T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 18-01-2011, n. 395

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Premette in fatto la società odierna ricorrente che in data 13 febbraio 2008 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avviato nei suoi confronti, in qualità sia di gestore di alcune utenze telefoniche destinatarie della pratica oggetto di indagine, che di assegnataria di determinate numerazioni a valore aggiunto, un procedimento volto ad accertare la ricorrenza di una pratica commerciale scorretta consistente nella trasmissione su numerose utenze mobili di SMS contenenti l’invito a contattare, da rete fissa, numerazioni speciali a sovrapprezzo con prefisso 899, con addebito in bolletta di 15 euro per ciascuna chiamata.

Il procedimento di accertamento è stato, altresì, avviato anche nei confronti di altri soggetti, tra cui tre gestori di telefonia mobile e cinque operatori assegnatari di numerazioni a valore aggiunto.

Nel ripercorrere parte ricorrente l’iter procedimentale confluito nell’adozione del gravato provvedimento, ne illustra puntualmente la relativa scansione, avuto particolare riguardo alla svolta istruttoria, illustrando le richieste di informazioni rivolte dall’Autorità ed al contenuto delle risposte fornite, e precisando che con provvedimento cautelare del 15 maggio 2008 è stato imposto alla ricorrente, in qualità di assegnataria di numerazioni non geografiche con prefisso 899, di sospendere l’attivazione di servizi a valore aggiunto, mentre, con provvedimento del 4 luglio 2008, è stata disposta l’integrazione soggettiva ed oggettiva della comunicazione di avvio con riferimento ad ulteriori professionisti risultati coinvolti nella fattispecie in qualità di secondi assegnatari delle numerazioni a sovrapprezzo.

Con provvedimento del 9 ottobre 2008 è stata, quindi, accertata la sussistenza di una complessa fattispecie coinvolgente la responsabilità di diversi soggetti, contestata anche alla società ricorrente nella sua qualità di prima assegnataria di numerazioni a sovrapprezzo che gli utenti erano sollecitati a contattare attraverso l’invio di SMS, sulla base della ritenuta cointeressenza diretta ed immediata della stessa all’interno del rapporto negoziale con i Centri Servizi e della riscontrata omissione del controllo sulla stessa gravante sulla ideazione e commercializzazione degli SMS, contravvenendo altresì agli obblighi di informazione e trasparenza nei confronti della clientela e a quelli di vigilanza sulla corretta utilizzazione delle numerazioni a sovrapprezzo, comminando alla società ricorrente la sanzione pecuniaria amministrativa di 100.000 euro.

Avverso la gravata determinazione deduce parte ricorrente i seguenti motivi di censura:

1 – Violazione dei principi del contraddittorio, del diritto di difesa e del principio del giusto procedimento. Falsa applicazione dell’art. 27, comma 11, del D.Lgs. n. 206 del 2005, e degli artt. 1 e 10 della legge n. 241 del 1990.

Nel precisare parte ricorrente come solo con la notifica del provvedimento conclusivo del procedimento abbia avuto notizia della sua corresponsabilità, non in qualità di gestore di utenze mobili, ma di assegnataria di numerazioni a sovrapprezzo e che l’illecito le è stato addebitato in ragione della ritenuta cointeressenza diretta e immediata con i Centri Servizi anche a titolo di omessa ottemperanza ad obblighi regolamentari di controllo e vigilanza, denuncia l’intervenuta lesione del proprio diritto di difesa, non avendo l’Autorità, nei vari atti del procedimento, mai delineato i criteri ed il titolo di imputazione dell’illecito, gli elementi costitutivi della fattispecie censurata ed il parametro normativo presuntivamente violato, così compromettendo in maniera sostanziale le proprie prerogative difensive, non consentendo tali atti indicazioni sufficienti ad assicurare una adeguata conoscenza degli estremi in fatto e in diritto della violazione.

Inoltre, non essendo prevista – a differenza che nei procedimenti in materia di antitrust – alcuna comunicazione riepilogativa, al termine dell’istruttoria, dei profili fattuali e giuridici delle eventuali infrazioni, l’avviso di avvio del procedimento dovrebbe necessariamente individuare compiutamente, secondo parte ricorrente, i fatti oggetto di contestazione, in modo da garantire l’esplicazione di un contraddittorio pieno e l’esercizio di adeguate attività difensive, laddove, nella fattispecie in esame, la comunicazione di avvio del procedimento, così come tutti gli altri atti intervenuti nel corso dello stesso, non avrebbero in alcun modo esplicitato gli elementi essenziali dell’illecito e della sua imputabilità alla ricorrente.

