Cass. civ. Sez. I, Sent., 24-07-2012, n. 12986 Dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo

Con atto di citazione del 22.11.2004 B.C. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Torino F.R., F.B. e P.L. in persona del curatore, quali eredi legittimi dichiarati scomparsi di Fe.Ma., per sentir accertare la paternità di quest’ultimo e, conseguentemente, la propria qualità di erede dello stesso.

Il giudizio, poi riassunto nei confronti di F.M., sorella di Ma., quale erede apparente del fratello essendo stata dichiarata la morte presunta degli originari convenuti, veniva definito con sentenza con la quale il Tribunale, nell’opposizione della F., dichiarava che B.C. era figlia di Fe.Ma..

La decisione, impugnata dalla convenuta, veniva poi confermata dalla Corte di Appello, che segnatamente rilevava come fossero emersi univoci elementi deponenti nel senso rappresentato dall’attrice, come in particolare fossero significative le deposizioni dei testi B. e C.D.V., come inconsistenti fossero le dichiarazioni dei testi S. e V.L., in quanto non direttamente informati in ordine alle circostanze sulle quali erano stati chiamati a deporre, come infine fosse superfluo l’espletamento della sollecitata consulenza tecnica, essendo già emersi sufficienti elementi idonei a determinare l’accoglimento della domanda.

Avverso la decisione F.M. proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui non resisteva l’intimata.

La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 2.7.2012.

Motivi della decisione

Con i motivi di impugnazione la ricorrente ha rispettivamente denunciato:

1) violazione dell’art. 269 c.c., e segg., art. 116 c.p.c., art. 2697 c.c., poichè una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa esistente deporrebbe nel senso di ritenere che la prova ematologica costituisca la sola prova idonea ad eliminare ogni situazione di dubbio, sicchè il difforme giudizio della Corte territoriale sul punto, non sorretto da adeguata motivazione, sarebbe errato e meritevole di censura.

2) vizio di motivazione con riferimento alla valutazione della prova testimoniale. Dei cinque testimoni escussi, infatti, soltanto due avrebbero offerto indicazioni rilevanti ma, a dire della ricorrente, il relativo contenuto non avrebbe consentito di pervenire alla conclusioni cui è giunta la Corte di Appello, tenuto conto delle imprecisioni di cui apparivano connotate.

La oggettiva incertezza ancora sussistente all’esito del giudizio avrebbe dunque dovuto indurre il giudice del merito ad espletare la richiesta consulenza ematologica.

Il ricorso è infondato.

Per quanto riguarda il primo motivo si osserva infatti, innanzitutto, che in tema di dichiarazione giudiziale di paternità naturale vige il principio della libertà della prova, sancito dall’art. 269 c.c., comma 2, per il quale, fra l’altro, non è configurabile alcuna gerarchia fra i mezzi di prova (C. 07/14976).

Non è dunque configurabile alcuna violazione di legge in relazione al mancato accoglimento dell’istanza di consulenza tecnica, sicchè la sola questione che può essere eventualmente prospettata è quella relativa alla correttezza del giudizio emesso in proposito dal giudice del merito.

Sul punto, tuttavia, non è fondatamente prospettabile alcun sindacato atteso che, ai fini della formulazione del detto giudizio, occorre considerare che non è necessario che il giudicante dia corso alle diverse richieste istruttorie avanzate dalle parti, essendo al contrario sufficiente che indichi le ragioni della sua mancata adesione ovvero della statuizione di merito che implicitamente le disattenda, ipotesi riscontrabile nel caso in esame.

E’ poi inammissibile il secondo motivo di impugnazione.

In proposito occorre invero rilevare che il provvedimento impugnato è stato depositato il 9.12.2008, quando cioè era vigente l’art. 366 bis c.p.c., per il quale, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione del motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, perchè sia rispettato il disposto del citato art. 366 bis, occorre che il ricorrente denunciante un vizio di motivazione rappresenti un momento di sintesi, la cui funzione è omologa a quella del quesito di diritto previsto nel caso di denuncia di vizio di violazione di legge, che ne circoscriva puntualmente i limiti.

Nella specie, tuttavia, detto adempimento non risulta rispettato.

Ed infatti manca del tutto l’indicazione del fatto controverso, che non è possibile desumere dalla lettura del motivo nel suo complesso, ma che va al contrario rappresentato in una parte dello stesso a ciò specificamente e riassuntivamente destinata (C. 08/11652, C. 08/8897, C. 08/4311).

Ne consegue, conclusivamente, che il ricorso deve essere rigettato, mentre nulla va disposto in ordine alle spese processuali, poichè l’intimata non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2012

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