normative atte ad impedire gli infortuni nei luoghi di lavoro (il committente ai sensi del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 6, comma 2, il coordinatore per la sicurezza ai sensi del D.Lgs. n. 494 del 1996, artt. 4 e 5, l’appaltatore e il subappaltatore ai sensi del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7) ciascuno nella propria qualità sopra descritta, per colpa generica consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, per colpa specifica consistita nella violazione di norme antinfortunistiche, segnatamente, del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 10, (le aperture esistenti sul suolo devono essere provviste di solide coperture o di parapetti normali, atti ad impedire la caduta di persone), del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 27 (i posti di lavoro o di passaggio sopraelevato devono essere provvisti di parapetti normali o difese equivalenti) del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 16 (i luoghi di lavoro con altezza superiore ai metri due devono essere dotati di impalcature, ponteggi comunque opere di provvisionali idonee ad eliminare il rischio di cadute di persone o cose dall’alto), omettendo il rispetto della suindicate norme, cagionavano lesioni colpose gravi a P.G., consistite in politraumatismo esteso a varie parti del corpo, giudicate guaribili in tempo superiore ai 40 giorni, dovute a precipitazione dall’alto in una buca di sottofondazione di altezza pari a mt 1.95.
Come risulta dalla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, il procedimento penale a carico dei suindicati imputati trae origine dall’infortunio sul lavoro verificatosi il (OMISSIS) a (OMISSIS) presso il cantiere allestito dall’impresa Costruzioni X di X X & C s.a.s. appaltatrice dei lavori di realizzazione di edificio per uso industriale.
L’operaio P.G., dipendente dell’impresa "X s.r.l." cui la predetta impresa aveva subappaltato i lavori di carpenteria, mentre era intento nelle lavorazioni di sua competenza sopra il ballatoio realizzato per consentire l’accesso all’interno del fabbricato, era caduto in una buca della profondità di m. 1,95 costituita dalla sottofondazione dell’edificio, che si trovava in corrispondenza del sovrastante pianerottolo, riportando un trauma cranico ed altre fratture. All’esito del sopralluogo eseguito dall’ispettore della USL risultò che il ballatoio era sprovvisto di recinzioni su tutti i lati, il muro delimitante la buca era privo di parapetti anticaduta, prescritti obbligatoriamente in relazione alla profondità, che variava dai due ai sette metri, mancava adeguato tavolame di copertura della buca, essendo stato rinvenuto all’interno di essa solo un pannello, rotto, del tutto insufficiente per l’esiguità dello spessore; per passare dal ballatoio ove si trovava il dipendente infortunatosi all’interno dell’edificio in costruzione veniva adoperata un passerella non stabile, assolutamente inidonea a scongiurare il pericolo di cadute.
I giudici di merito, accertata la violazione della normativa antinfortunistica, segnatamente la mancata predisposizione di misure di prevenzione dalle cadute dall’alto di cui al D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 10 e 27, D.P.R. n. 164 del 1956, art. 16, accertato il nesso causale fra l’inosservanza di dette norme e l’evento lesivo prodottosi, hanno ravvisato la responsabilità degli imputati M., S., N.C. e N.M., rispettivamente committente dei lavori, coordinatore per la progettazione nominato dal committente, appaltatore e subappaltatore di parte delle opere, nonchè N.M., datore di lavoro del dipendente infortunatosi, ritenendoli portatori di posizioni di garanzia diversificate in relazione agli obblighi di prevenzione degli infortuni facenti carico alle rispettive qualità, come previsti dal D.Lgs. n. 426 del 1994.
I ricorrenti hanno dedotto, a sostegno del ricorso, i seguenti motivi.
M.G.:
ai sensi dell’art. 606, lett B e E, violazione del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 6, comma 2, e difetto di motivazione sul punto dell’effettiva incidenza della condotta del committente nell’eziologia dell’evento.
