Cass. civ. Sez. III, Sent., 24-07-2012, n. 12900 Attività pericolose

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Il (OMISSIS) A.L., allievo di un corso di alpinismo per principianti curato dalla Società Escursionisti Milanesi (d’ora innanzi Sem), sezione del Club Alpino Italiano (Cai), durante la scalata (organizzata dalla Sem) della (OMISSIS) lungo una via ferrata, perse l’appoggio del piede sinistro, scivolò per alcuni metri lungo il cavo d’acciaio cui era assicurato e, ruotando nel vuoto, riportò la frattura della caviglia destra nell’urto contro il predellino d’acciaio che serviva per agevolare la salita.

Nell’ottobre del 1997 agì per il risarcimento nei confronti della Sem, che resistette e chiamò in causa la Allianz Assicurazioni s.p.a., dalla quale chiese di essere tenuta indenne. La chiamata in causa fece proprie le difese della Sem.

Con sentenza n. 14518 del 2002 il Tribunale di Milano, in applicazione dell’art. 2050 c.c., accolse la domanda principale (per Euro 12.208,60, oltre agli accessori) e quella di manleva.

2.- L’appello della Sem è stato respinto dalla Corte d’appello di Milano con sentenza n. 2821 del 2006, avverso la quale la soccombente ricorre per cassazione affidandosi a cinque motivi.

Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione

1.- Col primo motivo (pp. 4-11 del ricorso), la sentenza è censurata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2050 c.c., della legge istitutiva del CAI (n. 93/61) e della legge quadro della professione di guida alpina (n. 6/89) ed omessa valutazione del quadro normativo regolante la materia dei corsi di alpinismo del CAI, i cui corsi per principianti non potrebbero sottoporsi al regime della responsabilità presunta da attività pericolosa, non considerata espressamente tale dalla legge; nonchè per omessa motivazione "sul fatto della necessaria valutazione dello specifico quadro normativo".

1.1.- La censura di violazione e falsa applicazione di legge è manifestamente infondata perchè, ai fini della qualificazione di un’attività come pericolosa per gli effetti di cui all’art. 2050 c.c., è del tutto irrilevante che quella qualificazione difetti nella legge che direttamente o indirettamente ne regola l’esercizio, dovendo aversi esclusivo riguardo alla natura dell’attività ed a quella dei mezzi adoperati, secondo quanto inequivocamente disposto dall’articolo citato;

La censura di omessa motivazione è inammissibile poichè impropriamente riferita non ad un fatto, ma a disposizioni di legge, la cui omessa considerazione non è suscettibile di dar luogo al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, che può concernere solo una quaestio facti.

2.- Col secondo motivo (pp. 11-19 del ricorso) la sentenza è ancora censurata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2050 c.c., e per omessa motivazione "sul fatto/prova che dovrebbe consentire di attribuire ai corsi de quibus la connotazione di spiccata potenzialità offensiva con conseguente rilevante possibilità del verificarsi di un danno".

L’errore sarebbe consistito nel dare rilevanza, ai fini della qualificazione dell’attività come pericolosa, al livello di preparazione dei partecipanti ai corsi (principianti), anzichè alla oggettiva potenzialità offensiva dell’attività ed alla rilevante possibilità del verificarsi di un danno, che sarebbe stato inoltre necessario che fosse supportata da "precisi riscontri probatori".

2.1.- L’infondatezza della censura è connessa al rilievo che il problema non si pone in relazione ad un "corso di alpinismo", ma all’escursione alpinistica organizzata nell’ambito di detto corso, che nella specie era la prima dopo un’unica lezione teorica e consisteva in un’ascensione per via ferrata lungo una parete verticale lunga circa 200 metri effettuata da un principiante.

E’ erroneo l’assumere che la pericolosità dell’attività non possa essere apprezzata in relazione alle specifiche caratteristiche proprie del caso concreto, come invece deve essere, e che conseguentemente sia censurabile in diritto l’affermazione (del primo giudice, condivisa nella sentenza della Corte d’appello) secondo la quale "anche le escursioni alpinistiche più facili presentano elementi di rischio elevato per soggetti sprovvisti o che hanno appena appreso le tecniche di tali escursioni, principalmente quando l’attività viene esercitata per le prime volte".

3.- Delle stesse disposizioni è denunciata la violazione e falsa applicazione col terzo motivo (pp. 18-24 del ricorso), col quale la sentenza è censurata anche per omessa motivazione "sul fatto decisivo quale l’apprezzamento del materiale probatorio afferente la natura dell’attività e dei mezzi adoperati". In sostanza si imputa alla Corte di merito di aver fondato il proprio convincimento esclusivamente sulle modalità del fatto e non già, come avrebbe dovuto, sulla valutazione ex ante dell’attività (così il ricorso, a pag. 22, capoverso).

