Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 24-01-2013) 05-03-2013, n. 10225

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza dell’8.3.2012 la Corte di Appello di Catanzaro dichiarava inammissibile l’appello proposto da C.A. avverso la sentenza del Tribunale di Paola, sez. dist. di Scalea, in composizione monocratica, resa in data 26.2.2009, con la quale l’Imputato era stato condannato alla pena di mesi 2 di arresto per il reato di cui agli artt. 54 e 1161 c.n..

Dopo aver richiamato il disposto dell’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c), riteneva la Corte territoriale che l’appello riproponesse questioni, in tema di efficacia dell’autorizzazione o concessione ottenuta successivamente all’occupazione dell’area demaniale marittima ed in tema di trattamento sanzionatolo, già correttamente disattese dal Giudice di primo grado; con conseguente inammissibilità del gravame a norma dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c).

2. Ricorre per Cassazione il C., a mezzo del difensore, denunciando, con il primo e secondo motivo, l’erronea applicazione degli artt. 591 e 592 c.p.p. in relazione all’art. 581 c.p.p., nonchè la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. La Corte territoriale, erroneamente, ha dichiarato inammissibile l’appello, nonostante che esso contenesse specifiche censure alla sentenza di primo grado in ordine alla valutazione della prova documentale (autorizzazione in sanatoria) ed alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Del resto la stessa Corte, incorrendo in evidente contraddizione, ha ritenuto di esaminare nel merito le doglianze proposte dall’appellante.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato.

2. L’art. 581c.p.p. richiede espressamente che l’atto di impugnazione contenga, a pena di inammissibilità ex art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), a) i capi o i punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione; b) le richieste; c) i motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.

Come riaffermato anche di recente da questa Corte (Cass. pen. Sez. 6 n. 27068 del 23.6.2011) i motivi di impugnazione, pur nella libertà della loro formulazione, debbono "indicare con chiarezza, a pena di inammissibilità, le ragioni di fatto e di diritto su cui si fondano le censure, al fine di delimitare con precisione l’oggetto dell’impugnazione e di evitare impugnazioni generiche e dilatorie. In punto di diritto ciò implica che la parte impugnante deve esplicitare con sufficiente chiarezza la censura d’inosservanza o di violazione della legge penale, non potendo ritenersi che la semplice menzione di un articolo del codice possa integrare "l’indicazione specifica" richiesta dall’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c), soprattutto quando … non è dato cogliere, dalla lettura della sentenza di primo grado, la benchè minima inosservanza o violazione di legge". In punto di fatto non è sufficiente a integrare il necessario requisito di specificità la reiterata prospettazione di possibili e astratte spiegazioni della condotta dell’imputato, soprattutto quando esse … sono state esaurientemente esaminate e, in concreto, escluse dal giudice di primo grado".

3. La Corte territoriale ha ineccepibilmente richiamato tali principi, ma ne ha fatto poi non corretta applicazione al caso concreto.

Essendo stata specificamente censurata per violazione di legge e vizio di motivazione la declaratoria di inammissibilità, è necessario l’esame diretto dell’atto di appello.

Con il gravame, soprattutto in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, si censurava specificamente la decisione di primo grado. Si assumeva che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale che aveva evidenziato una spiccata volontà di trarre elevato profitto dall’occupazione del suolo demaniale in palese violazione della normativa esistente, il prevenuto aveva chiesto la regolarizzazione della sua posizione fin dal 18.3.1986 e che aveva pagato, nel corso di più di venti anni, le somme richieste dalla P.A. a titolo di canone provvisorio e si evidenziava, perciò, che i ritardi della stessa non potevano riverberarsi sul privato. Il C. quindi non aveva tenuto "un comportamento volto a speculare con pervicacia sulla vicenda". Si assumeva inoltre che risultava incomprensibile da quali elementi il Tribunale avesse tratto la prova del conseguimento di un elevato profitto dall’occupazione e si elencavano gli elementi che deponevano in senso esattamente contrario.

In presenza di tali specifiche censure la Corte territoriale non avrebbe potuto ritenere inammissibile l’appello "perchè proposto in violazione del disposto di cui all’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c)".

Del resto la stessa Corte territoriale, come evidenzia il ricorrente, ritiene, poi, contraddittoriamente, di esaminare nel "merito" le censure.

4. La erronea declaratoria di inammissibilità dell’appello ha impedito di dichiarare la prescrizione già maturata al momento della emissione della sentenza impugnata (8.3.2012).

Trattandosi di contestazione "chiusa" (la condotta di occupazione del suolo demaniale è contestata come commessa fino al (OMISSIS)) il termine massimo di prescrizione di anni 4 e mesi 6, secondo l’art. 157 previgente, era maturato, Infatti, fin dal 25.4.2010, tenendo conto degli stessi calcoli effettuati dal Tribunale (anni 4 e mesi 6 + sospensione per giorni 475).

5. Va dichiarata quindi la prescrizione del reato a norma dell’art. 129 c.p.p., comma 1. Non ricorrono poi certamente le condizioni per un proscioglimento nel merito ex art. 129 cpv. c.p.p. per quanto già ampiamente evidenziato dal Tribunale. Peraltro, come ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 35490 del 28.5.2009, "In presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di "constatazione", ossia di percezione "ictu oculi", che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento".
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato residuo estinto per prescrizione.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2013

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