Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 24-01-2013) 05-03-2013, n. 10246

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ona del Dott. GAETA Pietro che ha concluso per la inammissibilità.
Svolgimento del processo

Il Tribunale di Palermo, con sentenza del 7/12/2010, dichiarava C.D.S.A. colpevole delle contravvenzioni di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, per avere realizzato una veranda di circa 65 mqv con strutture portanti in legno, con copertura in telo e bambù, diversa da quella prescritta dalla Sovrintendenza, adibendo tale manufatto a ristorante, e lo condannava alla pena di giorni 10 di arresto ed Euro 22.000,00 di ammenda; pena sospesa e demolizione del manufatto abusivo.

La Corte di Appello di Palermo, chiamata a pronunciarsi sull’appello interposto nell’interesse dell’imputato, con sentenza del 28/12/2011, in parziale riforma del decisum di prime cure, ha concesso il beneficio della non menzione, con conferma nel resto.

Propone ricorso per cassazione la difesa del prevenuto, con i seguenti motivi:

– violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen per difetto di correlazione tra la imputazione e la sentenza, rilevato che all’imputato era stato contestato di avere realizzato una veranda di circa 65 mq. con strutture portanti in legno, con copertura diversa da quella in telo e bambù, prescritta dalla Sovrintendenza, mentre le argomentazioni poste dal Tribunale a sostegno della condanna hanno fatto riferimento esclusivamente alla chiusura della struttura con pannelli di vetro e alluminio, ancorati a un cordolo di cemento;

– violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3 in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31 e art. 44, lett. e), e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, per omessa adeguata valutazione della autorizzazione rilasciata dalla Sovrintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Palermo e, quindi, se la chiusura della struttura in esame non fosse stata in effetti autorizzata, o quanto meno, che l’imputato, fosse stato in buona fede nel procedere ai lavori de quibus, ritenendosi autorizzato alla realizzazione degli stessi;

– i reati contestati dovevano essere dichiarati prescritti.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

Il discorso giustificativo, svolto dal giudice di merito, è da ritenere logico e corretto, sia in ordine alla concretizzazione dei reati, che alla ascrivibilità di essi in capo al prevenuto.

Con il primo motivo di impugnazione la difesa del C. eccepisce violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., per difetto di correlazione tra imputazione e sentenza: al ricorrente è stata contestata la realizzazione di una veranda di circa 65 mq, con strutture portanti in legno, con copertura diversa da quella in telo e bambù prescritta dalla Sovrintendenza, mentre le argomentazioni poste a sostegno della condanna hanno fatto riferimento, esclusivamente, alla chiusura della struttura precaria con pannelli di vetro e alluminio, ancorati a un cordolo di cemento.

La censura è del tutto priva di pregio.

Dal vaglio di legittimità, a cui è stata sottoposta la decisione in esame, emerge, con netta evidenza, come sul punto la Corte territoriale abbia fornito ampio ed esaustivo riscontro, dando contezza della ritenuta inconsistenza giuridica della sollevata contestazione: la condotta oggetto della imputazione è costituita dalla realizzazione di una veranda di circa 65 mq., per cui è evidente che il manufatto, nella sua unitarietà e globalità, secondo l’accusa, è da ritenere illecitamente edificato; quindi, il mancato esplicito riferimento, nella predetta imputazione, ai pannelli di vetro e alluminio e al cordolo di cemento, attiene esclusivamente a una descrizione dell’opera abusiva non completa di tutti i particolari della edificazione, non certo ad una delimitazione della condotta penalmente illecita.

Con il secondo motivo di gravame si eccepisce violazione dell’ art. 125 c.p.p., comma 3, in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31 e art. 44, lett. c), e D.Lgs. n. 42 del 2004, artt. 142, 146 e 181, non avendo la Corte territoriale dato adeguato riscontro ai motivi di appello con cui si evidenziava, in primis, che la autorizzazione, rilasciata dalla Sovrintendenza, avrebbe consentito la chiusura della struttura precaria in questione o avrebbe potuto fare ritenere al C. la liceità della realizzazione di essa; secondariamente, il decidente non ha valutato la precarietà del manufatto.

Anche le dette contestazioni sono manifestamente infondate, in quanto, come evidenziato dal giudicante, non potevano sussistere dubbi in ordine all’oggetto dell’autorizzazione, cioè alle opere di cui era stata consentita la edificazione, tra le quali non rientrava la chiusura laterale; di poi, ad escludere la precarietà del manufatto, come osservato in sentenza, è sufficiente rilevare che i pannelli in vetro e alluminio, posti a chiusura della veranda, risultavano stabilmente ancorati al cordolo di cemento e, peraltro, come evincibile dagli atti processuali, detta chiusura avrebbe permesso di destinare la veranda alla attività di ristorazione anche nel corso della cattiva stagione, quindi a soddisfare esigenze di carattere non contingente.

Va da ultimo osservato che il termine prescrizionale, di anni 5, si maturato il 31/5/2012, successivamente alla pronuncia di seconde cure, resa il 28/12/2011; peraltro, l’indicazione da parte del ricorrente dell’ottobre 2006, quale dato temporale della ultimazione dei lavori, costituisce mera affermazione in fatto, pertanto del tutto inconferente.

Sul punto si rileva che la inammissibilità del ricorso dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi preclude la compiuta instaurazione del rapporto di impugnazione e preclude al giudice di rilevare e dichiarare la sussistenza di cause di non punibilità, ex art. 129 cod. proc. pen. (Cass. S.U. 22/11/2000, De Luca).

Tenuto conto, di poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il C. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., deve, altresì, essere condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 1.000,00.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2013

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