Lamenta la difesa che è mancato da parte della Corte di merito uno specifico approfondito esame delle circostanze fattuali rilevanti ai fini dell’individuazione dei profili di colpa della condotta del committente, in relazione ai principi di diritto enunciati dalla sentenza Cass. Sez. 4^, 8.4.010, n. 150811 rv. 247033, secondo cui, in caso di lavori effettuati in esecuzione di contratto di appalto o di prestazione d’opera, per accertare la responsabilità del committente, non si può prescindere da un attento esame della situazione fattuale, dovendosi tenere conto della specificità dei lavori da eseguire, dei criteri seguiti dal committente per la scelta dell’appaltatore, dell’ingerenza del committente stesso nell’esecuzione dei lavori oggetto dell’appalto o della prestazione d’opera, nonchè della percettibilità agevole ed immediata da parte del committente di eventuali situazioni di pericolo. In tale prospettiva vanno considerati: la specificità dei lavori da eseguire, i criteri seguiti dal committente per la scelta dell’appaltatore, l’ingerenza del committente stesso nell’esecuzione dei lavori oggetto dell’appalto o della prestazione d’opera, nonchè la percettibilità agevole ed immediata da parte del committente di eventuali situazioni di pericolo.
Osserva la difesa del ricorrente che nulla è stato argomentato in ordine alle capacità tecniche organizzativa della impresa appaltatrice, circostanza che, ove accertata, rileverebbe quanto al profilo di colpa concernente la "colpa in eligendo" Non risulta neppure se e in quali termini vi sia stata una concreta ingerenza del committente nell’esecuzione dei lavori, non avendo dato conto la sentenza impugnata omesso delle deposizioni dei testi operai che hanno riferito di aver visto poche volte il M. sul cantiere e di non aver mai ricevuto disposizioni dal predetto.
N.C. e N.M.A.;
ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett B e C, inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 62 bis c.p., art. 132 c.p., comma 1, art. 133 c.p., vizio di motivazione con riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Lamentano i ricorrenti la mancata concessione delle attenuanti generiche da parte della Corte di merito, limitatati ad una motivazione di stile, senza prendere in considerazioni elementi, quali l’incensuratezza e l’ammissione degli addebiti da parte dei medesimi, elementi che avrebbero o ampiamente giustificato la concessione delle attenuanti e che comunque avrebbero dovuto essere posti a:
-Inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 62 c.p., n. 6, con riferimento al mancato riconoscimento dell’attenuante dell’avvenuto risarcimento del danno in favore della parte offesa.
Osserva in proposito il ricorrente che la Corte di merito ha immotivatamente negato il riconoscimento di tali attenuanti, limitandosi a ritenere poco attendibili le dichiarazioni rese dalla parte offesa a conferma dell’avvenuto risarcimento, "in quanto parte debole del rapporto di lavoro e per questo notoriamente ricattarle".
Motivi della decisione
Il ricorso del M. è infondato.
Occorre preliminarmente individuare la posizione di garanzia facente capo al committente in relazione agli obblighi di prevenzione degli infortuni sul lavoro e il rapporto che intercorre fra questi e gli altri soggetti, destinatari di concorrenti posizioni di garanzia, nel caso di lavori svolti in esecuzione di contratto di appalto o di contratto di prestazione d’opera. La norma che disciplina la posizione di garanzia del committente in tale materia, individuandolo come corresponsabile con l’appaltatore per le violazioni delle misure antinfortunistiche, è il D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, che all’art. 7, nel caso di affidamento di lavori ad imprese appaltatrici: a) affida al datore di lavoro committente il compito di verificare l’idoneità tecnica dell’impresa appaltatrice e di informarla sui rischi specifici in materia di sicurezza e igiene del lavoro e sulle misure prevenzionali; b) assegna a entrambi i datori di lavoro, il committente e l’appaltatore o prestatore d’opera, il compito di cooperare in materia di sicurezza e igiene del lavoro e di coordinare gli interventi di protezione e prevenzione; c) affida al datore di lavoro committente il compito di promuovere la cooperazione e il coordinamento di cui alla lettera precedente.
Detta norma, nel regolare la sicurezza dei lavoratori per i casi di lavori affidati in appalto, non sostituisce il committente all’appaltatore come destinatario degli obblighi prevenzionali, ma si limita a coinvolgere anche il primo in alcuni obblighi specifici, quali, appunto, l’informazione sui rischi dell’ambiente di lavoro e la cooperazione nell’apprestamento delle misure di protezione e prevenzione, nonchè la promozione in materia: resta però ferma la responsabilità dell’appaltatore per la inosservanza degli obblighi prevenzionali che gravano su di lui.