In via subordinata, laddove si dovesse ritenere che l’art. 16 del Regolamento sulle procedure istruttorie di cui alla delibera dell’Autorità del 15 novembre 2007 n. 17589/2007, nel non prevedere espressamente la comunicazione delle risultanze istruttorie, consenta all’Autorità di limitare il contraddittorio, la stessa dovrebbe essere ritenuta illegittima ed i gravati provvedimenti andrebbero annullati per illegittimità derivata.

2 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 2027 del D.Lgs. n. 206 del 2005 come modificato dal D.Lgs. n. 146 del 2007. Violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990. Erronea qualificazione della fattispecie. Eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche ed in particolare mancanza dei presupposti, difetto di istruttoria, difetto di motivazione, perplessità.

Nel ricordare parte ricorrente di essere stata ritenuta responsabile della condotta in qualità di prima assegnataria di archi di numerazione 899 sulla base dell’esistenza di una cointeressenza immediata e diretta nel rapporto negoziale con i Centri Servizi e della ravvisata violazione di obblighi di controllo, procede parte ricorrente alla puntuale contestazione delle valutazioni effettuate dall’Autorità significando, quanto all’affermata cointeressenza, che sulla base del D.M. n. 145 del 2006 è l’intestatario delle numerazioni a valore aggiunto che provvede ad incassare il pagamento del prezzo per poi riversarlo ai Centri Servizi che riconoscono un corrispettivo per l’utilizzo della rete e oneri, sulla cui base non sarebbe possibile ipotizzare un coinvolgimento della ricorrente nella pratica estendendo alla stessa una condotta posta in essere direttamente dai Centri Servizi.

L’imputazione alla ricorrente di pratiche realizzate da altri soggetti sulla base della ravvisata cointeressenza contrasterebbe, inoltre, con la nozione di professionista come delineata dal Codice del Consumo, risultando altresì contraddittoria l’affermata corresponsabilità di Telecom nella pratica con la pur riconosciuta sua estraneità rispetto alla diffusione dei messaggi, basata sulla considerazione di avere svolto un mero ruolo di carrier nel veicolare i messaggi, per poi ritenere tuttavia che il vantaggio economico derivante dallo svolgimento del medesimo ruolo di carrier costituisca un indice del suo coinvolgimento nella pratica sanzionata.

L’avvenuta imputazione della condotta alla ricorrente contrasterebbe inoltre, secondo gli assunti ricorsuali, con la definizione di professionista di cui al Codice del Consumo come modificato in attuazione della Direttiva 2005/29/CE, che non consente, contrariamente a quanto avveniva prima dell’innesto della materia delle pratiche commerciali scorrette, di estendere la legittimazione passiva ai soggetti che non abbiano direttamente realizzato la pratica o che si siano limitati a beneficiarne, essendo necessario un nesso di causalità diretto.

Inoltre, l’identificazione della figura del professionista sulla base del criterio del vantaggio economico si tradurrebbe, secondo parte ricorrente, in una violazione della citata Direttiva.

Avuto riguardo al riferimento, effettuato dall’Autorità, agli obblighi di controllo gravanti sulla società alla luce del D.M. n. 145 del 2006 per affermarne la responsabilità, ne denuncia parte ricorrente l’illegittimità, dovendo ritenersi responsabili, ai sensi della regolazione di settore – di cui illustra compiutamente il contenuto – unicamente i Centri Servizi che operano in piena autonomia, laddove gli assegnatari di numerazioni a sovrapprezzo sono responsabili del solo trasporto ed instradamento dei messaggi, non potendo effettuare alcun controllo di tipo sostanziale sui servizi offerti e sul contenuto dei messaggi inviati.

Ancora, nell’affermare l’erronea applicazione da parte dell’Autorità della disciplina regolamentare – in base alla quale i titolari di numerazioni a sovrapprezzo sono responsabili dei soli adempimenti di natura amministrativa e tecnica, mentre la commercializzazione del servizio ricade nell’ambito di responsabilità del fornitore di contenuti dei servizi a sovrapprezzo – contesta parte ricorrente la possibilità per l’Autorità di contestare violazioni di norme regolamentari, ridefinendone i contenuti, in ordine al cui rispetto è prevista la competenza del Ministero delle Comunicazioni, della Polizia Postale e dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, la quale ultima avrebbe riscontrato gli estremi di una pratica commerciale scorretta unicamente nella diffusione dei messaggi spamming.

