Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 24-01-2013) 05-03-2013, n. 10241

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Torino, con sentenza emessa in data 27.1.2012, condannava C.L., G.F. e S.M., previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di Euro 1.000,00 di ammenda ciascuno per il reato di cui all’art. 110 c.p., D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. a) per aver realizzato, In concorso tra loro, la prima in qualità di proprietaria committente, il secondo quale direttore dei lavori, ed il terzo quale esecutore, un immobile ubicato nel centro storico di (OMISSIS), In difformità dalla DIA del 19.11.2004 e successiva variante, opere non conformi agli strumenti edilizi ed urbanistici vigenti e consistite nella sopraelevazlone del tetto, con innalzamento dell’altezza di colmo, pari a mt. 0,40 e conseguente incremento di volume, nonchè la demolizione della soletta di separazione tra il primo piano ed il sottotetto. Rilevava il Tribunale che l’intervento edilizio era in contrasto con la previsione del punto 4.3.1 delle norme di attuazione del PRG del Comune di (OMISSIS), risultando documentato (e non contestato) che le opere realizzate avevano comportato un innalzamento del colmo e delle quote di gronda, tale da determinare il superamento delle quote di gronda degli edifici adiacenti. Non veniva, pertanto in rilievo tanto la difformità dalla Dia e dalla successiva variante, quanto piuttosto la difformità dell’opera rispetto agli strumenti urbanistici vigenti, per cui era configurabile il reato contestato.

Nè poteva parlarsi di buona fede, per non essere intervenuta notifica dell’ordine di sospensione dei lavori a seguito di presentazione della DIA, risultando la norma di attuazione del P.R.G. sopra richiamata pienamente conoscibile e chiara nella formulazione del precetto.

2. Ricorre per cassazione G.F., a mezzo del difensore, denunciando, con il primo motivo, l’erronea applicazione dell’art. 4.3.1. delle NTA del PRG del Comune di (OMISSIS), nonchè la contraddittorietà della motivazione.

La premessa da cui parte il Tribunale è errata, avendo la difesa contestato espressamente, con le memorie depositate, che l’intervento fosse in contrasto con le N.T.A. del PRG. Il che si riverbera sulla motivazione.

L’opera realizzata, assentita con DIA, è perfettamente conforme allo strumento urbanistico, in quanto il limite alle linee di gronda riguarda esclusivamente le sopraelevazioni e non la fattispecie in esame.

Con il secondo motivo denuncia l’erronea applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 22, 37 e 44 e L. n. 689 del 1981, art. 9, comma 1 nonchè la contraddittorietà della motivazione.

Le opere realizzate sono pacificamente soggette a DIA. La fattispecie presa in esame dalla Corte di Cassazione (secondo cui la disciplina dell’attività edilizia libera non è applicabile agli interventi in contrasto con le prescrizioni urbanistiche), richiamata dal Tribunale, non è pertinente. E’ pacifico, infatti, che sono esenti da sanzione penale, gli interventi soggetti a DIA. L’applicazione per lo stesso fatto della sanzione penale ex art. 44 cit. D.P.R. determinerebbe inevitabilmente la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 9.

Con il secondo motivo denuncia l’erronea applicazione dell’art. 44 cit. D.P.R. sotto il profilo dell’elemento soggettivo, nonchè la contraddittorietà della motivazione, essendo stato l’intervento eseguito in base a DIA regolarmente presentata, senza alcun rilievo da parte della P.A..

3. Propone ricorso per cassazione C.L. per gli stessi motivi di cui al ricorso G..

4.1nfine proponeva appello (poi convertito in ricorso per cassazione) il difensore di S.M., chiedendo che l’imputato venisse mandato assolto perchè il fatto non sussiste o non è previsto dalla legge come reato, essendo l’intervento perfettamente conforme al punto 4.3.1 delle NTA del PRG.; in subordine la concessione del beneficio della non menzione.
Motivi della decisione

1. L’avv. Gaetano Piermatteo, del foro di Torino, sottoscrittore del ricorso di S., non risulta iscritto nell’albo speciale della Corte di Cassazione, per cui il ricorso medesimo, per tassativo disposto dell’art. 613 c.p.p., è inammissibile.

A nulla rileva che l’appello sia stato convertito in ricorso per cassazione. E’ giurisprudenza consolidata di questa Corte, invero, che "alla regola secondo cui il ricorso per cassazione è Inammissibile qualora i motivi siano sottoscritti da avvocato non iscritto nello speciale albo dei professionisti abilitati al patrocinio dinanzi le giurisdizioni superiori, non è prevista deroga per il caso di appello convertito in ricorso. In caso diverso verrebbero elusi in favore di chi abbia erroneamente qualificato il ricorso obblighi sanzionati per chi abbia proposto l’esatto mezzo di impugnazione" (cfr. Cass. pen. Sez. 3, 10.10.1998 n. 2233).

2. I ricorsi di C. e G. sono manifestamente infondati.

2.1. Il Tribunale ha accertato, in punto di fatto, che le opere realizzate avevano comportato una sopraelevazione con innalzamento dell’altezza di colmo e di gronda, tale da comportare il superamento delle quote di gronda degli edifici adiacenti. Tanto emergeva, in particolare dalla testimonianza di Gi.Ro. dell’Ufficio tecnico del Comune di (OMISSIS), che aveva effettuato il sopralluogo, e non risultava neppure contestato dagli imputati. Del resto anche con il ricorso non viene contestata la "natura" dell’intervento come sopra descritta, ma soltanto che esso fosse in contrasto con lo strumento urbanistico (si assume, invero, che la regola urbanistica cristallizzata al punto 4.3.1. delle NTA del PRG del Comune di (OMISSIS) riguarda esclusivamente le sopraelevazioni e non la fattispecie in esame).