3.1.- Anche questo motivo è infondato. Erano circostanze certamente suscettibili di essere valutate ex ante le descritte caratteristiche dell’ascensione alla luce della considerata inesperienza dell’allievo e dell’unicità della lezione teorica impartita prima dell’escursione alpinistica.

4.- Col quarto motivo (pp. 24-29 del ricorso) è ancora denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2050 c.c., e "omessa motivazione sul fatto decisivo quale è l’indicazione degli elementi di prova acquisiti da cui desumere le ragioni differenziatrici che dovrebbero giustificare una diversa connotazione dell’attività: corsi di alpinismo per principianti, rispetto all’attività innocua: alpinismo".

4.1.- Il motivo è inammissibile in quanto muove dall’insussistente presupposto che l’alpinismo "non per principianti" sia stato qualificato dalla Corte d’appello come "attività innocua".

5.- Col quinto motivo (pp. 29-32 del ricorso) sono da ultimo dedotte violazione e falsa applicazione degli artt. 2050, 2055, 2056 c.c. e art. 1227 c.c., comma 1, per non avere la Corte d’appello fatto buon governo del principio enunciato da Cass., n. 6988/2003, secondo il quale il comportamento del danneggiato non solo è idoneo, ricorrendone le condizioni, ad interrompere il nesso eziologico (tra l’attività del responsabile ed il danno), ma ben può integrare un fatto colposo concorrente, valutabile ai sensi degli artt. 2051 e 1227 c.c..

5.1.- La censura è inammissibile.

Le affermazioni della Corte dalle quali il ricorrente pretende di dedurre la violazione del menzionato principio sono fatte nel contesto dell’esame del motivo col quale l’appellante, attuale ricorrente, aveva lamentato "l’omessa considerazione della pur sussistente prova totalmente -liberatoria", come la Corte d’appello ben chiarisce (a pag. 12, terzo capoverso, ed a pagina 14, secondo capoverso, della sentenza impugnata).

La prospettazione relativa al concorso dell’apporto causale dello stesso danneggiato per gli effetti di cui all’art. 1227 c.c., comma 1, pur certamente possibile anche in ipotesi di affermata ricorrenza di responsabilità da attività pericolosa, non risulta aver costituito un motivo d’appello, sicchè si configura in questa sede come nuova. Tanto è assolutamente evidente alla luce del rilievo della Corte d’appello che "nella fattispecie, la perdita dell’appoggio del piede da parte dell’ A., ammesso che possa aver concorso alla produzione del danno, non ha certamente determinato l’esclusione totale del nesso di causalità per l’incidenza e rilevanza della mancanza delle misure idonee ad evitare il danno come sopra indicato".

6.- In relazione allo scopo perseguito dalla ricorrente – che dichiaratamente mira ad un’enunciazione di principio che consenta di escludere che la propria attività di incoraggiamento all’approccio sicuro alla montagna, svolta su base volontaristica ed a titolo gratuito, sia qualificabile come pericolosa, con le relative gravose conseguenze in ordine al regime di imputazione della responsabilità ed al possibile effetto dissuasivo che potrebbe derivarne – va infine prestata piena adesione ai relativi rilievi della Corte d’appello. E’ detto in sentenza che "la lodevole e meritoria attività svolta dal CAI, Club Alpino Italiano, ente pubblico con finalità sociali, le cui sezioni sono sottosezioni di stretto volontariato, senza fine di lucro e non di impresa, non assume alcuna rilevanza in merito alla configurazione giuridica della responsabilità da delineare nel caso che ci occupa".

6.1.- L’art. 2050 c.c., non è infatti riferibile esclusivamente alle attività d’impresa, dove sotto il profilo economico mira a rendere economicamente conveniente per l’imprenditore allocare risorse in funzione di prevenzione, ma anche alle attività non aventi fini di lucro, in ragione della tendenzialmente universale portata del principio del neminem laedere, segnatamente quando gli interessi incisi abbiano rilievo costituzionale, com’è per il caso dell’incolumità delle persone (art. 32 Cost.); e quando, per converso, analoga rilevanza non possa essere riconosciuta, nella valutazione comparativa degli interessi in gioco, a quello perseguito con l’attività pericolosa, quand’anche esso sia in via generale considerato meritevole di tutela da parte dell’ordinamento.

7.- Il ricorso è conclusivamente respinto.

Non sussistono i presupposti per provvedere sulle spese.
P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 5 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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