Cass. civ. Sez. II, Sent., 24-07-2012, n. 12930

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con distinti atti di citazione del 28-5-1997 e 12-1-1998 S. A. impugnava le delibere adottate dall’assemblea del Condominio in (OMISSIS), nelle sedute del 29-4-1997 e del 27-11-1997, con le quali era stata rispettivamente deliberata l’installazione dell’ascensore ed approvato il relativo progetto, nonchè approvato il progetto esecutivo con il relativo appalto, per una spesa di L. 85.000.000.

L’attore assumeva la nullità di entrambe le delibere, rilevando che la parziale occupazione del primo cortile mediante l’impianto di ascensore violava il godimento dei singoli condomini sul medesimo cortile e sulla guardiola, ledeva il decoro architettonico dello stabile ed arrecava grave pregiudizio alla propria unità immobiliare, sottraendole aria e luce, violando le distanze, compromettendone la stabilità e la sicurezza. Deduceva, inoltre, la mancanza del quorum richiesto dalla legge.

Nel costituirsi, il Condominio contestava la fondatezza delle domande attrici e ne chiedeva il rigetto.

A seguito della riunione dei due giudizi, con sentenza del 21-4-2010 il Tribunale di Napoli rigettava entrambe le domande.

Avverso la predetta decisione proponeva appello lo S..

Con sentenza depositata in data 11-7-2005 la Corte di Appello di Napoli, in accoglimento del gravame, dichiarava la nullità delle delibere impugnate, rilevando che l’installazione dell’ascensore nei primo cortile, proprio a ridosso della finestra dell’attore, aveva comportato una grave lesione del diritto dominicale esclusivo dello S. e un sensibile deprezzamento della sua unità abitativa.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre il Condominio, sulla base di due motivi.

Lo S. resiste con controricorso.
Motivi della decisione

1) Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1120, 1136 e 1137 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e l’omesso esame di documentazione decisiva.

Sostiene che l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il Condominio non avrebbe dimostrato l’impossibilità di installare l’ascensore nel secondo cortile, risulta smentita per tabulas dai rilievi fotografici prodotti dal convenuto, del tutto ignorati dalla Corte di Appello, nonchè dalla relazione di consulenza tecnica d’ufficio, nella quale il C.T.U. ha evidenziato l’impossibilità di posizionare l’impianto di ascensore nel secondo cortile. Aggiunge che lo stesso consulente ha negato l’esistenza di rumori particolari connessi al funzionamento ed all’uso dell’ascensore, e che, quanto alla luminosità, la Corte di Appello non ha tenuto conto delle foto scattate dall’interno dell’ascensore.

Il motivo è infondato.

Le censure mosse nella prima parte investono un’argomentazione del giudice del gravame che non assume alcuna incidenza ai fini della decisione, la quale, a prescindere dal rilievo secondo cui il Condominio non aveva "neppure esaurientemente motivato sulla indispensabilità dell’impianto sul primo anzichè sul secondo cortile", risulta basata sull’acclarata compromissione del diritto dominicale dell’attore sul proprio appartamento, derivante dalla installazione dell’impianto di ascensore.

Orbene, costituisce principio pacifico in giurisprudenza quello secondo cui è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che censuri una argomentazione della sentenza impugnata svolta ad abundantiam e che, pertanto, non costituisce una ratio decidendi della medesima. Una affermazione, infatti, contenuta nella motivazione della sentenza di appello, che non abbia spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa, essendo improduttiva di effetti giuridici, non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse (tra le tante v. Cass. 22-11-2010 n. 23635;

19-2-2009 n. 4053; Cass. 5-6-2007 n. 13068; Cass. 14-11- 2006 n. 24209; Cass. 23-11-2005 n. 24591).