Sostiene, ancora, parte ricorrente di aver disciplinato i propri rapporti negoziali con i Centri Servizi in aderenza con il regime regolatorio, confermando il regime di riparto di responsabilità dallo stesso delineato, significando come anche sul piano negoziale non svolge alcun ruolo nella predisposizione e diffusione dei messaggi sanzionati.

Con riferimento alle considerazioni svolte dall’Autorità in ordine alle precauzioni che la ricorrente avrebbe dovuto adottare a fronte dell’utilizzo improprio delle numerazioni a sovrapprezzo, nell’evidenziare come nel corso del procedimento non si sia mai fatto cenno alle situazioni di anomalia, sostiene questa la mancanza di una fonte da cui desumere la sussistenza di siffatto obbligo, che invece incombe sulle istituzioni di settore, non gravando sui titolari di numerazioni cedute a Centri Servizi il monitoraggio sul corretto uso di tali numerazioni né, conseguentemente, alcun onere di correttezza imposto ex ante e in via generalizzata in relazione al monitoraggio delle anomalie.

Quanto al precedente PI5374, sulla cui base l’Autorità sostiene che il fenomeno sotteso alle anomalie sarebbe conosciuto dalla ricorrente, evidenzia questa come la relativa decisione abbia accertato l’esclusiva responsabilità dei Centri Servizi, con conseguente contraddittorietà della gravata determinazione con quanto precedentemente ritenuto.

Illustra, inoltre, parte ricorrente le iniziative assunte per contenere gli effetti della pratica sanzionata, nonché la più ampia attività posta in essere per prevenire ed arginare il fenomeno che si caratterizza per l’invio di messaggi esca.

Ne discenderebbe l’inconsistenza e l’infondatezza dell’imputazione dell’illecito alla ricorrente in ragione dell’affermato mancato assolvimento di obblighi di vigilanza, essendosi essa conformata alla disciplina regolamentare vigente anche nella regolazione negoziale dei rapporti con i Centri Servizi, non potendo inoltre ritenersi che l’onere di diligenza possa estendersi oltre l’ambito e la portata della regolazione di settore.

3 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 27 del D.Lgs. n. 206 del 2005 come modificato dal D.Lgs. n. 146 del 2007 e dell’art. 11 della legge n. 689 del 1981. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare, difetto di istruttoria, illogicità e contraddittorietà manifesta. Disparità di trattamento, Violazione del principio di proporzionalità.

Nel riferire i criteri posti a base della sanzione pecuniaria irrogata, lamenta parte ricorrente come il giudizio di gravità sia stato formulato in relazione alla ingannevolezza del contenuto dei messaggi, alla cui realizzazione e diffusione essa non ha partecipato, come peraltro riconosciuto dalla stessa Autorità, la quale non avrebbe pertanto proceduto alla distinzione dei diversi ruoli e contributi dei vari soggetti coinvolti nella complessa pratica commerciale.

Pertanto, l’affermata gravità della condotta imputata alla società ricorrente non sarebbe stata provata con riferimento alle sue concrete circostanze, né sarebbe stata fornita adeguata motivazione in ordine al relativo giudizio.

Avuto riguardo alla riconduzione del giudizio di gravità alla inerenza della pratica al settore della telefonia, con riferimento al quale sussisterebbero particolari oneri di completezza e chiarezza delle informazioni veicolate, afferma parte ricorrente come sia la Direttiva 2005/29/CE sia la normativa di recepimento non consentano di individuare in via aprioristica dei settori cui applicare sempre un rigoroso standard di diligenza a prescindere dalle circostanze del caso concreto, né si comprenderebbe come il rafforzato onere di diligenza rileverebbe rispetto alla condotta dalla stessa tenuta.

Censura, ancora, parte ricorrente la ponderazione effettuata dall’Autorità degli ulteriori criteri di determinazione della sanzione, i quali sarebbero stati applicati indistintamente a tutte le parti del procedimento senza differenziare né le fasi di cui si compone la fattispecie, né il diverso ruolo nella stessa svolto dai singoli operatori.

