Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 24-01-2013) 31-05-2013, n. 23666

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Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 12/5/2011 il G.I.P. del Tribunale di Catania condannava D.G.A. e T.C. per una pluralità di furti e per il delitto di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di tali reati (acc. in (OMISSIS)). Ritenuta la continuazione, al D.G. veniva irrogata la pena di anni 5 e mesi 7 di reclusione ed Euro 1.400= di multa; al T. la pena di anni 3 e mesi 10 di reclusione ed Euro 1.200= di multa.

Osservava il Tribunale che la responsabilità degli imputati emergeva dalle indagini svolte ed in particolare dalle intercettazioni ambientali captate sull’auto Fiat Punto del D.G. e dalle rilevazione tramite localizzatore GPS. Era pertanto emerso che i due imputati ed altri correi erano dediti alla perpetrazione di furti con un modus operandi oramai consolidato.

Infatti erano soliti, rompendo i finestrini, penetrare in auto ed asportare le chiavi di abitazioni ivi presenti; immediatamente dopo ne facevano una copia e rimettevano gli originali a posto onde non indurre i proprietari a cambiare la serratura dell’abitazione.

L’indirizzo veniva rilevato dal libretto di circolazione o da accertamenti al PRA. Successivamente, utilizzando le chiavi copiate, consumavano i furti in abitazione. In occasione dell’ultimo di tali furti, presso l’abitazione della famiglia V. di (OMISSIS), venivano arrestati in flagranza ed il T. giudicato per rapina impropria.

Con sentenza del 13/2/2012 la Corte di Appello di Catania confermava la pronuncia di primo grado.

2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori degli imputati, lamentando:

– il D.G. : a) la erronea applicazione dell’art. 416 c.p. ed il vizio di motivazione sul punto. Invero per la configurabilità del delitto associativo è necessaria la presenza di almeno tre partecipi.

Nel caso di specie, l’apporto dato dagli altri due imputati G. e Gi. era stato occasionale e sporadico, finalizzato alla commissione di specifici furti; b) la violazione di legge ed il difetto di motivazione sull’attribuzione al D.G. del ruolo di organizzatore in assenza di specifiche condotte indicanti tale qualità, condotte riconducibili a finalità meramente logistiche; c) l’erronea applicazione dell’art. 62 c.p., n. 6, ed il difetto di motivazione sul punto, laddove la corte di merito aveva escluso la concessione dell’attenuante del risarcimento del danno, ritenendo la somma di Euro 1.000= non adeguata a soddisfare il danno materiale e morale determinato dal reato, a fronte peraltro dell’accettazione della somma da parte della vittima D.M.V..

– il T. : a) il difetto di motivazione in ordine alla condanna per il capo H) laddove da una corretta interpretazione delle conversazioni si evinceva che il delitto contestato era stata commesso da altri (refurtiva di 1.000), mentre il D.G. e T. parlavano di un bottino di Euro 3.000=; b) l’erronea applicazione della legge ed il difetto di motivazione il relazione al diniego dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, avendo l’imputato versato la somma di Euro 1.000= a ciascuna delle vittime ed, inoltre, essendo stata riconosciuta l’attenuante al coimputato Gi. in sede di patteggiamento. Inoltre il difetto di motivazione sul diniego delle attenuanti generiche, a fronte di una immediata confessione ed un corretto comportamento processuale.

Motivi della decisione

3. I ricorsi sono inammissibili in quanto, in parte, fondati su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità, per altra parte perchè manifestamente infondati.

3.1. In ordine alla condanna per il delitto di cui al capo A), il giudice di merito ha ritenuto la sussistenza dell’associazione criminale sulla base dei seguenti elementi:

– gli imputati avevano commesso una nutrita serie di furti utilizzando lo stesso consolidato modus operandi (furto di chiavi di casa dalle auto; loro riproduzione e ricollocazione delle chiavi in auto; partendo dalle targhe delle auto, ricerche al PRA per identificare le abitazioni; sopralluoghi per verificare la praticabilità e fruttuosità dei furti; commissione degli atti delittuosi);

– la reiterazione dei delitti e la perfetta programmazione, lasciavano trasparire l’esistenza di un’organizzazione stabile nel tempo, finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di reati dello stesso tipo;

per lo svolgimento di tale attività erano impiegate stabilmente almeno quattro persone, gli attuali imputati, nonchè Gi.

