Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-01-2013) 16-04-2013, n. 17306

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

T.G., M.L. e P.A. ricorrono avverso la sentenza, in data 29 novembre 2011, della Corte d’appello di Palermo, con cui è stata parzialmente confermata la sentenza del Tribunale di Palermo in data 19 febbraio 2010, con la conseguente condanna alla pena di anni tre e mesi cinque di reclusione ed Euro 550,00 di multa per il reato di cui agli artt. 648 e 479 c.p. del primo, alla pena di anni due e mesi due di reclusione ed Euro 520,00 di multa del secondo, e alla pena di anni quattro e mesi quattro di reclusione ed Euro 1580,00 di multa della terza, e chiedendone l’annullamento, lamenta il T.:

a) la violazione di legge ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione all’art. 648 cpv. c.p..

Il ricorrente lamenta la mancata concessione della circostanza del fatto di speciale tenuità di cui all’art. 648 cpv. c.p., facendo riferimento alla natura dei beni oggetto di ricettazione (fotocopie di moduli in bianco di patente contestati ai capi 16) e 18).

b) la violazione di legge ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione all’art. 603 c.p.p..

Il ricorrente censura la mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello con riferimento al capo 30) in cui era stata richiesta la ricognizione del T. da parte della persona offesa I.G., che riconobbe lo stesso come una delle persone all’interno dell’esercizio commerciale insieme ad altri due coimputati.

Il M.L. deduce:

a) la violazione di legge ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione agli artt. 157 e 161 c.p..

Il ricorrente lamenta la omessa declaratoria della prescrizione in ordine ad alcuni capi di imputazione, in particolare i capi 12 quater e 13 quinquies (D.P.R. n. 445 del 2000, artt. 81, 110 e 76, artt. 48 e 479 c.p. in considerazione della omessa contestazione dell’aggravante di cui all’art. 476 c.p., comma 2.

La P.A. ha dedotto:

a) la violazione di legge ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione agli artt. 157 e 161 c.p..

La ricorrente lamenta la omessa declaratoria della prescrizione in ordine ad alcuni capi di imputazione, in particolare i capi 4 quater e 4 quinquies, 12 quater e 13 quinquies (art. 477, 481 e 482 c.p. e D.P.R. n. 445 del 2000, artt. 81, 110 e 76, artt. 48 e 479 c.p.) in considerazione della omessa contestazione dell’aggravante di cui all’art. 476 c.p., comma 2.
Motivi della decisione

I ricorsi sono manifestamente infondati.

1. Per quanto riguarda le censure sollevate dal T., con il primo motivo osserva la Corte che nel ricorso si prospettano esclusivamente valutazioni di elementi di fatto, divergenti da quelle cui è pervenuto il giudice d’appello con motivazioni congrue ed esaustive, previo specifico esame degli argomenti difensivi attualmente riproposti (si veda in particolare il riferimento agli elementi relativi alle modalità di possesso dei moduli in bianco di patente di provenienza furtiva e alla gravità del fatto anche rapporta tata alla specifica personalità del ricorrente; le valutazioni appaiono esenti da censure logico giuridiche, anche in considerazione del fatto che in primo grado il giudizio è stato effettuato con il rito abbreviato).

Le valutazioni di merito sono insindacabili nel giudizio di legittimità, quando il metodo di valutazione delle prove sia conforme ai principi giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi logici, come nel caso di specie. (Cass. pen. sez. un., 24 novembre 1999, Spina, 214794).

2. Per quanto riguarda il secondo motivo di doglianza è stata fatta corretta applicazione del principio in base al quale in tema di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, ex art. 603 c.p.p., comma 1, il giudice di appello è tenuto a disporre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale alla condizione che il giudice ritenga, nell’ambito della propria discrezionalità, che i dati probatori già acquisiti siano incerti e che l’incombente processuale richiesto rivesta carattere di decisività. (Sez. 2, n. 31065 del 10/05/2012 – dep. 31/07/2012, Lo Bianco e altri, Rv. 253526).

E nel caso in esame i giudici di merito hanno ampiamente spiegato le ragioni in base alle quali tale potere non è stato esercitato (v.

pagg. 10 e 11 della sentenza d’appello).

3. Per quanto riguarda l’operatività dell’istituto della prescrizione reclamata dal M. e dalla P. ritiene la Corte che i motivi siano manifestamente infondati.

Nella sentenza risultano affrontate tutte le questioni dedotte nel ricorso e che peraltro erano già state proposte in appello (v. pagg.

da 7 a 10 in cui la tipologia di atti falsificati contestata, è adeguatamente analizzata ai fini dell’applicazione dell’aggravante speciale di cui all’art. 476 c.p., comma 2, in considerazione del consolidato principio giurisprudenziale secondo il quale ai fini della contestazione di una aggravante non è necessaria la specifica indicazione della norma che la prevede essendo sufficiente la chiara e precisa enunciazione "in fatto" della stessa e che l’imputato abbia piena cognizione degli elementi di fatto che la integrano. (Sez. 6, n. 40283 del 28/09/2012 – dep. 12/10/2012, P.G. in proc. Diaji, Rv.

253776).

Peraltro, ritiene il collegio che nel ricorso per cassazione contro la sentenza di appello non può essere riproposta – ferma restando la sua deducibilità o rilevabilità "ex officio" in ogni stato e grado del procedimento – una questione che aveva formato oggetto di uno dei motivi di appello sui quali la Corte si è già pronunciata in maniera esaustiva, senza errori logico – giuridici, come è avvenuto nel caso di specie. Ne deriva, in ipotesi di riproposizione di una delle dette questioni con ricorso per cassazione, che la impugnazione deve essere dichiarata inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, ultima parte". (Cass. pen., sez 6, 25.1.94, Paolicelli, 197748).

Tale circostanza correttamente ha reso impossibile applicare l’art. 157 c.p..

4. Va dichiarata, pertanto l’inammissibilità dei ricorsi cui consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè ciascuno al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dai ricorsi, si determina equitativamente in Euro 1000.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno inoltre, al versamento della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2013

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