In particolare, con riferimento al significativo impatto della condotta, evidenzia parte ricorrente la sua estraneità alla diffusione degli SMS, sostenendo altresì che il giudizio sull’impatto di una pratica commerciale non possa essere condotto in astratto sulla sua suscettibilità di raggiungere un elevato numero di soggetti, ma debba riferirsi alla sua effettiva e concreta idoneità a falsare il comportamento economico del consumatore.

Quanto al richiamo alla capacità della condotta di raggiungere un considerevole numero di soggetti, ne denuncia parte ricorrente la mancata considerazione dell’effettivo pregiudizio, dell’intensità della distorsione nel processo decisionale, del grado di colpevolezza e del livello di contrarietà alla diligenza professionale.

Sarebbe, inoltre, apodittica ed arbitraria, in assenza di criteri di riferimento, la qualificazione della durata "lunga" della pratica, che si tradurrebbe in un indebito fattore di aggravamento dell’infrazione.

Ne discenderebbe l’iniquità della sanzione comminata alla ricorrente rispetto al suo effettivo coinvolgimento nella pratica, non essendo stata riscontrata in capo alla stessa alcuna responsabilità per il contenuto dei messaggi, lamentando come l’Autorità, pur avendo riconosciuto il diverso ruolo e contributo della ricorrente nella realizzazione della pratica in sede di valutazione della fattispecie, non ne abbia tenuto conto nella fase di accertamento della gravità dell’illecito.

La sanzione comminata alla ricorrente sarebbe, inoltre, irragionevole in quanto determinata in misura maggiore rispetto a quella irrogata ai Centri Servizi e considerato che nel precedente caso PI5374 non è stata applicata alla ricorrente alcuna sanzione, né la stessa è stata ritenuta responsabile della condotta, con conseguente immotivato mutamento di indirizzo da parte dell’Autorità.

Nel ricordare le iniziative assunte al fine di contrastare il fenomeno fraudolento oggetto del procedimento, lamenta parte ricorrente come l’Autorità non ne abbia tenuto conto quali circostanze attenuanti, significando come in altri procedimenti sia stato valorizzato l’atteggiamento collaborativo delle parti in sede di commisurazione della sanzione.

Chiede, quindi, parte ricorrente, l’annullamento del gravato provvedimento in quanto affetto dai denunciati vizi, o, in subordine, la congrua riduzione della sanzione irrogata.

Si è costituita in resistenza l’intimata Amministrazione sostenendo, con articolate controdeduzioni, l’infondatezza del ricorso con richiesta di corrispondente pronuncia.

Alla Pubblica Udienza del 15 dicembre 2010, la causa è stata chiamata e, sentiti i difensori delle parti, trattenuta per la decisione, come da verbale.
Motivi della decisione

Con il ricorso in esame è proposta azione impugnatoria avverso il provvedimento – meglio descritto in epigrafe nei suoi estremi – con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in esito alla compiuta istruttoria, acquisito il parere dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ed apprezzata la scorrettezza, ai sensi degli artt. 20, 21 e 22, del Codice del Consumo come modificato dal D.Lgs. n. 146 del 2007, di una complessa pratica commerciale posta in essere, a diverso titolo, da una pluralità di soggetti, tra cui la società ricorrente, ne ha vietato l’ulteriore diffusione e ha irrogato alla ricorrente una sanzione amministrativa pecuniaria di euro 100.000.

L’impianto ricorsuale, come delineato dalle censure proposte dalla società ricorrente, cui la condotta sanzionata è stata imputata nella sua qualità di assegnataria di determinate numerazioni non geografiche a valore aggiunto, si snoda attraverso la proposizione di censure volte innanzitutto a denunciare l’intervenuta violazione del proprio diritto di difesa avuto riguardo alla concreta scansione del procedimento ed al contenuto degli atti adottati nel corso dello stesso, denunciando altresì l’illegittimità della norma regolamentare che non prevede la comunicazione delle risultanze istruttorie ai soggetti coinvolti nel procedimento, procedendo altresì alla puntuale confutazione delle valutazioni espresse dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (hic hinde Autorità) con riferimento alla condotta sanzionata come ascritta alla società ricorrente, preliminarmente procedendo alla dettagliata illustrazione degli elementi di rilievo sulla cui base nega, parte ricorrente, la sussistenza della propria responsabilità e della imputabilità ad essa della condotta, per l’effetto assumendo l’illegittimità della gravata decisione e delle valutazioni poste a suo fondamento, avverso le quali vengono articolate puntuali contestazioni.