M. e G.M., i quali avevano patteggiato la pena in relazione al delitto di cui all’art. 416 c.p.;

– indipendentemente dal giudicato a loro carico formatosi, la condotta partecipativa del G. si desumeva dai numerosi colloqui intercettati, dai quali si evincevano gli incarichi dati dal D.G. al G. di effettuare i sopralluoghi presso le abitazioni attenzionate per i furti; da ciò si evinceva la circostanza di essere a disposizione del gruppo per la realizzazione delle finalità illecite;

– analoga condotta partecipativa aveva svolto il Gi., peraltro condannato per il reato fine di cui al capo C), il quale esplicitamente in colloqui intercettati discorre di mazzi di chiave acquisiti e di sopralluoghi effettuati.

Ha ritenuto il giudice di merito, pertanto, che era stato provato il superamento del numero minimo di persone necessario per la configurazione del delitto associativo.

Le censure mosse dalla difesa alla sentenza, sul punto finiscono per esprimere solo un dissenso rispetto alla ricostruzione del fatto e della condotta partecipativa degli imputati (operata in modo conforme dal giudice di primo e secondo grado) ed invitano ad una rilettura nel merito della vicenda, non consentita nel giudizio di legittimità, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata che regge al sindacato di legittimità, non apprezzandosi nelle argomentazioni proposte quei profili di macroscopica illogicità, che soli, potrebbero qui avere rilievo.

3.2. Manifestante infondata è la seconda doglianza formulata dal D. G..

Questa Corte di legittimità ha stabilito, con consolidata giurisprudenza, che "in tema di associazione a delinquere, la qualifica di organizzatore spetta a colui che, in autonomia, cura il coordinamento e l’impiego delle strutture e delle risorse associative, nonchè reperisce i mezzi necessari alla realizzazione del programma criminoso, ponendo in essere un’attività che assuma i caratteri dell’essenzialità e dell’infungibilità, non essendo invece necessario che lo stesso soggetto sia anche investito di compiti di coordinamento e di direzione dell’attività di altri soggetti" (ex plurimis, Cass. Sez. 5^, Sentenza n. 39378 del 22/06/2012 Ud. (dep. 05/10/2012), Rv. 254317).

Nel caso di specie, come evidenziato dal giudice di merito, in sede di perquisizione presso l’abitazione dell’imputato, sono stati rinvenuti appunti con annotazione dei numeri di targa, dei nomi ed indirizzi delle vittime; duplicati delle chiavi rubate.

Da tali circostanze, coerentemente ne è stato desunto il ruolo primario ed organizzativo del D.G. (non meramente logistico o di supporto), il quale dalle intercettazioni effettuate risultava mantenere i contatti con gli altri associati.

3.3. Manifestamente infondata è anche la censura, proposta da entrambi gli imputati, relativa al diniego dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, per avere essi corrisposto la somma di Euro 1.000= (ciascuno) a titolo di risarcimento del danno per il furto di cui al capo C).

Con coerente e logica motivazione il giudice di merito ha rilevato che a stento detta somma era in grado di soddisfare il danno patrimoniale, ma non certo quello morale.

Va ricordato sul punto l’insegnamento di questa Corte di legittimità, secondo il quale "in tema di circostanza attenuante del risarcimento del danno, il carattere integrale dello stesso……va verificato in funzione del duplice oggetto della condotta dell’agente in relazione all’interesse leso, dovendo in esso quindi ricomprendersi, oltre al danno cagionato contro il patrimonio dall’azione….., anche quello fisico o morale….." (Cass. Sez. 2^, Sentenza n. 6479 del 13/01/2011 Ud. (dep. 22/02/2011), Rv. 249391;

