Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 24-07-2012, n. 12948 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte, Rilevato che:

1. la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza di prime cure che aveva dichiarato l’illegittimità del termine apposto ai contratti di lavoro stipulati da Poste Italiane s.p.a. con F. B. (con decorrenza 9 ottobre 1998) e I.A.R. (con decorrenza 3 giugno 1999);

2. per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso articolato in sei motivi e illustrato da memoria; i lavoratori hanno resistito con controricorso;

3. il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata;

4. con i primi quattro motivi la società ricorrente censura (denunciando violazione della L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2 della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dell’art. 1362 cod. civ. in relazione all’interpretazione di norme collettive nonchè vizio di motivazione) la statuizione della sentenza impugnata concernente l’illegittimità del termine apposto ai contratti in esame;

5. osserva il Collegio che la Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo, ai fini della statuizione sull’illegittimità del termine, tra l’altro, alla considerazione che entrambi i contratti in esame sono stati stipulato, per esigenze eccezionali … – ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 31 maggio 1998;

6. tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al c.c.n.l. del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione in relazione alla statuizione concernente la nullità del termine apposto ai contratti in esame; al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che "l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato" (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063;

cfr. altresì Cass. 20 aprile 2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). "Ne risulta, quindi, una sorta di "delega in bianco" a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato".

(cfr., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v.

fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866); in particolare, quindi, come questa Corte ha univocamente affermato e come va anche qui ribadito, "in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti in contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1" (v., fra le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 novembre 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.);

7. per le suddette ragioni devono essere respinti i primi quattro motivi di ricorso;

8. quanto alle conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine, si pone il problema dell’applicabilità al caso di specie dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7 in vigore dal 24 novembre 2010; con riguardo alla problematica relativa alla possibilità di ricomprendere tra i giudizi pendenti (ai quali fa riferimento l’art. 32, art. 7 sopra citato) anche il giudizio di cassazione, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070); in tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria; ne consegue che, con riferimento alla disciplina qui invocata, la necessaria sussistenza della questione ad essa pertinente nel giudizio di cassazione presuppone che i motivi di ricorso investano specificatamente le conseguenze patrimoniali dell’accertata nullità del termine e che essi siano ammissibili; in particolare, ove, come nel caso in esame, il ricorso sia stato proposto avverso una sentenza depositata successivamente alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, tali motivi devono essere altresì corredati, a pena di inammissibilità degli stessi, dalla formulazione di un adeguato quesito di diritto, ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., ratione temporis ad essi applicabile; in caso di assenza o di inammissibilità di una censura in ordine alle conseguenze economiche dell’accertata nullità del termine, il rigetto dei motivi inerenti tale aspetto pregiudiziale produce infatti la stabilità delle statuizioni di merito relative a tali conseguenze;

9. ne caso in esame i motivi che investono il tema cui potrebbe essere riferibile la disciplina di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5, 6 e 7 sono gli ultimi due con i quali vengono denunciati, rispettivamente, violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1218, 1219, 1223, 2094 e 2099 cod. civ.;

10. col penultimo motivo parte ricorrente lamenta, in sostanza, la violazione dei principi in tema di mora accipiendi e di corrispettività delle prestazioni; il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto ex art. 366 bis cod. proc. civ.: per il principio della corrispettività della prestazione, il lavoratore – a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato – ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui all’art. 1206 c.c. e segg.; se in ogni caso la notificazione del ricorso ex art. 414 cod. proc. civ. possa essere considerata atto di messa in mora ex art. 1219 cod. civ.; con l’ultimo motivo parte ricorrente lamenta la mancata considerazione, in sede di liquidazione del danno dell’aliunde perceptum, relativo ai redditi percepiti da lavoratori in relazione a rapporti di lavoro con altri datori di lavoro, come pure dell’eventuale inerzia del lavoratore nell’omettere di ricercare una nuova occupazione; il motivo si conclude col seguente quesito di diritto: se nel caso di accertamento della pretesa illegittimità del termine apposto al contratto di assunzione, il risarcimento del preteso danno derivante dalla perdita della retribuzione debba in ogni caso essere quantificato considerando l’aliunde perceptum ovvero – ai sensi dell’art. 1227 cod. civ. – il concorso colposo del lavoratore che abbia omesso di ricercare una diversa occupazione;

11. osserva il Collegio che i suddetti quesiti risultano del tutto generici e sostanzialmente non pertinenti rispetto alla fattispecie, in quanto si risolvono nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella materia senza enucleare il momento di conflitto rispetto ad esse del concreto accertamento operato dai giudici di merito (cfr. Cass. 4 gennaio 2011 n. 80; Cass. 29 aprile 2011 n. 9583); ciò in contrasto con i principi enunciati da questa Corte di legittimità (cfr., in particolare, Cass. S.U. 5 gennaio 2007 n. 36) secondo cui il principio di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo, deve essere formulato in maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in giudizio, dovendosi ritenere inesistente un quesito generico e non pertinente, con conseguente inammissibilità del relativo motivo, come nel caso di specie (per una analoga fattispecie cfr. Cass. 1 settembre 2011 n. 17674);

12. il ricorso va pertanto respinto;

13. in applicazione del criterio della soccombenza la società ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 50,00 per esborsi, oltre Euro 3000,00 (tremila/00) per onorari e oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *