Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 24-07-2012, n. 12954 Contratto a termine

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte considerato che:

il giudice d’appello di Ancona ha dichiarato l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato fra il lavoratore indicato in epigrafe e Poste Italiane s.p.a. e la conseguente instaurazione fra le parti di un rapporto di lavoro subordinato;

per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la Poste Italiane s.p.a. affidato a due motivi, illustrati da memoria; il lavoratore ha resistito con controricorso specificato da memoria;

con riferimento all’assunzione del lavoratore in epigrafe assunto con contratto a termine, a norma dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 ed in particolare in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997 la Corte premesso che l’accordo de quo era disciplinato dalla L. n. 56 del 1987, art. 23 attribuendo rilievo decisivo al fatto che le parti avevano fissato il limite del 30 aprile 1998 alla possibilità di procedere con assunzioni a termine ha ritenuto il contratto a termine in esame illegittimo in quanto stipulato in epoca posteriore.

Rilevato che:

il Collegio, in esito alla odierna udienza di discussione, ha disposto la redazione della motivazione della presente sentenza in forma semplificata; le censure che si concludono, rispettivamente, con i seguenti quesiti: "se il sistema delineato dalla legge preveda la necessità che – ove le nuove ipotesi di contratto a termine siano dotate di particolare ampiezza tale da capovolgere il rapporto tra la regola generale dell’assunzione a tempo indeterminato e l’assunzione a termine – la norma contrattuale debba necessariamente avere un’efficacia temporale limitata nel tempo"; "se in caso di domanda di risarcimento danni proposta dal lavoratore a seguito dell’intervenuto scioglimento del rapporto di lavoro determinatosi per effetto dell’iniziativa del datore fondata su clausola risolutiva contrattuale nulla, rimane a carico dello stesso lavoratore, in qualità di attore, l’onere di allegare e di provare il danno da scioglimento del rapporto di lavoro fondato su clausola risolutiva contrattuale nulla e tale danno può equivalere alle retribuzioni perdute a causa della mancata esecuzione delle prestazioni lavorative, ma presuppone che queste siano state offerte dal lavoratore e che il datore di lavoro le abbia illegittimamente rifiutate"; "se il risarcimento è da escludersi ove si accerti che il danno del lavoratore (derivante dalla perdita della retribuzione) si è ridotto in misura corrispondente ad altri compensi percepiti (c.d. aliunde perceptum) per prestazioni lavorative svolte – nel periodo considerato – presso altri datori di lavoro", sono inammissibili per genericità del quesito;

invero tali quesiti prescindono del tutto dalla ratio decidendi posta a base della sentenza impugnata e si risolvono nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella materia e come tale non è idoneo ad assolvere alla sua funzione;

questa Corte ha affermato, infatti, che, a norma dell’art. 366 bis c.p.c., non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, (Cass. S.U. 11 marzo 2008 n. 6420); ovvero quando, essendo la formulazione generica e limitata alla riproduzione del contenuto del precetto di legge, è inidoneo ad assumere qualsiasi rilevanza ai fini della decisione del corrispondente motivo, mentre la norma impone al ricorrente di indicare nel quesito l’errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (Cass. S.U. 9 luglio 2008 n. 18759);

pertanto risultando inammissibile la censura relativa alle conseguenze economiche derivanti dalla accertata illegittimità del termine non vi è spazio per l’applicazione dello ius supervenines di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7;

il ricorso in conclusione va dichiarato inammissibile;

le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 50,00 per esborsi oltre Euro 3.000,00 per onorario ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2012

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