2.1.1 Tale norma di attuazione dispone che "allo scopo di adeguare le altezze interne ai minimi previsti dalle normative vigenti e quando i solai non abbiano elementi di pregio architettonico ne è consentita la traslazione, semprechè non sia variato il numero dei piani dell’edificio e purchè non risultino modificate le caratteristiche delle facciate esterne; in conseguenza di tali interventi è consentita una modesta sopraelevazione della quota di gronda per un massimo di 60 cm. purchè non vengano superate le quote di gronda degli edifici adiacenti". La norma è chiarissima e, correttamente, il Tribunale ha ritenuto che sia stata violata dall’intervento di cui alla contestazione, essendosi avuta una sopraelevazione della quota di gronda pari a 40 cm che superava però le quote di gronda degli edifici adiacenti (pag. 5 sent.).

2.1.2. Altrettanto correttamente ha ricordato il Tribunale che è ormai pacifico (a partire dalla sentenza delle sezioni unite di questa Corte del 21.12.1993, ric. Borgia) che il giudice penale, nel valutare la sussistenza o meno della liceità di un intervento edilizio, deve verificarne la conformità a tutti i parametri di legalità fissati dalla legge, dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dalla concessione edificatoria. Il giudice, quindi, non deve limitarsi a verificare l’esistenza ontologica del provvedimento amministrativo autorizzatorio, ma deve verificare l’integrazione o meno della fattispecie penale "in vista dell’interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tutela" (nella specie tutela del territorio). E’ la stessa descrizione normativa del reato che impone al giudice un riscontro diretto di tutti gli elementi che concorrono a determinare la condotta criminosa, ivi compreso l’atto amministrativo (cfr. Cass. pen. sez. 3 21.1.1997 – Volpe ed altri). Non sarebbe infatti soggetto soltanto alla legge (art. 101 Cost.).

un giudice penale che arrestasse il proprio esame all’aspetto esistenziale e formale di un atto sostanzialmente contrastante con i presupposti legali (Cass. pen. sez. 3 2.5.1996 n. 4421 – Oberto ed altri; Cass. sez. 3 n. 11716 del 29.1.2001. Il giudice deve quindi accertare la conformità dell’intervento ai parametri di legalità (cfr. Cass. pen. Sez. 3 n. 4877/2002; Cass. sez. 3 n. 41629/2007, Rv.

237995; Cass. sez.3 n.25144/2008, Rv. 240728; Cass. sez. 3 n. 21487/2006, Rv. 234469).

2.1.3. Avendo accertato la non conformità dell’intervento allo strumento urbanistico, il Tribunale ha ritenuto configurabile il reato contestato a prescindere dalla conformità dello stesso alla DIA presentata in sanatoria.

Nè è ravvisarle alcuna erronea applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 22, 37 e 44 e L. n. 689 del 1981, art. 9.

E’ lo stesso art. 22, comma 1 cit. D.P.R. a stabilire che sono realizzabili mediante denuncia di inizio attività gli interventi non riconducibili all’elenco di cui all’art. 10 e all’art. 6, che siano conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia.

E l’intervento in questione era eseguibile con DIA purchè però rispettasse le condizioni previste dal punto 4.3.1 della NTA del PRG ed in particolare che la sopraelevazione della quota di gronda, oltre a non superare i 60 cm, non superasse le quote di gronda degli edifici adiacenti.

2.1.4. Infine, ineccepibilmente, ha rilevato il Tribunale che, essendo la norma di attuazione f di cui è stata accertata la violazione chiarissima e pienamente conoscibile, non poteva minimamente parlarsi di buona fede degli imputati (pag. 6 sent).

3. I ricorsi debbono quindi essere dichiarati inammissibili, con condanna del ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma che pare congruo determinare in Euro 1.000,00 ciascuno ai sensi dell’art. 616 c.p.p..

E’ appena il caso di aggiungere che l’inammissibilità dei ricorsi preclude la possibilità di dichiarare la prescrizione, maturata in data 23.4.2012 e quindi successivamente alla data di emissione (27.1.2012) della sentenza impugnata. Questa Corte si è pronunciata più volte sul tema anche a sezioni unite (per ultimo sent. n. 23428/2005-Bracale). Tale pronuncia, operando una sintesi delle precedenti decisioni, ha enunciato il condivisibile principio che l’intervenuta formazione del giudicato sostanziale derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido perchè contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge (art. 591, comma 1, con eccezione della rinuncia ad un valido atto di impugnazione, e art. 606, comma 3), precluda ogni possibilità sia di far valere una causa di non punibilità precedentemente maturata sia di rilevarla d’ufficio. L’intrinseca incapacità dell’atto invalido di accedere davanti al giudice dell’impugnazione viene a tradursi in una vera e propria absolutio ab instantia, derivante da precise sequenze procedimentali, che siano in grado di assegnare alle cause estintive già maturate una loro effettività sul piano giuridico, divenendo altrimenti fatti storicamente verificatisi, ma giuridicamente indifferenti per essersi già formato il giudicato sostanziale".
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento alla cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00 ciascuno.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2013

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