Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 24-01-2013) 27-02-2013, n. 9300

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Svolgimento del processo

Il Tribunale di Palermo, con sentenza del 7/7/2010, dichiarava M.F. colpevole del reato di cui alla L. n. 134 del 2001, art. 5, comma 7, per avere fornito dati falsi nella dichiarazione presentata al fine di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato, essendo stato accertato che egli godeva di un reddito pari a L. 22.251.000, nell’anno 2000, e a L. 39.043.000, nell’anno 2001, risultante dal cumulo dei redditi propri con quelli della propria convivente, G.D., e lo condannava alla pena di anni 1, mesi 6 di reclusione ed Euro 750,00 di multa.

La Corte di Appello di Palermo, chiamata a pronunciarsi sull’appello interposto nell’interesse del prevenuto, con sentenza del 19/12/2011, ha confermato il decisum di prime cure.

Propone ricorso per cassazione il M. personalmente, con i seguenti motivi:

– vizio di motivazione in ordine alla concretizzazione del reato, in quanto nell’anno 2000 il ricorrente non conviveva con G. D., di tal che, per tale periodo temporale non poteva considerarsi il cumulo reddituale dei due soggetti; peraltro, la condotta del M., in ogni caso, integrerebbe un falso inutile e penalmente irrilevante;

– erronea applicazione dell’art. 99 c.p., comma 4, in quanto non poteva tenersi conto della recidiva derivante dalle condanne precedentemente riportate dal M., perchè della relativa pena non doveva tenersi conto per il combinato disposto di cui all’art. 106 c.p., e art. 47, comma 12, ordinamento penitenziario;

– il reato andava dichiarato prescritto;
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

La argomentazione motivazionale, adottata dal decidente e posta a sostegno della affermata concretizzazione del reato in contestazione e della ascrivibilità di esso in capo al prevenuto, è logica e corretta.

Con il primo motivo di impugnazione il prevenuto denuncia la contraddittorietà processuale della parte motiva della sentenza, frutto di un travisamento delle emergenze processuali, in quanto, come ampiamente provato, il M. iniziò a convivere con la G. solo nell’anno 2001 e non nel 2000; per cui non avrebbe potuto e dovuto prò cedersi al cumulo reddituale dei due soggetti in riferimento a quest’ultimo anno.

La censura è del tutto infondata e tende a falsare la realtà dei fatti, nonchè quella processuale: il M. nella dichiarazione presentata il 24/5/2002, per essere ammesso al patrocinio erariale, ha dichiarato che la convivente G.D. e la figlia di costei, G.M., facevano parte del suo nucleo familiare e che nessuno dei componenti la famiglia anagrafica percepiva alcun reddito da lavoro o di altro genere valutabile ai fini della ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato.

E’ emerso dalla esperita istruttoria dibattimentale che il prevenuto ha omesso di indicare il reddito del nucleo familiare per l’anno 2001, nella dichiarazione presentata nel 2002, in violazione della L. n. 217 del 1990, art. 3, comma 1, pari a complessivi Euro 39.043.000;

ha, inoltre dichiarato di non essere stato titolare di reddito per l’anno 2000, quando, di contro, è risultato provato che per tale periodo di imposta l’imputato aveva percepito la somma di L. 548.000, come reddito da lavoro dipendente.

La disposizione legislativa in esame, in vigore all’epoca della presentazione della istanza per essere ammessi al gratuito patrocinio, prendeva in considerazione il reddito imponibile ai fini della imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, oppure, in difetto, una dichiarazione dell’ufficio finanziario attestante la mancata presentazione della predetta dichiarazione.

La Corte territoriale, a giusta ragione, ha evidenziato che il tenore del citato art. 3 e il necessario coordinamento con l’obbligo imposto dal cit. Decreto, art. 5, comma 2, lett. b), non consentono una diversa interpretazione dal necessario riferimento al reddito imponibile ai fini della relativa imposta personale, per come indicato dall’interessato nell’ultima dichiarazione presentata.

E’indubbio, pertanto, il mendacio del prevenuto, anche a considerare solo il reddito non dichiarato relativo all’anno 2000, ut supra indicato.

Anche il secondo motivo di impugnazione, con cui si eccepisce la erronea applicazione della recidiva, derivante dalla precedente condanna, in quanto il M. era stato ammesso all’affidamento in prova, con ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Bologna del 14/6/2001, conclusosi con esito positivo, è inammissibile: va rilevato che in sede di appello nessuna doglianza era stata mossa in ordine al trattamento sanzionatorio, per cui la sentenza di primo grado, sul punto, va ritenuta irrevocabile; la doglianza avanzata, pertanto, costituisce motivo nuovo, non proposto e vagliato nella precedente fase di merito, di tal che l’esame della stessa in sede di legittimità è da ritenere precluso.

Conseguentemente è da ritenere immeritevole di accoglimento la eccezione di prescrizione sollevata, in quanto, la violazione in contestazione si è maturata, successivamente alla pronuncia di seconde cure e la inammissibilità della impugnazione, dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, non consentendo il corretto instaurarsi del rapporto di impugnazione, preclude al giudice di rilevare e dichiarare la eventuale sussistenza di cause di non punibilità, ex art. 129 c.p.p. (Cass. S.U. 22/11/2000, De Luca).

Tenuto conto, di poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il M. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, a norma dell’art. 616 c.p.p. deve essere condannato, altresì, al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 1.000,00.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2013

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