Cass. civ. Sez. III, Sent., 24-07-2012, n. 12908 Responsabilità civile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

G.S., nella qualità di genitore affidatario, esercente la potestà parentale sull’allora minore P. S., convenne in giudizio B.C. e la Assicurazioni Generali s.p.a. affinchè, accertata l’esclusiva responsabilità del medesimo B. nella produzione di un incidente stradale, lo stesso fosse condannato, in solido con la compagnia assicuratrice, al risarcimento dei danni subiti dal P..

Esponeva parte attrice che quest’ultimo, fermo a bordo del proprio ciclomotore, era stato urtato violentemente da tergo dal motoveicolo del B. che era sopraggiunto a velocità sostenuta.

Il B. rimaneva contumace, mentre si costituiva la Assicurazioni Generali che sollevava l’eccezione preliminare di improcedibilità della domanda per mancanza di autorizzazione del Giudice Tutelare; sempre in via preliminare la compagnia assicuratrice eccepiva il difetto di legittimazione attiva relativamente al danno materiale; nel merito la medesima compagnia sosteneva che i danni lamentati non erano relativi al sinistro de quo.

Il Giudice di Pace accoglieva l’eccezione pregiudiziale della Generali s.p.a. relativa al difetto di autorizzazione del Giudice Tutelare e, senza entrare nel merito, rigettava la domanda attrice.

G.S., quale genitore di P.S. e Pe.Si. appellavano la sentenza del Giudice di Pace di Roma deducendo l’erroneità della stessa in quanto aveva ritenuto che per promuovere il giudizio di risarcimento del danno era necessaria l’autorizzazione del giudice tutelare. Nel merito gli appellanti sostenevano che dall’istruttoria era emersa l’esclusiva responsabilità del B..

La Generali Assicurazioni s.p.a. deduceva l’infondatezza del gravame di cui chiedeva il rigetto e riproponeva sia l’eccezione relativa all’autorizzazione del giudice tutelare sia quella relativa alla non riferibilità delle lesioni al sinistro in oggetto.

Il Tribunale di Roma, ritenuta non necessaria l’autorizzazione del Giudice Tutelare, rigettava l’appello proposto da G.S. quale genitore di P.S. e dallo stesso P. S. avverso la sentenza n. 4106/03 del Giudice di Pace di Roma e li condannava alla rifusione delle spese del grado in favore della Assicurazioni Generali s.p.a..

Propongono ricorso per cassazione G.S., nella qualità di genitore affidatario esercente la potestà parentale su P.S. e Pe.Si. personalmente, con due motivi e presentano memoria.

Resiste con controricorso la Assicurazioni Generali s.p.a..
Motivi della decisione

Con il primo mezzo d’impugnazione parte ricorrente denuncia "Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio". A suo avviso l’impugnata sentenza va censurata perchè il Tribunale ha deciso la causa in senso contrario a tutte le risultanze istruttorie del primo grado di giudizio, omettendo di motivare e/o di motivare compiutamente la decisione alla quale è pervenuto.

Sostiene in particolare parte ricorrente che nell’istruttoria di primo grado ben tre mezzi di prova hanno dimostrato che il sinistro si è verificato il (OMISSIS) e che sul punto il Giudice di secondo grado ha commesso un grave errore di valutazione.

La c.t.u. medico legale ha poi dichiarato l’esistenza del nesso di causalità tra le lesioni subite dal P. e il sinistro di cui è causa, riferendosi più volte all’incidente occorso in data (OMISSIS).

Assumono i ricorrenti che il Tribunale ha accolto le eccezioni sollevate dalla compagnia di assicurazioni circa la data del sinistro omettendo di motivare perchè dette eccezioni siano state accolte e in che modo siano state provate, giungendo così a una decisione antitetica e contraddittoria rispetto alle risultanze istruttorie di primo grado.

Il motivo è infondato.

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico- formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito: il controllo di logicità del giudizio di fatto non equivale infatti ad una revisione del ragionamento decisorio, dovendo il giudice di legittimità limitarsi a verificare l’esistenza di eventuali vizi della motivazione in fatto della sentenza di appello (Cass., 19 marzo 2009, n. 6694).

Tali vizi non sono invece riscontrabili nell’impugnata sentenza che ha correttamente e congruamente motivato la soluzione adottata dimostrando come gli elementi probatori acquisiti non consentivano di stabilire con certezza la data del sinistro stradale.

Con il secondo motivo si denuncia "Violazione e falsa applicazione della normativa sull’onere probatorio".

Assumono i ricorrenti che hanno pienamente assolto il proprio onere probatorio, contrariamente a quanto sostenuto dal Giudice d’appello, dimostrando l’esistenza e la titolarità del diritto al risarcimento dei danni subiti, mentre la Compagnia convenuta non ha provato nulla circa la contestazione sulla data del sinistro nè riguardo all’inesistenza del sinistro stesso.

Il motivo è infondato.

Giusta la testuale previsione di cui all’art. 2697 c.c., "chi vuoi far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento" (comma 1) mentre "chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti (comma 2) ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda". E’ evidente, pertanto che in tanto il giudice è tenuto a verificare se "colui che eccepisce l’inefficacia" dei fatti invocati dall’attore (a fondamento della propria pretesa) ha adempiuto il proprio onere probatorio con conseguente rigetto della sua eccezione, in quanto – previamente – abbia accertato che l’attore ha adempiuto il proprio onere probatorio.

In altri termini, l’onere del convenuto di dimostrare l’inefficacia dei fatti invocati dalla controparte sorge esclusivamente dopo che l’attore ha dimostrato la esistenza "dei fatti che costituiscono il fondamento" del diritto fatto valere in giudizio.

La violazione dell’art. 2697 c.c., sussiste quando il giudice ha errato nell’attribuire l’onere probatorio e non quando si ritiene insoddisfacente come abbia valutato tale onere, situazione quest’ultima in cui non è ammissibile il ricorso per cassazione.

Nel caso in esame l’impugnata sentenza ha ritenuto che l’attore non abbia assolto l’onere di provare i fatti su cui si fonda la sua pretesa, ossia la data dell’incidente.

Per quanto riguarda infine l’attribuzione delle spese del giudizio di secondo grado non può essere accolto il rilievo di parte ricorrente perchè in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse; nel caso in esame parte ricorrente era invece in larga parte soccombente.

Il ricorso deve essere perciò rigettato con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 2.400,00, di cui Euro 2.200,00 per onorari, oltre rimborso forfettario delle spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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