Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 24-01-2013) 27-02-2013, n. 9296

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Marsala, sezione distaccata di Mazara del Vallo, con sentenza del 17/2/2012, ha dichiarato C.S. responsabile dei reati di cui al D.P.R. n. 128 del 1959, artt. 6, 24 e 28, perchè, senza essere munito della necessaria autorizzazione, esercitava attività di estrazione di calcarenite e non nominava il direttore tecnico dei lavori, nè denunciava l’inizio dei lavori medesimi, e lo condannava alla pena di Euro 1.600,00 di ammenda.

Propone ricorso per cassazione la difesa del prevenuto, con i seguenti motivi:

– violazione dell’art. 552 c.p.p., comma 1, lett. c, in quanto nel capo di imputazione di cui al decreto di citazione a giudizio non è indicata la norma integrante la sanzione penale che si assume violata, nonchè a quale titolo il C. avrebbe dovuto rispondere delle presunte violazioni;

– omessa motivazione in relazione alla mancata concessione del beneficio di cui all’art. 163 c.p. e delle attenuanti generiche;
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile. La argomentazione motivazionale è logica e corretta.

La censura mossa col primo motivo di impugnazione si palesa manifestamente infondata, in quanto nel primo capo di imputazione viene correttamente contestata al prevenuto la condotta illecita ad esso ascritta, nonchè il reato con la stessa concretizzato: il C., in difetto di autorizzazione, esercitava attività di estrazione di calcarenite e non nominava il direttore tecnico dei lavori, nè denunciava l’inizio degli stessi, in violazione del D.P.R. n. 128 del 1959, artt. 6, 24 e 28.

E’ evidente che la formulazione della imputazione non lasciava adito a dubbi e permetteva al prevenuto di predisporre una adeguata e piena difesa contro l’accusa mossagli.

Sul punto, va richiamata la giurisprudenza di legittimità, che ha ritenuto non rappresenti causa di nullità la mancata indicazione degli articoli di legge che si assumono violati, laddove la individuazione degli stessi sia possibile attraverso la contestazione chiara e precisa del fatto (Cass. S.U. 21/6/2000, Franzo; Cass. 21/4/2004, Di Paolo e altro), come nel caso in esame.

Le emergenze istruttorie, di poi, correttamente valutate dal giudice di merito, hanno permesso di ritenere provata la responsabilità del prevenuto quale gestore e titolare della cava, visto che i testi escussi hanno dichiarato di avere lavorato nella cava medesima alle dipendenze del C., non solo al momento dell’accertamento effettuato dai carabinieri, ma anche negli anni precedenti.

Peraltro, con il motivo di impugnazione la difesa dell’imputato tende ad una analisi rivalutativa della piattaforma probatoria, sulla quale al giudice di legittimità è precluso procedere a nuovo esame estimativo.

Del pari, del tutto priva di pregio è da considerare la contestata mancata concessione della sospensione condizionale della pena e delle attenuanti generiche, perchè, sul diniego della concessione del beneficio ex art. 163 c.p. il giudice argomenta in maniera del tutto compiuta, indicando quale elemento inibente un precedente specifico a carico del prevenuto, risultante dal certificato penale in atti;

quanto alle attenuanti di cui all’art. 62 bis c.p., nessuna richiesta di concessione delle stesse è stata avanzata nell’interesse del C. al Tribunale, che, pertanto, non era tenuto a giustificarne la mancata concessione.

Tenuto conto, di poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il C. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, a norma dell’art. 616 c.p.p., deve, altresì, essere condannato al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1.000,00.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2013

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