Quanto alle doglianze contenute nella seconda parte del motivo, si osserva che la Corte di Appello, sulla base delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, ha accertato: 1) che la riduzione dell’impianto preclude la visuale dell’altro androne condominiale e del cortile interno dai balconi dell’abitazione S., con una diminuzione del grado di visualità del 50%; 2) che l’unità dell’attore ha subito un grave pregiudizio in luminosità, soleggiamento e ariosità, non solo per effetto della gabbia, ma anche dei pannelli a vetri bruniti, che non possono essere puliti dall’interno; 3) che la gabbia impedisce l’apertura completa della preesistente cancellata a protezione della finestra attorea e costituisce un punto di accesso di malintenzionati per raggiungere il balcone; 4) che con l’impianto è stata arbitrariamente inglobata la tubazione idrica dell’appartamento S., impedendo così la normale manutenzione dell’impianto, mentre il pannello in alluminio ne impedisce la consueta ispezione ai fini della manutenzione ordinaria e straordinaria; 5) che i cavi di alimentazione oleodinamica dell’ascensore costeggianti la parete interna dell’arco a volta del primo androne sino alla facciata ove si apre il balcone attoreo non sono stati messi sotto traccia, con conseguente danno estetico per la parte sotto i balconi e per quella sopra la porta d’ingresso dell’unità S.; 6) che la distanza dell’impianto rispetto ai balconi è inferiore a quella del progetto (cm. 44 anzichè 90), e anche la virtuale modifica dei battenti al primo piano costituisce un’ulteriore barriera architettonica, con ulteriore aggravio in termini di luminosità, soleggiamento e ariosità in danno dell’attore. Nel condividere il giudizio espresso dal consulente tecnico d’ufficio, secondo cui dagli inconvenienti innanzi indicati è derivata una riduzione del 25% del valore dell’appartamento dell’attore, la Corte territoriale ha ulteriormente evidenziato che l’impianto di ascensore, pur essendo stato realizzato con il sistema oleodinamico, nelle ore notturne è produttivo di una qualche rumorosità per il predetto appartamento.

Il ricorrente si è limitato a criticare la valutazione operata dal giudice del gravame solo con riferimento agli aspetti della luminosità e della rumorosità; ma nulla ha obiettato riguardo agli altri profili di compromissione del diritto di proprietà esclusiva dell’attore, analiticamente individuati nella sentenza impugnata e di per sè idonei a sorreggere la decisione. Ne discende l’inammissibilità del motivo in esame, nella parte de qua, per difetto di interesse.

Secondo un principio affermato dalla giurisprudenza, infatti, nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, "in toto" o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano. Ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perchè il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato (v.

per tutte Cass. S.U. 8-8-2005 n. 16602).

E’ superfluo aggiungere che le censure mosse in ordine alla luminosità ed alla rumorosità sono formulate in termini dei tutto generici e investono, comunque, il merito delle valutazioni espresse dalla Corte distrettuale, che, in quanto sorrette da motivazione immune da vizi logici, si sottraggono al sindacato di legittimità.

2) Con il secondo motivo il ricorrente lamenta ancora la violazione e falsa applicazione degli artt. 1120, 1136 e 1137 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e l’omesso esame di documentazione decisiva.

Deduce che l’affermazione della Corte di Appello, secondo cui, in precedenza, non vi sarebbe stata accettazione del dante causa dell’attore alla installazione dell’ascensore, si pone in contrasto con le delibere assembleari del 21-10-1993 e del 1-2-1996. Sostiene, di conseguenza, che le impugnative proposte dallo S. avverso le delibere del 29-4-1997 e 27-11-1997 devono considerarsi inammissibili. Rileva che la volontà dei danti causa degli attori risulta confermata dallo stesso S. nelle dichiarazioni rese nel corso dell’assemblea del 29-4-1997 e nell’atto di citazione del 28-5-1997, e che la Corte di Appello ha omesso di esaminare la lettera del 4-9-1998 inviata all’amministratore, con la quale l’attore, in buona sostanza, non si era opposto alla modifica dell’originario progetto dell’ing. C., che prevedeva la realizzazione dell’ascensore nel primo cortile. Sostiene, infine, che anche l’impugnazione delle delibere assemblear per nullità deve essere proposta nel termine di decadenza di trenta giorni previsto dall’art. 1137 c.c., comma 3.

Anche tale motivo è infondato.

La Corte di Appello, all’esito di un’esauriente ed approfondita disamina degli atti, ha escluso che in occasione delle precedenti delibere assembleari richiamate dal convenuto vi sia stata accettazione della realizzazione dell’ascensore da parte dei danti causa dello S.. Essa ha osservato, in particolare, che nell’adunanza del 1-2-1996 la dante causa Sesti Pia non si oppose all’impianto, a condizione che il medesimo non pregiudicasse la "visibilità" dell’appartamento, senza prestare, quindi, un consenso pieno e incondizionato; e che nella tornata del 21-10-1993, allorchè si discusse della proposta in linea di massima di alcuni condomini di installare l’ascensore, la stessa Sesti si limitò a dichiarare, ancor prima che fosse presentato il progetto, che non intendeva partecipare alla spesa nè usufruire di tale impianto. Ciò posto, si osserva che appaiono congrui e convincenti i rilievi svolti dalla Corte territoriale, secondo cui le predette delibere non contenevano alcuna approvazione da parte della Sesti, non essendo configurabile l’adesione a un progetto ancora "in itinere". E infatti, come è stato ulteriormente spiegato nella sentenza impugnata, nella tornata del 1-2-1996 l’assemblea non esaminò il progetto esecutivo, ma si limitò ad approvare il progetto di massima, dal quale non emergevano elementi utili a comprovare il pregiudizio derivante all’unità immobiliare dello S..

