Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-01-2013) 10-04-2013, n. 16342

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.
Svolgimento del processo

M.E. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze in data 17 giugno 2011, con la quale è stata parzialmente confermata la sentenza del Tribunale di Empoli del 30 gennaio 2008, con cui è stato condannato in ordine al reato di cui all’art. 629 c.p., previa declaratoria di n.d.p. in ordine al reato di furto semplice e rideterminazione della pena in anni tre e mesi quattro di reclusione.

A sostegno dell’impugnazione deduce:

a) Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione; erronea applicazione della legge penale.

Il ricorrente censura le valutazioni operate dai giudici di merito in ordine alla sussistenza del reato di cui all’art. 629 c.p.. In ogni caso contesta la ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico per tale delitto, dovendosi riqualificare il fatto in realtà ai sensi dell’art. 392 c.p. e conseguente declaratoria di improcedibilità per mancanza di querela.
Motivi della decisione

Osserva la Corte che il ricorso è, da un lato, privi della specificità prescritta dall’art. 581, lett. c) in relazione all’art. 591 c.p.p. e, dall’altro, manifestamente infondato: nella sentenza risultano affrontate tutte le questioni dedotte nel ricorso e che peraltro erano già state proposte in appello.

Peraltro, ritiene il collegio che nel ricorso per cassazione contro la sentenza di appello non può essere riproposta – ferma restando la sua deducibilità o rilevabilità "ex officio" in ogni stato e grado del procedimento – una questione che aveva formato oggetto di uno dei motivi di appello sui quali la Corte si è già pronunciata in maniera esaustiva, senza errori logico – giuridici. Ne deriva, in ipotesi di riproposizione di una delle dette questioni con ricorso per cassazione, che la impugnazione deve essere dichiarata inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, ultima parte".

(Cass. pen., sez 6, 25.1.94, Paolicelli, 197748).

Uniformandosi a tale orientamento che il Collegio condivide, va dichiarata inammissibile l’impugnazione.

Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2013

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