In definitiva, pur essendo l’appaltatore (o il subappaltatore), quale datore di lavoro dei dipendenti impegnati nell’esecuzione dei lavori appaltati, di norma il destinatario degli obblighi di sicurezza e prevenzione, si configura, alla stregua della disciplina contemplata dalla citata norma, una concorrente responsabilità del committente, finalizzata al rafforzamento della tutela della sicurezza dei luoghi di lavoro e delle misure di prevenzione, che viene ad affiancarsi a quella dell’ appaltatore; tale responsabilità rimane tuttavia estranea ai rischi propri delle attività svolte da quest’ultimo.
Di conseguenza, nell’ambito dei menzionati obblighi di cooperazione fra committente e appaltatore per la sicurezza e prevenzione, il committente è esonerato dalla responsabilità in materia antinfortunistica esclusivamente con riguardo ai rischi specifici delle attività proprie dell’appaltatore o del prestatore d’opera.
Detta delimitazione rinviene la sua fonte normativa nel cit. D.Lgs., art. 7, comma 3, che, nel prevedere a carico del datore di lavoro committente l’obbligo di promuovere la cooperazione e il coordinamento attraverso la predisposizione di un documento di valutazione dei rischi contenente l’indicazione delle misure adottate, esclude tale obbligo per "rischi specifici delle attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi".
La ratio di tale esclusione deve ricercarsi nella peculiarità propria dell’attività di impresa rispetto alla quale il committente non può dare alcun apporto in termini di previsione e predisposizione delle misure di prevenzione, potendo il suo intervento essere limitato alle generiche misure precauzionali facilmente individuabili in rapporto al tipo e alle modalità dell’attività da eseguire.
Quindi non alle generiche precauzioni da adottarsi negli ambienti di lavoro deve essere riferito l’esonero dalla responsabilità in materia antinfortunistica del committente, previsto dal D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7, comma 3, ma alle regole che richiedono una specifica competenza tecnica – generalmente mancante in chi opera in settori diversi – nella conoscenza delle procedure da adottare nelle singole lavorazioni o nell’utilizzazione di speciali tecniche o nell’uso di determinate macchine.
In tal senso si è pronunciata questa Corte escludendo che possa considerarsi rischio specifico quello derivante dalla generica necessità di impedire cadute da parte di chi operi in altezza essendo, questo pericolo, riconoscibile da chiunque indipendentemente da specifiche competenze. "In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, qualora il lavoratore presti la propria attività in esecuzione di un contratto d’appalto o di un contratto d’opera, non per questo viene meno la responsabilità del committente per gli infortuni subiti dal medesimo, atteso che il committente è esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica esclusivamente con riguardo ai rischi specifici delle attività proprie dell’appaltatore o del prestatore d’opera. (Fattispecie in cui è stata affermata la responsabilità del committente per la mancata predisposizione nel cantiere, in cui era stato chiamato a prestare la propria attività il lavoratore autonomo infortunatosi, di un parapetto idoneo ad evitare cadute a chi operava in altezza (Sez. 4^, n. 12348 29/01/2008 dep. 20/03/2008 Rv. 239252).
Unica deroga a tale limitazione è costituita dalla partecipazione diretta del committente alla realizzazione dell’opera, tale da determinare, per la pregnante ingerenza nell’attività di impresa, una identificazione nei ruoli; in tal caso, il committente viene ad assumere gli stessi obblighi facenti carico al datore di lavoro appaltatore, in particolare quello di controllare direttamente le condizioni di sicurezza del cantiere. "In tema di infortuni sul lavoro, il contratto di appalto non solleva da precise e dirette responsabilità il committente allorchè lo stesso assuma una partecipazione attiva nella conduzione e realizzazione dell’opera, in quanto, in tal caso, rimane destinatario degli obblighi assunti dall’appaltatore, compreso quello di controllare direttamente le condizioni di sicurezza del cantiere".
Sez. 4^, Sentenza n. 14407 del 07/12/2011 Ud. (dep. 16/04/2012 ) Rv.
253295 Sez. 4^, Sentenza n. 38824 del 17/09/2008 Ud. (dep. 14/10/2008 ) Rv.
241063. Altra ipotesi di piena espansione della responsabilità del committente in materia prevenzionale ricorre tutte le volte in cui l’omessa adozione delle misure di prevenzione prescritte sia immediatamente percepibile e la responsabilità del committente non può essere esclusa dalla circostanza che egli abbia impartito le direttive da seguire a tale scopo, essendo comunque necessario che ne abbia controllato, con prudente e continua diligenza, la puntuale osservanza. (Sez. 4^, n. 19372 15/03/2007 dep. 18/05/2007).