Le valutazioni espresse al riguardo dal giudice del gravame si sottraggono al sindacato di legittimità, essendo sorrette da argomentazioni immuni da vizi logici e costituendo espressione di un tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice di merito. Le deduzioni svolte dal ricorrente per sostenere che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte distrettuale, la dante causa dell’attore aveva prestato il pieno consenso alla realizzazione dell’opera, pertanto, al di là della formale denuncia di vizi di motivazione, si risolvono nella inammissibile richiesta di una diversa valutazione del contenuto e della portata delle menzionate delibere assembleari, non consentita in questa sede.

Quanto, poi, alla lettera del 4-9-1998, di cui il ricorrente lamenta l’omesso esame, le censure mosse difettano del requisito di specificità, non precisando in modo sufficiente l’effettivo contenuto delle missiva, sì da porre questa Corte nelle condizioni di apprezzare l’eventuale decisività del documento in questione.

Sotto altro profilo, si osserva che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, l’azione proposta dall’attore, essendo diretta a far valere la nullità delle due delibere del 1997, non era soggetta al termine di decadenza previsto dall’art. 1137 c.c., comma 3; e che, come evidenziato dalla Corte di Appello, la nullità delle delibere condominiali può essere dedotta anche dal condomino che in assemblea si sia dimostrato consenziente all’esecuzione di opere poi rivelatesi lesive del suo diritto individuale.

Deve premettersi che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, debbono qualificarsi nulle le delibere dell’assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito, le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all’oggetto; debbono, invece, qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all’oggetto (Cass. S.U. 7-3-2005 n. 4806; Cass. 9-12-2005 n. 27292; Cass. 20-7-2010 n. 17014).

Nella specie, pertanto, correttamente la Corte di Appello ha ritenuto la nullità delle due delibere impugnate, derivando dalle stesse la lesione del diritto dominicale esclusivo dell’attore e una indebita invasione nella sua sfera giuridica primaria.

Ai sensi dell’art. 1120 c.c., comma 2, infatti, devono ritenersi vietate non solo le innovazioni che, ancorchè adottate con le maggioranze qualificate di cui all’art. 1136 c.c., compromettano il pari uso e il concorrente diritto degli altri partecipanti nell’utilizzazione della cosa comune, ma anche quelle che pregiudichino la proprietà esclusiva dei singoli condomini.

In tali sensi si è già pronunciata questa Corte, rilevando, in particolare, che la L. 9 gennaio 1989, n. 13, art. 2, (recante norme per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati), dopo aver previsto la possibilità per l’assemblea condominiale di approvare le innovazioni preordinate a tale scopo con le maggioranze indicate nell’art. 1136 c.c., commi 2 e 3 – così derogando all’art. 1120 comma 1, che richiama l’art. 1136, comma 5, e, quindi, le più ampie maggioranze ivi contemplate -, dispone, al comma 3, che resta fermo il disposto dell’art. 1120 comma 2, il quale vieta le innovazioni che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso e al godimento anche di un solo condomino, comportandone una sensibile menomazione dell’utilità secondo l’originaria costituzione della comunione. Ne deriva che, a maggior ragione, sono nulle le delibere che, ancorchè adottate a maggioranza al fine indicato, siano lesive dei diritti di altro condomino sulla porzione di sua proprietà esclusiva, indipendentemente da qualsiasi considerazione di eventuali utilità compensative (nella specie, la S.C. ha confermato la decisione dei giudici di merito i quali avevano dichiarato la nullità della deliberazione adottata a maggioranza in base alla L. n. 13 del 1989, art. 2, cit. di installazione di un ascensore volto a favorire le esigenze di un condomino portatore di handicap, che comportava un sensibile deprezzamento dell’unità immobiliare di altro condomino sita a piano terra) (Cass. 25-6-1994 n. 6109).

Per le stesse ragioni, deve ritenersi la nullità della delibera di installazione dell’impianto di ascensore adottata nell’interesse comune, se da essa consegua la violazione dei diritti di un condomino sulle parti di sua proprietà esclusiva; con la conseguenza che tale causa di invalidità non è soggetta ai termini di impugnazione di cui all’art. 1137 c.c., u.c., ma può essere fatta valere in ogni tempo da chiunque dimostri di averne interesse e, quindi, anche dal condomino che abbia espresso voto favorevole (cfr. Cass. 19-3-2010 n. 6714, Cass. 24-5-2004 n. 9981; Cass. 18-4-2002 n. 5626).

3) Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute dal resistente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 24 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2012

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