Sotto altro profilo ed in via subordinata, si duole parte ricorrente della quantificazione della sanzione, lamentando l’intervenuta violazione dei criteri dettati dall’art. 11 della legge n. 689 del 1981, avuto particolare riguardo al giudizio di gravità della condotta – in quanto non parametrato ai diversi ruoli e contributi dei vari soggetti coinvolti nella complessa pratica commerciale – alla aprioristica individuazione di un elevato standard di diligenza sulla sola base della inerenza della pratica al settore della telefonia, alla mancata considerazione delle diverse fasi in cui si sviluppa la pratica e del diverso ruolo dei soggetti coinvolti, alla mancata valutazione dell’effettivo pregiudizio della pratica in relazione all’effettiva distorsione del processo decisionale dei consumatori, alla arbitraria qualificazione della durata della pratica, alla mancata considerazione quale circostanza attenuante delle iniziative intraprese dalla ricorrente per contrastare il fenomeno fraudolento oggetto del procedimento, denunciando altresì la contraddittorietà della gravata determinazione rispetto alle inferiori sanzioni irrogate ai Centri Servizi, nonché rispetto alle decisioni assunte dall’Autorità in altri procedimenti.

Prima di procedere alla disamina delle censure ricorsuali proposte, giova premettere un breve cenno descrittivo della condotta sanzionata con il gravato provvedimento, al fine di meglio delineare i contorni della vicenda in esame e più compiutamente definire la portata delle doglianze che alla stessa afferiscono, rinviando al prosieguo della trattazione il più esaustivo esame del contenuto della gravata delibera nei limiti in cui lo stesso si riveli funzionale alla delibazione rimessa al Collegio.

In tale direzione, va precisato che il gravato provvedimento ha ritenuto integrare una pratica commerciale scorretta una complessa fattispecie imputata ad una pluralità di soggetti coinvolti nel procedimento a diverso titolo, differenziando le valutazioni circa i profili di ritenuta scorrettezza in ragione del ruolo rivestito dagli stessi, e parametrando, in particolare, il formulato giudizio di scorrettezza nei confronti della società ricorrente, nella sua qualità di prima assegnataria di numerazioni a sovrapprezzo "899′, agli artt. 20, 21 e 22, del Codice del Consumo, come modificato dal D.Lgs. n. 146 del 2007.

La pratica commerciale sanzionata si sostanzia nella trasmissione a numerose utenze telefoniche di clienti di quattro gestori di telefonia mobile, tra cui la ricorrente Telecom Italia S.p.A., di SMS che invitavano a contattare da numero di rete fissa numerazioni speciali a sovrapprezzo con prefisso "899′, prospettando l’urgenza di consultare una segreteria telefonica per ascoltare un messaggio personale, mentre in realtà tali SMS erano volti ad attivare, attraverso il contatto di numerazioni speciali, un servizio di messaggerie a pagamento di 15 euro per ciascuna chiamata effettuata verso le citate numerazioni a sovrapprezzo riportate negli SMS.

La società ricorrente, come gli altri operatori di telefonia mobile, è stata considerata responsabile della pratica sanzionata in qualità di prima assegnataria di archi di numerazioni a sovrapprezzo da parte del Ministero delle Comunicazioni – e non anche in qualità di gestore di telefonia mobile, pur essendo stata inizialmente coinvolta nel procedimento anche a tale titolo – in ragione della ritenuta qualifica, dalla stessa rivestita, di professionista ai sensi del Codice del Consumo, della sua cointeressenza immediata e diretta all’interno del rapporto negoziale con i Centri Servizi, nonché alla luce della disciplina regolamentare di settore e degli obblighi di controllo dalla stessa discendenti, con particolare riferimento a fenomeni di anomalia nell’utilizzo delle numerazioni non geografiche assegnate.

Responsabili della pratica sanzionata sono stati, altresì, ritenuti – oltre che le altre compagnie telefoniche – i Centri Servizi cessionari delle numerazioni a sovrapprezzo in relazione alla elaborazione del contenuto ed alla diffusione degli SMS, nonché gli intestatari dei siti internet indicati nei messaggi in ragione della loro partecipazione alla predisposizione degli stessi e dell’effetto pubblicitario conseguito.

