Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 24-01-2013) 11-03-2013, n. 11488 Ebbrezza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.V. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando quella di primo grado, lo ha ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), tasso alcolemico rilevato 2,48 g/l, condannandolo alla pena di gg. 20 di arresto e Euro 4000 di ammenda, oltre alla pena accessoria della sospensione della patente per mesi tre (il fatto risale al (OMISSIS)).

Ai fini che interessano, la Corte di merito, riteneva di non poter accedere alla sostituzione della pena detentiva L. n. 689 del 1981, ex art. 53 e segg. valorizzando negativamente quattro precedenti penali specifici.

Non accoglieva neppure il motivo aggiunto con cui l’imputato sollecitava l’applicazione del novum normativo di cui all’art. 186 C.d.S., comma 9 bis, con la conseguente sostituzione della pena detentiva e pecuniaria con quella del lavoro di pubblica utilità.

Sul punto, sosteneva che tale disciplina non poteva avere efficacia retroattiva in difetto di disposizioni transitorie e comunque questa non importava un trattamento più favorevole rispetto a quello stabilito dalle disposizioni vigenti all’epoca del fatto, prevedendo un inasprimento sanzionatorio.
Motivi della decisione

In via preliminare va rilevato che il ricorso è inammissibile, ex art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), perchè tardivamente proposto.

Non è stata, nella specie, osservata la disposizione dell’art. 585 c.p.p., comma 1, lett. a), che prevede il termine di impugnazione di quindici giorni, per i provvedimenti emessi nel caso previsto dall’art. 544, comma 1 (la sentenza è stata pronunciata in data 4 maggio 2011, senza indicazione di maggior termine, ed è stata depositata il successivo 9 maggio), decorrente ex art. 585, comma 2, lett. d), dalla data di notifica dell’estratto contumaciale (avvenuta in data 21 giugno 2011, mentre il ricorso è stato depositato tardivamente in data 28 luglio 2011).

I motivi sono, comunque, manifestamente infondati.

La decisione è, infatti, incensurabile, laddove non è stata accolta la richiesta di sostituzione della pena detentiva della L. n. 689 del 1981, ex art. 53 e segg..

Va ricordato, infatti, che la sostituzione delle pene detentive brevi è rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice, che deve essere condotta in osservanza dei criteri di cui all’art. 133 c.p. prendendo in esame, tra l’altro, le modalità del fatto per il quale è intervenuta condanna e la personalità del condannato (Sezione 2, 6 febbraio 2008, Frediani, rv. 239494).

Qui risulta una decisione che, nel rispettare detto principio, ha sviluppato congrua motivazione, con richiamo ai precedenti specifici, plurimi evidentemente ritenuti ostativi sotto il profilo prognostico adempimento delle prescrizioni come richiesto dall’art. 58 della stessa Legge. Vi è da aggiungere che i quattro precedenti specifici configurano condizioni soggettive tout court ostative alla sostituzione (cfr. art. 59, comma 2, lett. a), Legge cit.).

Anche l’altro motivo è manifestamente infondato, essendo corretto l’argomento utilizzato per non accogliere la invocata sostituzione con il lavoro di pubblica utilità.

Quello che va evidenziato – e qui il giudicante si è espresso correttamente – è che, una volta individuata la disposizione complessivamente più favorevole, il giudice deve applicare questa nella sua integralità, ma non può combinare un frammento normativo di una legge e un frammento normativo dell’altra legge secondo il criterio del favor rei, perchè in tal modo verrebbe ad applicare una terza fattispecie di carattere intertemporale non prevista dal legislatore, violando così il principio di legalità: da ciò discende che, laddove il giudice ritenga di accedere alla richiesta di applicazione del lavoro di pubblica utilità, per i limiti edittali della pena detentiva da sostituire dovrà avere riguardo a quelli anche più gravi: cfr., ad esempio, il nuovo limite edittale previsto per l’art. 186, comma 2, lett. c) attualmente vigenti, che prevede l’ammenda da Euro 1500,00 ad Euro 6.000,00 e l’arresto da sei mesi ad un anno sul punto, per utili riferimenti sul tema, cfr.

Sezione 4, 12 luglio 2011, n. 32463, Bergese.

Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa del ricorrente (Corte Cost, sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna del ricorrente medesimo al pagamento delle spese processuali e di una somma, che congruamente si determina in mille Euro, in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2013
n. 73/167

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