Cass. civ. Sez. III, Sent., 24-07-2012, n. 12899

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Svolgimento del processo

1. V.G. citava a giudizio B.C., davanti al Pretore di Agrigento, per sentirlo condannare al pagamento della somma di L. 11.990.800, oltre interessi e rivalutazione, a titolo di risarcimento dei danni subiti, nell’appartamento di sua proprietà, dalle infiltrazioni provenienti dall’appartamento del piano superiore, di proprietà del convenuto.

Nella contumacia di quest’ultimo, il Tribunale di Agrigento, subentrato al Pretore, accoglieva la domanda e condannava il B. al pagamento della somma di 6.192,73 Euro, con rivalutazione e interessi e con il carico delle spese.

2. Avverso la pronuncia di primo grado proponeva appello il B. e la Corte d’appello di Palermo, con l sentenza depositata il 17 luglio 2009, rigettava il gravame e confermava integralmente la sentenza impugnata, con la sola modifica in punto di spese, che venivano integralmente compensate, sia per il primo che per il secondo grado.

Osservava la Corte territoriale che le contestazioni avanzate dal B. – il quale aveva eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, lamentando di non essere proprietario dell’appartamento sovrastante – erano da ritenere inammissibili.

Infatti, per costante insegnamento di questa Corte, la contestazione circa l’effettiva appartenenza alla parte del diritto controverso non solleva una questione di legittimazione ad causam, bensì una questione attinente alla fondatezza della domanda nel merito.

Pertanto, trattandosi di un’eccezione in senso proprio, essa era rilevabile solo ad istanza di parte ed era comunque inammissibile in appello, alla luce del nuovo testo dell’art. 345 cod. proc. civ., applicabile alla fattispecie ratione temporis. D’altra parte, il giudice di primo grado, attenendosi all’astratta prospettazione della domanda giudiziale, aveva correttamente individuato nel B. il legittimato passivo, che può anche non coincidere col titolare del diritto di proprietà sulla cosa che ha causato il danno.

In ordine alla prova del danno, poi, la Corte palermitana rilevava che, sia volendo individuare la fonte della responsabilità nell’art. 2053 cod. civ., sia nell’art. 2051 cod. civ., il convenuto non aveva comunque fornito alcuna prova contraria idonea al rigetto della domanda attrice.

3. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo propone ricorso per cassazione il B., con atto contenente due motivi.

Il V. ha depositato fuori termine una "comparsa di costituzione", in prossimità dell’udienza di discussione.
Motivi della decisione

1.1. Col primo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3), dell’art. 345 cod. proc. civ., sostenendo che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che la legittimazione ad causam dal lato passivo, ovvero la legittimazione a contraddire, attenga al merito della causa, mentre essa costituisce un presupposto processuale, ossia una condizione perchè il processo possa giungere ad una decisione di merito. Il giudice di merito, quindi, avrebbe dovuto rilevare tale carenza anche d’ufficio.

1.2. Il motivo è infondato.

La Corte territoriale, infatti, ha correttamente fatto applicazione di un principio assolutamente pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la contestazione circa l’effettiva appartenenza alla parte del diritto controverso non solleva una questione di legittimazione ad causam, ma una questione che attiene alla fondatezza della domanda nel merito e, come tale, costituisce eccezione in senso proprio, rilevabile solo ad istanza di parte e, ove (come nella specie) sia applicabile il nuovo testo dell’art. 345 cod. proc. civ., inammissibile se proposta per la prima volta in appello (sentenza 29 settembre 2005, n. 19170). Tale principio è stato ribadito in numerose successive occasioni, fra le quali anche nelle sentenze 6 aprile 2006, n. 8040, e 26 settembre 2006, n. 20819, entrambe richiamate nel ricorso (si vedano pure, in relazione a vicende simili a quella odierna, nelle quali pure si discuteva di effettiva titolarità di un bene oggetto di causa, le sentenze 30 maggio 2008, n. 14468, 20 maggio 2009, n. 11747, e 14 febbraio 2012, n. 2091).

Nella specie, essendo l’odierno ricorrente rimasto contumace nel giudizio di primo grado, è evidente che tale eccezione, proposta per la prima volta con l’atto di appello, è tardiva alla luce dell’art. 345, primo comma, cod. proc. civ. nel testo applicabile ratione temporis.

2.1. Col secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5), insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione al fatto controverso costituito dalla responsabilità dell’odierno ricorrente nella produzione del danno.

La Corte di merito, senza avere alcuna prova della "relazione che lega il ricorrente all’appartamento da cui sarebbero derivate le infiltrazioni", sarebbe caduta in contraddizione, da un lato affermando che la responsabilità del B. deriva dal titolo proprietario e dall’altro ipotizzando che sussisterebbe la responsabilità ai sensi dell’art. 2051 cod. civ..

2.2. Anche questo motivo è infondato.

La Corte palermitana, infatti, ha ricostruito adeguatamente il fatto sottoposto al suo giudizio ed è pervenuta all’affermazione della responsabilità del B. sul rilievo che era da considerare comunque a suo carico l’onere della prova liberatoria, una volta accertata l’esistenza del fatto dannoso, e che tale prova non era stata in alcun modo fornita. La fattispecie, peraltro, è da inquadrare senza dubbio nell’ipotesi regolata dall’art. 2051 cod. civ., in relazione alla quale la pacifica giurisprudenza di questa Corte ha riconosciuto che la responsabilità a titolo di custodia ha carattere oggettivo e viene meno soltanto nel caso in cui il danneggiante provi il fortuito (v., tra le altre, le sentenze 5 dicembre 2008, n. 28811, e 7 aprile 2010, n. 8229); non solo tale prova è mancata, ma il ricorrente non ha neppure prospettato detta eventualità, limitandosi a lamentare un vizio di motivazione e tentando, in tal modo, di ottenere da questa Corte una nuova e non consentita rivalutazione del materiale probatorio esistente.

3. Il ricorso, quindi, è rigettato.

Non occorre provvedere sulle spese; il V., infatti, non ha proposto tempestiva attività difensiva, non avendo valore di controricorso l’atto di "comparsa di costituzione" depositato in prossimità dell’udienza di discussione.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 29 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2012

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