Tanto premesso, viene innanzitutto in rilievo, nella gradata elaborazione logica delle questioni proposte, il motivo di censura, afferente profili procedimentali, con cui la società ricorrente lamenta l’intervenuta violazione del proprio diritto di difesa e del principio del contraddittorio, essendo venuta a conoscenza, solo con la notifica del provvedimento conclusivo del procedimento, della sua corresponsabilità non in qualità di gestore di utenze mobili, ma di assegnataria di numerazioni a sovrapprezzo e dell’imputazione dell’illecito in ragione della ritenuta cointeressenza diretta e immediata con i Centri Servizi e della omessa ottemperanza ad obblighi regolamentari di controllo e vigilanza.

In proposito, nell’illustrare nel dettaglio la scansione procedimentale cui è seguita l’adozione del gravato provvedimento ed il contenuto dei relativi atti nel corso dello stesso succedutisi – avuto particolare riguardo alla comunicazione di avvio del procedimento, alle richieste di informazioni formulate dall’Autorità, al provvedimento cautelare di sospensione dell’attivazione di servizi a valore aggiunto, al provvedimento di integrazione soggettiva ed oggettiva del procedimento – lamenta in particolare parte ricorrente come l’Autorità, nei vari atti del procedimento, non avrebbe mai delineato i criteri ed il titolo di imputazione dell’illecito, né gli elementi costitutivi della fattispecie censurata ed il parametro normativo presuntivamente violato, così compromettendo in maniera sostanziale le proprie prerogative difensive, non contenendo tali atti indicazioni sufficienti ad assicurare una adeguata conoscenza degli estremi in fatto ed in diritto della violazione.

La delibazione in ordine alla descritta censura transita necessariamente attraverso la preliminare individuazione delle coordinate interpretative di riferimento volte a delineare, nella materia delle pratiche commerciali scorrette, il perimetro di estensione del diritto di difesa delle parti coinvolte e del principio del contraddittorio procedimentale, avuto anche riguardo alla questione, sottesa alla proposta censura, della corrispondenza tra le contestazioni mosse con la comunicazione di avvio del procedimento e le valutazioni conclusive circa gli elementi costitutivi fondanti l’illecito, coessenziale a tutte le tipologie di procedimenti sanzionatori.

In tale direzione va rilevato che ai fini della legittimità della comunicazione di avvio del procedimento e del pieno rispetto del principio del contraddittorio – che si declina nella necessità per le parti del procedimento di poter proficuamente partecipare all’istruttoria ed esercitare le proprie prerogative difensive – nella fase di avvio devono essere con precisione indicati i soli profili in cui si sostanzia la pratica commerciale oggetto di accertamento, dovendo la comunicazione di avvio contenere gli elementi essenziali utili a consentire al professionista l’individuazione della condotta oggetto di indagine con riguardo ai profili fattuali, nonchè il richiamo ai parametri normativi alla cui violazione essi siano astrattamente ascrivibili.

Non è, in sostanza, richiesto un elevato grado di dettaglio della comunicazione di avvio del procedimento, potendo, con ogni evidenza, l’analiticità delle argomentazioni riguardare solo la fase conclusiva del procedimento in quanto correlate alle risultanze della svolta istruttoria, non essendo invece concretamente pretendibile la specificazione di elementi dell’illecito che possono emergere solo in esito allo svolgimento dell’istruttoria ed alla valutazione della valenza dei relativi riscontri.

Dovendo in proposito rilevarsi che in materia di pratiche scorrette l’Autorità è chiamata, in ragione proprio della struttura dell’illecito e diversamente da quanto accade nei procedimenti intesi a reprimere la pubblicità ingannevole e comparativa, al compimento di una – spesso – complessa attività istruttoria volta alla individuazione con precisione – salvi i casi di condotte "tipizzate" elencate agli artt. 23 e 26 del Codice del Consumo- delle azioni, omissioni o dichiarazioni ritenute ingannevoli o aggressive.

Alla luce degli indicati parametri interpretativi può, dunque, procedersi alla ricognizione della portata da attribuirsi all’onere, previsto dall’art. 6 del Regolamento sulle procedure istruttorie adottato con delibera dell’Autorità del 15 novembre 2007 n. 17589, di comunicare l’avvio dell’istruttoria indicando "l’oggetto del procedimento’, che, se non può esaurirsi nel mero richiamo delle norme di cui si ipotizza la violazione, lascia comunque impregiudicata la possibilità per l’Autorità di prospettare un ampio spettro d’indagine, atteso che, come più volte affermato dalla Sezione, solo nella fase conclusiva del procedimento ed all’esito della fase istruttoria è esigibile un elevato grado di specificazione degli elementi dell’illecito ed una maggiore analiticità delle argomentazioni, che non possono invece caratterizzare la fase di avvio, nella quale devono essere con precisione identificati i profili della condotta oggetto di indagine al fine di mettere in grado il soggetto di potere proficuamente partecipare all’istruttoria" (TAR Lazio – Roma – Sez. I – 15 giugno 2009 n. 5625; 8 settembre 2009; 4 maggio 2009 n. 4490; 12 maggio 2008, n. 3880; 13 aprile 2006, n. 2737).

