Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-01-2013) 16-04-2013, n. 17324 Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con decreto in data 16 luglio 2012 la corte d’appello di Palermo confermava il decreto emesso dal tribunale di Palermo sezione misure di prevenzione che in data 16 maggio 2011 che aveva disposto nei confronti di G.A. la misure di prevenzione della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza per il periodo di anni due e mesi sei, ai sensi della L. n. 575 del 1965, e la confisca della ditta individuale intestata a S.G. moglie del proposto e dell’autovettura Mercedes 180 intestata sempre a S.G..

Ricorre per cassazione avverso il predetto provvedimento G. A. deducendo violazione di legge e vizio della motivazione.

Contesta in particolare l’attualità della pericolosità censurando la mancanza e manifesta illogicità della motivazione Sostiene con riguardo alle misure di carattere patrimoniale che i beni aziendali trovavano copertura con le fonti finanziarie della ditta. Contesta la ricostruzione effettuata dai giudici di merito. Il ricorso è infondato.

Come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (N. 3098 del 1995 Rv. 201756, N. 6366 del 1997 Rv. 206754, N. 461 del 1998 Rv. 210006, N. 5760 del 1998 Rv. 212443, N. 950 del 1999 Rv. 214505, N. 114 del 2005 Rv. 231448, N. 44326 del 2005Rv. 232779 N. 499 del 2008 Rv.

242379) in tema di misure di prevenzione, l’appartenenza ad un’associazione per delinquere di tipo mafioso implica di per se stessa una latente e permanente pericolosità del soggetto. Ai fini dell’applicazione di misure di prevenzione nei confronti di appartenenti ad associazioni mafiose, una volta che detta appartenenza risulti adeguatamente dimostrata, non è necessaria alcuna particolare motivazione del giudice in punto di attuale pericolosità, che potrebbe essere esclusa solo nel caso di recesso dall’associazione, del quale occorrerebbe acquisire positivamente la prova, non bastando a tal fine eventuali riferimenti al tempo trascorso dall’adesione o dalla concreta partecipazione ad attività associative. Ciò detto deve rilevarsi che il ricorso è in realtà diretto a censurare il difetto di motivazione, sotto il profilo dell’apparenza e manifesta illogicità, mediante un non ammesso sindacato sul contenuto della motivazione e la proposta di un diversa opzione argomentativa e ricostruttiva del giudizio di pericolosità e di illeicità delle somme utilizzate per l’acquisto dei beni confiscati, a fronte di quello assolutamente plausibile espresso nel provvedimento impugnato e soltanto non condiviso dal ricorrente che, attraverso una personale lettura delle risultanze e un altrettanto alternativa disamina delle stesse, contesta il risultato raggiunto dalla Corte di merito.

Nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, comma 10, richiamato dalla L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 3 ter, comma 2, ed è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e), potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso il caso di motivazione inesistente o meramente apparente, qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dalla L. n. 1423 del 1956, art. 4, comma 9. Il ricorso deve pertanto essere respinto e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2013

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