Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 24-01-2013) 27-02-2013, n. 9298 Costruzioni abusive Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Reggio Calabria, con sentenza del 19/7/2010, dichiarava C.D., Ci.Di., C.A. e C.C. responsabili dei reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), artt. 64 e 71, 65 e 72, 83 e 95, per avere realizzato un manufatto, adibito a ricovero di automezzi, composto da tre muri perimetrali in c.a. e mattoni forati, con tetto in travi in ferro e copertura in lamiera, in difetto di titolo abilitativo e in violazione delle normative sulle edificazioni in c.a. e antisismica, e li condannava alla pena di giorni 25 di arresto ed Euro 25.000,00 di ammenda ciascuno; sospensione condizionale subordinata alla demolizione dell’opera abusiva; nonchè risarcimento dei danni in favore del Comune di Reggio Calabria, costituitosi parte civile, da liquidarsi in separata sede.

La Corte di Appello di Reggio Calabria, chiamata a pronunciarsi sull’appello interposto nell’interesse dei prevenuti, con sentenza dell’8/3/2012, in parziale riforma del decisum di prime cure, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli appellanti in ordine ai reati ad essi ascritti perchè estinti per prescrizione; ha revocato l’ordine di demolizione e confermato le statuizioni civili.

Propone ricorso per cassazione la difesa degli imputati, con i seguenti motivi:

– i prevenuti andavano assolti, in quanto il capo di imputazione non prevedeva alcuna ipotesi di reato;

– le fattispecie di reato contestate ai capi b) e c) potevano e dovevano essere considerate non pertinenti alla fattispecie fattuale sottoposta all’esame del giudice di merito, in quanto non trattavasi di opera muraria permanente perchè sprovvista di fondamenta, non potendosi ritenere l’ancoraggio ad un massetto di cemento circostanza tale da configurare una difficile, successiva, rimozione del manufatto;

– in ogni caso la Corte distrettuale avrebbe dovuto sospendere la decisione in attesa della definizione del procedimento amministrativo, attivato dagli appellanti, che avevano presentato presso l’Ufficio Urbanistico del Comune di Reggio Calabria richiesta di autorizzazione edilizia in sanatoria, con riscontro positivo della competente Commissione Edilizia.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

La argomentazione motivazionale, svolta in sentenza, deve ritenersi logica e corretta.

La censura mossa col primo motivo di impugnazione si palesa manifestamente infondata in quanto con il capo a) di imputazione si è contestato ai prevenuti di avere iniziato, continuato ed eseguito, in concorso, in qualità di proprietari committenti, in assenza di permesso di costruire, un manufatto edile adibito a ricovero automezzi, costituito da tre muri perimetrali in c.a. e mattoni forati, con tetto in travi in ferro e copertura in lamiera: il capo di imputazione non lasciava adito a dubbi e permetteva all’imputato di predisporre adeguata difesa a riscontro della accusa mossagli.

Del pari, totalmente priva di pregio è da ritenere la censura mossa col secondo motivo di annullamento, in quanto la realizzazione delle opere contestate ha, con netta evidenza, violato la normativa sulle edificazioni realizzate in zona sismica, in quanto la costruzione di ogni manufatto in dette zone, indipendentemente dai materiali adoperati per la esecuzione dei relativi lavori, necessita del previo ottemperamento alle specifiche disposizioni contenute nel D.P.R. n. 380 del 2001, regolanti la materia.

La eccepita errata applicazione della norma penale, in attinenza alla violazione delle disposizioni dettate sulle edificazioni in cemento armato, va respinta, in quanto richiederebbe un accertamento in fatto, precluso in questa sede.

Del pari compiutamente il giudice di merito ha ritenuto inconferente il riscontro favorevole della Commissione Edilizia comunale alla istanza di sanatoria, trattandosi di atto non definitorio ed improduttivo di effetti giuridici.

Tenuto conto, di poi, della sentenza del 13/6/2000, n., 186, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che i C. abbiano proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, gli stessi, a norma dell’art. 616 c.p.p., devono, altresì, essere condannati al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente liquidata, in relazione ai motivi dedotti, nella misura di euro 1.000,00.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno di essi al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2013

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