Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 24-07-2012, n. 12944 Controversie di lavoro

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ricorso depositato al Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, E.A., premesso di essere stato dipendente di Poste Italiane s.p.a sin dal 1981 e di avere lavorato come impiegato sportellista presso l’ufficio di Quarto con qualifica di impiegato di quinta categoria, esponeva che in seguito ad un procedimento disciplinare introdotto con nota del 10.4.2002, gli era stato comunicato il licenziamento per un addebito contestato il 4.3.2002, in relazione alle condotte dettagliatamente descritte, concernenti la regolare esecuzione di due operazioni di deposito da lui effettuate, la prima, in data 9.8.2001, di L. 3.800.000, la seconda, in data 13.8.2001, di L. 3.850.000, iscritte manualmente solo sul libretto del cliente ma non contabilizzate sulla partita contabile (scheda S) e sul conto giornaliero di sportello (modo 31^), nè sulle note contabili dell’Ufficio, nonchè la mancata consegna al cliente della ricevuta per l’avvenuto deposito (mod. 1 aut).

L’istante deduceva l’illegittimità del licenziamento per violazione del principio di immediatezza della contestazione intervenuta sette mesi dopo il verificarsi dei fatti descritti e per insussistenza di una giusta causa di recesso, non essendovi prova della ascrivibilità allo stesso delle condotte contestate; deduceva altresì di essere stato colpito da un grave esaurimento nervoso, aggravatosi nel periodo in cui si verificarono i fatti ascrittigli, che gli avevano reso difficile attendere al lavoro con consapevolezza, nonchè di avere ripianato l’ammanco mediante il versamento delle somme risultanti mancanti.

Esso ricorrente adiva pertanto il giudice del lavoro per sentire dichiarare la nullità e/o l’inefficacia del licenziamento, nonchè per ottenere la condanna della società a risarcire il danno mediante il pagamento di tutte le retribuzioni maturate e maturande, con vittoria di spese di lite.

2. Instauratosi il contraddittorio, Poste Italiane s.p.a. resisteva alla domanda, della quale chiedeva il rigetto; evidenziava che la contestazione era avvenuta in tempi ragionevoli, in quanto il procedimento di verifica delle operazioni contabili si era messo in moto dopo le denunce dei titolari dei conti correnti postali che non avevano potuto ritirare le somme depositate. La società convenuta evidenziava altresì che la procedura aveva dovuto tenere conto della complessità delle indagini; nel merito, si poneva in luce la circostanza che esso E. non aveva comunicato la sua situazione di salute, la quale però non gli aveva impedito di restituire il maltolto. La società concludeva per il rigetto della domanda.

3. Il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, con sentenza n. 25935 dell’11.11.2008, accoglieva la domanda; dichiarava la illegittimità del licenziamento intimato all’ E. con comunicazione del 10.04.2002 e condannava Poste Italiane s.p.a. al risarcimento del danno per l’illegittimo licenziamento nella misura di quindici mensilità, commisurate alla retribuzione globale di fatto da ultimo percepita, con interessi legali e rivalutazione monetaria dal di dell’illegittimo licenziamento fino all’effettivo pagamento; condannava altresì la società alla rifusione delle spese di lite con distrazione. Il giudice di primo grado riteneva che la contestazione era stata tempestiva, tenuto conto della circostanza della notizia del fatti contestati nell’ottobre 2001, del completamento della relazione ispettiva nel febbraio 2002 e della contestazione dell’addebito effettuata il 04.03.2002. Rilevava il giudice di prime cure che gli addebiti mossi all’ E. ed il conseguente provvedimento espulsivo erano stati posti in essere non tenendo in considerazione le condizioni di salute del dipendente, che si era trovato in uno stato depressivo molto intenso proprio all’epoca dei fatti. Tale stato morboso aveva minato la sua capacità di lavoro, per cui se negligenza poteva essere ravvisata nell’espletamento delle operazioni contabili , non c’era stato dolo ed era di conseguenza ingiustificata la sanzione del recesso della giusta causa. Tale assenza della volontà consapevole di non recare danno alla società con proprio profitto era desumibile peraltro dalla restituzione delle somme da parte dell’ E., che al contempo non aveva ammesso di averle sottratte ai suoi legittimi proprietari. Con riferimento alla conseguenze del licenziamento illegittimo, il giudice di primo grado riteneva che la domanda contenesse la declaratoria di illegittimità del recesso del datore di lavoro, con la condanna di quest’ultimo al pagamento dell’indennità sostitutiva della reintegrazione di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5.

4. Con atto depositato in data 08.05.2009 l’ E. interponeva appello avverso la sentenza di primo grado, rilevando la parziale erroneità della pronuncia, specificamente nella parte in cui ha disposto come effetto della pronuncia della illegittimità del licenziamento la sola condanna all’indennità sostitutiva della reintegrazione di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5.

L’appellante evidenziava che non aveva formulato tale domanda nel ricorso introduttivo del giudizio, mentre nel verbale di causa dell’udienza, di discussione del giudizio, aveva specificato la domanda nel senso di volere ottenere anche la reintegrazione nel posto di lavoro. Tale conclusione, e cioè la domanda di reintegrazione nel posto di lavoro – aggiungeva l’appellante – si sarebbe potuta ricavare anche dalla richiesta di risarcimento del danno quantificato in tutte le retribuzioni maturate e maturande durante il periodo di protrazione dell’efficacia del licenziamento illegittimo. L’ E. quindi concludeva per la riforma parziale della sentenza di primo grado, con la condanna di Poste Italiane s.p.a. alla reintegrazione di esso istante nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno pari alle retribuzioni maturate e maturande dalla data dell’illegittimo licenziamento sino alla effettiva reintegrazione.

