Cass. civ. Sez. III, Sent., 24-07-2012, n. 12896 Responsabilità civile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione notificata in data 7.10.2004 B.F. conveniva in giudizio davanti al Giudice di pace di Prato M. R. ed A. per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni subiti in un sinistro stradale. In esito al giudizio, in cui si costituivano i convenuti eccependo l’improponibilità della domanda per inosservanza del termine di cui alla L. n. 990 del 1969, art. 22, il Giudice adito pronunciava l’improponibilità della domanda.

Avverso tale decisione proponeva appello il B. ed, in esito al giudizio,in cui si erano costituiti gli appellati chiedendo il rigetto dell’impugnazione, il Tribunale di Prato con sentenza depositata in data 1.9.2009 respingeva il gravame. Avverso la detta sentenza il soccombente ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi.
Motivi della decisione

Con la prima ragione di doglianza il ricorrente, deducendo la violazione e la falsa applicazione della L. n. 990 del 1969, art. 22, e dell’art. 24 Cost., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice di Appello avrebbe trascurato che non ricorre l’improponibilità della domanda "quando il responsabile civile rifiuta o non risponde alla richiesta di indicare l’assicuratore rivoltagli dal danneggiato con lettera raccomandata". Inoltre, non sussisterebbe per il danneggiato l’onere di attendere 60 giorni o un qualunque altro termine la risposta del danneggiante alla sua richiesta di fornirgli i dati identificativi della propria compagnia assicurativa prima di adire l’autorità giudiziaria.

La censura non coglie nel segno e deve essere disattesa, fermo restando che la decisione del giudice di secondo grado, pur essendo nella sostanza conforme al diritto, va però corretta nella sua motivazione ai sensi e per gli effetti di cui all’ultimo comma dell’art. 384 c.p.c., nella parte in cui risulta scritto che "l’attore, dunque, avrebbe dovuto aspettare il decorso del termine di sessanta giorni prima di proporre l’azione". Ciò, in quanto il mancato decorso del predetto termine è previsto dalla legge, come condizione di improponibilità della domanda, solo nell’ambito della fattispecie delineata dalla L. n. 990 del 1969, art. 22, e, pertanto, esclusivamente, nell’ipotesi di preventiva richiesta di danno rivolta all’istituto assicuratore.

Ciò premesso, torna utile evidenziare che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, "in tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, il principio dell’improponibilità della domanda del danneggiato, pure se avanzata nei soli confronti del responsabile civile, se non sia stata fatta preventiva richiesta di danno all’assicuratore per mezzo di raccomandata e non siano decorsi sessanta giorni dalla richiesta stessa, non può trovare applicazione, in base al principio "ad impossibilità nemo tenetur", quando il danneggiato si sia trovato nella non colpevole impossibilità di identificare l’assicuratore e, quindi, di provvedere al detto adempimento. Tale incolpevole impossibilità ricorre quando il responsabile civile abbia rifiutato di indicare l’assicuratore al danneggiato, che glielo abbia richiesto con lettera raccomandata, poichè non esiste nel nostro ordinamento un sistema di pubblicità dei contratti assicurativi, che consenta all’interessato di attingere notizie" (v. tra le tante Cass. n.478/81, Cass. n. 5375/88, Cass. n. 10998/95, e di recente Cass. n. 13537/2007).

Giova aggiungere che l’incolpevole impossibilità di provvedere all’adempimento di cui all’art.22 legge n. 990/1969, dovendo essere parametrata sulla base del citato principio ad impossibilia nemo tenetur, postula necessariamente il decorso, a far data dalla richiesta rivolta al danneggiante, di un termine sufficientemente congruo prima dell’introduzione del giudizio risarcitorio.

E ciò, in quanto solo il decorso di un termine ragionevolmente lungo, la cui congruità deve essere valutata in relazione alle singole circostanze del caso concreto dal giudice del merito, può integrare ad un tempo il sicuro rifiuto del danneggiante di fornire il nominativo del proprio assicuratore e l’impossibilità, esente da ogni colpa, per il danneggiato, di provvedere all’adempimento sopra indicato.

Ed è appena il caso di sottolineare come tale valutazione sia suscettibile di rilievi in sede di legittimità, solo sotto il profilo del vizio della motivazione, vizio peraltro che nel caso di specie non è stato neppure dedotto, se difetti totalmente la giustificazione che quella statuizione sorregge, o macroscopicamente si discosti dai dati di comune esperienza, o sia radicalmente contraddittoria.

Nel caso di specie la valutazione, compiuta dal giudice di secondo grado, appare invece rispettosa dei principi in materia avendo il giudice di merito posto debitamente in rilievo che l’assoluta brevità del termine, appena 12 giorni tra la ricezione della richiesta inviata al danneggiante e la notifica dell’atto introduttivo del giudizio, in una alla mancata indicazione, da parte del danneggiato, di un termine, decorso il quale egli avrebbe agito in giudizio, non consentiva di ritenere che l’omessa risposta potesse in alcun modo essere equiparata al rifiuto di rispondere da parte del danneggiante.

Tutto ciò considerato, ne deriva pertanto il rigetto della censura in esame.

Passando all’esame della seconda doglianza, articolata sotto il profilo della violazione dell’art. 112 c.p.c. – si deve rilevare che, ad avviso del ricorrente, il Tribunale, fondando la sua decisione sul fatto che l’attore aveva notificato la citazione appena dodici giorni dopo che il convenuto aveva ricevuto la raccomandata inviatagli, avrebbe violato il principio fissato dall’art. 112 cpc perchè di sua iniziativa aveva sollevato e deciso alcune questioni di cui non vi era traccia nella comparsa di risposta dei convenuti in cui essi "non parlano del proposito di rispondere alla lettera del B. e dell’impossibilità di attuarlo a causa del poco tempo avuto a disposizione".

Anche questa seconda censura non merita di essere accolta. Ed invero, appare opportuno premettere a riguardo che la ratio dell’art. 112 c.p.c., secondo cui il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa e non può pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti, è con tutta evidenza quella di garantire il contraddittorio e di impedire pertanto che trovino accoglimento domande o eccezioni sulle quali la controparte non sia stata in grado di difendersi.

Ne deriva che il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato deve ritenersi violato quando il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, pronuncia oltre i limiti delle domande e delle eccezioni proposte ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio mentre va invece esclusa la violazione dell’indicato principio quando la pronuncia vi corrisponda nel suo risultato finale, sebbene fondata su argomentazioni giuridiche diverse da quelle prospettate dalla parte ovvero quando il giudice, come nel caso di specie, motivi la sua decisione sulla base di ragioni diverse da quelle addotte da una delle parti mettendo in rilievo elementi di fatto non considerati o non espressamente menzionati da essa.

Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle censure dedotte, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, senza che occorra provvedere sulle spese in quanto la parte vittoriosa, non essendosi costituita, non ne ha sopportate.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 23 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2012

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