Impostazione, questa, che risulta pienamente coerente con il principio di corrispondenza tra i fatti contestati e quelli sanzionati – che assume rilievo primario nei procedimenti sanzionatori – il quale si riferisce al solo quadro fattuale, e non anche alla qualificazione giuridica ed al rilievo dei fatti.

Peraltro, la comunicazione dell’avvio del procedimento interviene in una fase in cui si dà inizio all’istruttoria proprio al fine di verificare, come riferito dal citato art. 6, l’eventuale esistenza di pratiche commerciali scorrette, con la conseguenza che tale comunicazione non può che riguardare gli elementi che sono in possesso, a tale fase iniziale del procedimento, della stessa Autorità, e segnatamente i contorni della condotta oggetto di indagine ed i soggetti coinvolti, potendo gli elementi costitutivi dell’illecito e le relative responsabilità essere più compiutamente definiti solo a conclusione dell’istruttoria sulla base della valutazione di tutti gli elementi di rilievo.

Aggiungasi che il procedimento in materia di pratiche commerciali scorrette è caratterizzato da un compiuto sistema partecipativo, nel cui ambito il diritto di difesa dei soggetti coinvolti viene garantito e concretamente esercitato attraverso una pluralità di strumenti, tra cui la possibilità di presentare memorie e fornire informazioni, pienamente idonei ad assicurare la tutela dei diritti difensivi delle parti.

Avuto riguardo al concreto atteggiarsi del procedimento in esame, al fine di verificare il rispetto del principio del contraddittorio e del diritto di difesa nella portata che, alla luce delle superiori considerazioni, deve agli stessi attribuirsi, rileva il Collegio come nella comunicazione di avvio del procedimento risultino puntualmente descritti i contorni della pratica commerciale oggetto di indagine – integrata dalla trasmissione di SMS che invitano a contattare, da numero di rete fissa numerazioni speciali a sovrapprezzo, su varie utenze telefoniche di clienti dei gestori di telefonia mobile – con indicazione dei profili di eventuale scorrettezza come parametrati alle norme di cui agli artt. 20, 21, 22, 23, 24, 25 e 26 del Codice del Consumo e del coinvolgimento della società ricorrente in qualità sia di gestore di determinate utenze telefoniche destinatarie della pratica, sia in qualità di assegnataria di numerazioni a valore aggiunto.

Se, dunque, la comunicazione di avvio del procedimento istruttorio appare rispondere ai requisiti di sufficienza e completezza necessari al fine di garantire il pieno contraddittorio, deve ulteriormente osservarsi, quanto alla censurata omessa indicazione, nel corso del procedimento, dei criteri e del titolo di imputazione dell’illecito, degli elementi costitutivi della fattispecie e del parametro normativo presuntivamente violato, che trattasi di elementi che possono essere compiutamente delineati solo a conclusione del procedimento.

Nondimeno, non può esimersi il Collegio dall’osservare come, alla luce della concreta articolazione del procedimento confluito nell’adozione del gravato provvedimento, la società ricorrente abbia acquisito la concreta conoscenza del complessivo quadro di indagine in ordine all’illecito, come veicolata dalle richieste di informazioni intervenute nel corso del procedimento, dal provvedimento cautelare e dalla comunicazione dell’ampliamento oggettivo e soggettivo del procedimento.

In proposito giova, difatti, segnalare come alla società ricorrente siano stati richiesti elementi conoscitivi circa, tra gli altri, gli accordi intercorsi con i soggetti cessionari di numerazioni a sovrapprezzo, il volume di traffico telefonico generato dalle richieste dei servizi reclamizzati, l’eventuale possibilità per i gestori di telefonia mobile di predisporre un software di controllo semantico idoneo a bloccare l’invio di SMS contenenti caratteri numerici corrispondenti a numerazioni oggetto di utilizzo e traffico anomalo, senza interferire sulla riservatezza dei contenuti di SMS ricevuti.