5. Si costituiva in giudizio Poste Italiane s.p.a. e spiegava appello incidentale avverso la sentenza del Tribunale di Napoli, con riferimento alla parte in cui aveva ritenuto illegittimo il disposto licenziamento dell’ E.. Secondo la società, le condizioni di salute di esso E., come si evinceva dai certificati medici e dalle disposte testimonianze, non avrebbero affatto compromesso le sue facoltà intellettive sino al punto di non rendersi più conto di quanto esso istante stava facendo quando raccolse le somme dai clienti di Poste Italiane s.p.a.; anzi, dalle giustificazioni rese dall’interessato a seguito della contestazione, si ricaverebbe la colpevolezza della condotta di esso E., in quanto lo stesso annotò le somme depositate sui libretti postali, ma non inserì le somme nelle note contabili di Poste Italiane s.p.a., avendo, in tal modo, reso impossibile per i depositanti il ritiro successivo delle somme versate. Pertanto la società chiedeva la riforma della sentenza di primo grado con il rigetto integrale della domanda proposta dall’ E.. In subordine la società chiedeva confermarsi la sentenza di primo grado, in quanto era in facoltà dell’istante chiedere ed ottenere in sostituzione della reintegrazione l’indennità di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5.

6. La corte d’appello di Napoli con sentenza del 9 febbraio 2010 – 24 marzo 2010 dichiarava improcedibile l’appello incidentale; in accoglimento dell’appello principale, annullava il licenziamento irrogato da Poste Italiane s.p.a. ad E.A. ed ordinava la reintegrazione di quest’ultimo nel posto di lavoro e condannava altresì Poste Italiane s.p.a al risarcimento del danno in favore di E.A. commisurato alla retribuzione di fatto globale dal giorno del licenziamento sino a quella della effettiva reintegrazione con interessi legali e rivalutazione monetaria secondo Indici Istat dalla maturazione dei singoli addendi al saldo, ed al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento della effettiva reintegrazione unitamente;

condannava Poste Italiane s.p.a. alla rifusione delle spese di lite del grado.

7. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione la società Poste italiane con due motivi.

Resiste con controricorso la parte intimata.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è articolato in due motivi.

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. Deduce in particolare che il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado non conteneva la domanda di reintegrazione; infatti il ricorrente aveva impugnato il licenziamento limitandosi a chiedere la condanna della società al risarcimento del danno.

Con il secondo motivo la società deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5. Il fatto che il ricorrente, per un verso, abbia richiesto la declaratoria della nullità, l’inefficacia e della illegittimità del recesso, ma, per altro verso, abbia omesso nelle sue conclusioni ogni riferimento all’ordine di reintegra, deve essere inteso come finalizzazione della domanda all’ottenimento dell’indennità sostitutiva prevista dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4.

2. Il ricorso – i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente – è infondato.

Da una parte deve considerarsi che l’interpretazione della domanda rientra nella valutazione del giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità ove motivata in modo sufficiente e non contraddittorio. Ne può dirsi che la motivazione della corte d’appello sia contraddittoria. Quest’ultima riporta puntualmente il contenuto della domanda introduttiva del giudizio (il petitum), da cui risulta che il ricorrente aveva domandato il risarcimento del danno sul presupposto della dedotta illegittimità del licenziamento disciplinare. La Corte d’appello però correttamente precisa che l’effetto legale tipico della sentenza di annullamento del licenziamento illegittimo nel campo della tutela reale è l’effetto della reintegrazione nel posto di lavoro. Laddove invece è il lavoratore, che reagisce alle licenziamento illegittimo, a poter avere interesse, in ipotesi, non già a riprendere servizio (e quindi a domandare la reintegrazione nel posto di lavoro), ma solo a domandare il risarcimento del danno per il posto di lavoro illegittimamente perso. Nel regime della tutela reale questa seconda evenienza (al pari della prima) trova espressa disciplina della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5 che prevede l’indennità sostitutiva della reintegrazione. Quindi il lavoratore che, allegando l’illegittimità del licenziamento, deduca il regime della cosiddetta tutela reale può domandare alternativamente la reintegrazione nel posto di lavoro oppure una compensazione per la rinuncia al posto di lavoro nella forma dell’indennità sostitutiva della reintegrazione.

Se però il lavoratore non domanda nell’una e nell’altra (ossia nè reintegrazione nè indennità sostitutiva), ma il risarcimento del danno per la perdita del posto di lavoro, quest’ultimo non potrà che riguardare innanzitutto il periodo dal licenziamento fino alla sentenza di accetta l’illegittimità del recesso. Per il periodo successivo il giudice di merito dovrà valutare ogni elemento utile per verificare se la limitazione della domanda al risarcimento del danno stia a significare un’opzione a favore dell’indennità sostitutiva della reintegrazione, oppure se, nonostante tale formale limitazione, il ricorrente intenda ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro per riprendere il servizio. La corte d’appello, valutando la reale portata della domanda, ha valorizzato l’effetto tipico dell’impugnazione del licenziamento in regime di tutela reale che è la reintegrazione nel posto di lavoro. Affermazione questa corretta, anche se non esclude – come già rilevato – che il lavoratore illegittimamente licenziato, ove non abbia più interesse a riprendere servizio, possa non chiedere la reintegrazione, ma preferisca una misura compensative del posto di lavoro perso illegittimamente.

3. Il ricorso va quindi rigettato.

Alla soccombenza consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in Euro 40,00 per esborsi e in Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorario d’avvocato oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, il 10 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2012

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