Cass. Sez. 2^, Sentenza n. 702 del 07/11/2000 Ud. (dep. 24/01/2001), Rv. 217887). Nè ha rilievo che al Gi., in sede di patteggiamento, sia stata riconosciuta l’attenuante, considerato l’insegnamento di questa Corte, secondo cui la doglianza che configuri semplicemente un contrasto di giudizi esula dai motivi di ricorso per cassazione tipicamente e tassativamente previsti dall’art. 606 c.p.p. (cfr. Cass. Sez. 5^, Sentenza n. 16275 del 16/03/2010 Ud. (dep. 26/04/2010), Rv. 247261). Pertanto, tenuto conto della non "integrale" riparazione del danno, correttamente il giudice di merito ha ritenuto insussistenti i presupposti per riconoscere l’attenuante.

3.4. Il T. ha lamentato, inoltre, il vizio di motivazione per la condanna relativa al capo H (furto in abitazione della somma di Euro 1.000, in danno dei coniugi L.B. e S.A., comm. in (OMISSIS)).

Il giudice di merito è giunto alla condanna per tale capo di imputazione, sulla base del colloquio intercettato tra il D.G. ed il T. il giorno (OMISSIS) (successivo a quello del furto).

Nel corso di tale colloquio il T. informa l’amico di avere fatto un furto di 1.000 Euro in casa di quello delle "buste" di piazza (OMISSIS). Da accertamenti di P.G. era emerso che il L. era commerciante di buste con esercizio in piazza (OMISSIS).

La difesa dell’imputato ha osservato che nel colloquio il T. parla di un furto commesso da altri. Sul punto il giudice di merito ha risposto in modo pertinente che, dopo l’ascolto delle telefonate, era impossibile stabilire se in dialetto il T. avesse detto "ci ficinu" (altri) o "e ficimu" (noi) l’appartamento, in quanto le due espressioni in dialetto erano fonicamente sostanzialmente sovrapponibili. Ciò che convinceva per la responsabilità del T. (e degli ignoti complici), era che egli stesso aveva introdotto il discorso con il D.G. e quest’ultimo non aveva chiesto nessuna ulteriore spiegazione, cosa che invece ragionevolmente avrebbe fatto se il furto fosse stato commesso da altri. Inoltre le modalità operative dell’atto delittuoso erano state quelle consuete, in quanto era stata sfruttata la circostanza della perdita delle chiavi di casa da parte del figlio dei proprietari. Inoltre, il fatto che il T. nel prosieguo della conversazione aveva fatto riferimento ad una somma sottratta di Euro 3.000 non intaccava la attendibilità della ricostruzione del fatto in quanto, come osservato dalla Corte di merito, tale bottino era riferito ad un diverso furto in danno di una persona possessore di una vespa.

La difesa, con i motivi di censura sostanzialmente invita ad una rilettura del merito della vicenda, inammissibile in questa sede a fronte di una motivazione della condanna non manifestamente illogica.

3.5. Infine, in ordine al lamentato vizio di motivazione sul diniego delle attenuanti generiche, va ricordato l’insegnamento di questa Corte con cui si è affermato che "la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’art. 62 – bis c.p. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purchè non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato" (Cass. Sez. 6^, Sentenza n. 42688 del 24/09/2008 Ud. (dep. 14/11/2008), Caridi, Rv. 242419; Cass. Sez. 6^, Sentenza n. 7707 del 04/12/2003 Ud. (dep. 23/02/2004), Anaclerio, Rv.

229768; Cass. Sez. 5^, Sentenza n. 6771 del 22/04/1981 Ud. (dep. 09/07/1981), Brunelli, Rv. 149699).

Nel caso di specie il giudice di merito, nel negare le attenuanti, ha evidenziato l’assenza di positivi elementi di valutazione, non potendo gli stessi essere desunti dalla confessione resa, che era intervenuta a fronte di un quadro probatorio non equivoco, e senza che fossero fornite indicazioni onde sviluppare le indagini su altri partecipi rimasti ignoti. Pertanto, la coerenza e logicità della motivazione sul punto, la rende insindacabile in questa sede.

Segue, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, dei ricorrenti : cfr.

Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000), ciascuno, al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1000,00 (mille).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1.000,00= (mille) in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2013

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