Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 24-01-2013) 05-03-2013, n. 10242

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 25/03/2011 il Tribunale di Acqui Terme ha dichiarato P.M. e B.G. colpevoli del reato di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 17, comma 2, e art. 51 bis come sostituito dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 257 per avere omesso di bonificare, quali gestori di tiro a volo, il sito interessato dopo l’esercizio del tiro da parte dei clienti cagionando il pericolo concreto di superamento dei limiti tabellari per la presenza di piombo nel terreno.

2. Hanno interposto appello gli imputati tramite il proprio difensore.

Con un primo motivo lamentano l’omessa considerazione di prove documentali e testimoniali da cui sarebbe risultato che gli imputati si sono occupati dell’attività di tiro al piattello rilevandola dopo alcuni anni dal suo inizio sì che non si può ritenere provato che l’inquinamento sia stato determinato dalla loro attività o da quella dei precedenti gestori. Inoltre, dopo l’avvenuta vendita all’asta nel 2004 e la conseguente immissione in possesso della ditta Edil Profit il 13/10/2005, gli imputati non hanno più potuto fare ingresso nel sito se non dietro istanza al giudice dell’esecuzione e solo per riprendere alcuni oggetti personali. Deducono poi che il progetto di bonifica venne presentato in data 13/09/2005 addirittura prima dei rilievi dell’Arpa, eseguiti dopo un mese, e senza alcun seguito da parte del Comune di (OMISSIS); in particolare, poi, B.G. aveva un compito di mera collaborazione esecutiva senza alcuna responsabilità giuridica o amministrativa. Lamentano poi la assoluta immotivata mancata concessione della sospensione condizionale della pena tanto più a fronte dell’incensuratezza e della intervenuta cessazione dell’attività.

Con ordinanza del 28/03/2012 la Corte d’Appello di Torino ha trasmesso gli atti a questa Corte previa qualificazione dell’appello quale ricorso per cassazione.
Motivi della decisione

3. Va anzitutto chiarito che l’appello deve essere convertito in ricorso per cassazione ex art. 568 c.p.p., comma 5, stante l’inappellabilità della sentenza impugnata; occorre al riguardo ricordare l’insegnamento delle Sezioni unite che, con la sentenza n. 45371 del 2001, Bonaventura, hanno sostenuto che in tema di impugnazioni, allorchè un provvedimento giurisdizionale sia impugnato dalla parte interessata con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente prescritto, il giudice che riceve l’atto deve limitarsi, come verificatosi del resto nella specie, a norma dell’art. 568 c.p.p., comma 5, a verificare l’oggettiva impugnabilità del provvedimento, nonchè l’esistenza di una "voluntas impugnationis", consistente nell’intento di sottoporre l’atto impugnato a sindacato giurisdizionale, e quindi trasmettere gli atti, non necessariamente previa adozione di un atto giurisdizionale, al giudice competente. Con la stessa decisione sì è aggiunto che condizione necessaria ed insieme sufficiente perchè il giudice possa compiere la operazione di qualificazione è la esistenza giuridica di un atto – cioè di una manifestazione di volontà avente i caratteri minimi necessari per essere riconoscibile come atto giuridico di un determinato tipo – e non anche la sua validità; ciò che conta è inoltre la volontà oggettiva dell’impugnante – quella cioè di sottoporre a sindacato la decisione impugnata -, senza che sia possibile attribuire alcun rilievo all’errore che potrebbe verificarsi nel momento della manifestazione di volontà o anche alla deliberata scelta di proporre un mezzo di gravame diverso da quello prescritto.

4. Il ricorso, così convertito, è inammissibile perchè risulta sottoscritto da avvocato non iscritto nell’albo speciale della Corte di Cassazione, come imposto dall’art. 613 c.p.p.. L’inammissibilità del ricorso preclude il rilievo delle cause di non punibilità, ivi compresa l’estinzione del reato per prescrizione, maturata successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, essendo detto ricorso inidoneo ad instaurare validamente il rapporto di impugnazione (per tutte, Sez. U., n. 32 del 22/11/2000, De Luca).

5. Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di Euro 1.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2013

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