E proprio questa la situazione che ricorre nel caso in esame: il M. non può invocare un’esenzione di responsabilità in presenza di omissione immediatamente percepibile relativa ad una misura precauzionale generica, che riguarda indistintamente tutti i cantieri in cui occorra procedere a lavori in altezza e che non attiene ad alcuna specifico rischio correlato all’attività di impresa.
L’impiego di attrezzature idonee a scongiurare le caduta dall’alto rientra nel novero delle misure provvisionali che devono essere adottate in ogni cantiere in cui si svolgono lavorazioni dall’alto e quindi la loro previsione ed attuazione fa parte degli obblighi facenti carico anche al committente in virtù del rapporto di cooperazione che, ai sensi del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7, sussiste fra costui e l’appaltatore per la tutela della sicurezza del luoghi di lavoro in tutti i casi di lavori affidati in appalto; di conseguenza il committente non può addurre la propria estraneità trattandosi di responsabilità che incombe anche sul predetto per l’inosservanza dell’obbligo in questione; tanto più che l’omessa predisposizione nel cantiere di ogni misura atta ad evitare le cadute dall’alto, come accertato subito dopo l’infortunio, era circostanza immediatamente percepibile che avrebbe dovuto indurre il committente ad adoperarsi per la loro adozione, rientrando, per la assoluta genericità di tali misura provvisionali valevoli per ogni cantiere che comporti lavorazioni in quota, nell’ambito delle sue competenze in materia. E pur vero che, secondo una giurisprudenza richiamata dal ricorrente M., il dovere di sicurezza, riferibile anche al committente, con riguardo ai lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione d’opera, non può invocarsi automaticamente, non potendo esigersi dal medesimo un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori.. (Sez. 4^, n. 3563 del 18/01/2012 dep. 30/01/2012) Rv.
252672 Tuttavia la stessa sentenza, nel porre dei limiti alla responsabilità del committente per l’omessa adozione di misure antinfortunistiche, evidentemente dettati dalla non sovrapponibilità della sua posizione con quella dell’appaltatore di norma destinatario, quale datore di lavoro, degli obblighi di sicurezza, indica una serie di elementi che debbono essere verificati al fine di accertare la responsabilità del committente, fra i quali, oltre alla preliminare verifica dell’incidenza della condotta del predetto nell’eziologia dell’evento, la sua ingerenza nell’esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto d’opera, nonchè la agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo. Pur nell’assenza di una sua ingerenza nei lavori, non accertata, è indubbio che ricorresse l’altro elemento della facile immediata percepibilità del pericolo legato all’omessa predisposizione di misura anticaduta, idoneo ad integrare, secondo la stessa sentenza richiamata dal ricorrente, la responsabilità del committente.
Il ricorso è pertanto infondato.
Inammissibile è il ricorso proposto da N.C. e M. concernente la mancata concessione delle circostanze generiche e dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., comma 6 bis.
Si ricorda in proposito che la concessione o meno delle attenuanti generiche, rientra nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, che sfugge al sindacato di legittimità qualora non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretto da sufficiente motivazione. Sez. U, Sentenza, del 25/02/2010 Ud. (dep. 18/03/2010) Rv. 245931, Sez. 2^, Sentenza del 18/01/2011 Ud. (dep. 01/02/2011) Rv. 249163).
Nel caso di statuizione sulle attenuanti generiche, il relativo giudizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo.
Si è ritenuto di conseguenza che, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicchè anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso, non essendo necessario che siano esaminati tutti i parametri di cui all’art. 133 c.p., (Cass. Sez. 2^, Sentenza 18/01/2011- 01/02/2011 rv. 249163, Sez. 1, Sentenza del 07/07/2010-13/09/2010 Rv.
247959).
Orbene la sentenza, in adesione ai principi illustrati, ha adeguatamente motivato il diniego delle circostanze generiche col riferimento alla gravità del fatto e alle lesioni cagionate alla vittima.
Alla stessa conclusione deve pervenirsi con riguardo alla mancata concessione dell’attenuante del risarcimento del danno la cui motivazione, in fatto, in ordine alla mancata produzione della prova documentale del risarcimento) è incensurabile in questa sede.
I ricorsi devono essere rigettati.
Il ricorso deve dunque essere rigettato.
Segue per legge, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella pubblica udienza, il 24 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2013

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