Ferma, dunque, l’obiettiva preclusione, in quanto non concretamente esigibile, per l’Autorità di poter più dettagliatamente definire – e comunicare alle parti – gli elementi costitutivi dell’illecito prima dell’acquisizione di tutti gli elementi di rilievo e prima della formulazione delle relative valutazioni, non può non rilevarsi come, alla luce, in particolare, delle suindicate richieste di informazioni, fosse chiaramente evincibile la relativa loro finalizzazione alla individuazione del coinvolgimento della società ricorrente nella complessa pratica e del relativo titolo di imputazione – come connesso ai rapporti negoziali con i Centri Servizi autori della pratica, cui vano ricondotti il formulato rilievo inerente la cointeressenza immediata e diretta della ricorrente con gli stessi e la contestata omissione dei doverosi controlli – con la conseguenza che risulta essere stata data la possibilità alla società ricorrente di adeguatemente illustrare la propria posizione e di svolgere una compiuta attività difensiva in ordine ai singoli elementi delineati nei vari atti intervenuti nel corso dell’istruttoria.

Le superiori valutazioni trovano validità anche con riferimento al profilo inerente la ritenuta mancata ottemperanza agli obblighi regolamentari di vigilanza e di controllo, che risulta chiaramente ipotizzata nella richiesta di informazioni circa la possibilità per i gestori di telefonia mobile di predisporre un software di controllo semantico idoneo a bloccare l’invio di SMS contenenti caratteri numerici corrispondenti a numerazioni a sovrapprezzo.

Va ulteriormente rilevato, in proposito, che in relazione alla condotta cui si riferisce l’indagine ed ai profili oggetto di accertamento, risulta, dagli atti versati al fascicolo di causa, che la società ricorrente abbia prodotto articolate memorie difensive di cui peraltro, taluni motivi di censura proposti nella presente sede, costituiscono una sostanziale riproduzione.

Pertanto, non è ravvisabile, in considerazione del concreto svolgimento dell’istruttoria e delle difese articolate dalla società nel corso del procedimento, alcun pregiudizio al principio del contraddittorio ed alcuna compromissione al diritto di difesa alla stessa riconosciuto nello specifico ambito inerente le pratiche commerciali scorrette, essendo stati pienamente garantiti e concretamente esercitati i diritti partecipativi che la disciplina di riferimento riconosce nella misura sopra illustrata, dovendo conseguentemente ritenersi che la comunicazione di avvio del procedimento abbia riportato gli elementi essenziali per consentire un efficace e completo contraddittorio e disattendersi l’argomentazione di parte ricorrente secondo cui nè la comunicazione di avvio del procedimento, nè gli altri atti intervenuti nel corso dello stesso avrebbero in alcun modo esplicitato gli elementi essenziali dell’illecito e della sua imputabilità alla ricorrente.

Avuto riguardo al profilo di censura proposto in via subordinata da parte ricorrente, volto a denunciare l’illegittimità dell’art. 16 del Regolamento sulle procedure istruttorie per non prevedere, contrariamente a quanto avviene per i procedimenti in materia di antitrust, la comunicazione delle risultanze istruttorie, ne rileva il Collegio l’infondatezza, riportandosi sul punto a quanto già più volte affermato dalla Sezione – con argomentazioni dalle quali non sussistono ragioni per discostarsi – secondo cui le norme del regolamento in materia di pratiche commerciali scorrette assicurano comunque, pur non prevedendo gli artt. 6 e 16, a differenza che nel regolamento sulle procedure in materia di tutela della concorrenza, la contestazione delle risultanze istruttorie, una piena garanzia del contraddittorio, riconoscendo alle parti un’ampia facoltà di presentare scritti difensivi e documentazione a supporto delle argomentazioni proposte, sicché il procedimento è del tutto conforme ai principi sottesi alla legge n. 241 del 1990, mentre, nei procedimenti antitrust, la previsione della comunicazione delle risultanze istruttorie è da ricondurre alle peculiarità tipiche dei relativi procedimenti, caratterizzati dalla particolare complessità degli accertamenti istruttori, con la conseguenza che l’art. 16 del Regolamento di procedura in materia di pratiche commerciali scorrette non può ritenersi illegittimo (TAR Lazio – Roma – Sez. I – 21 settembre 2009 n. 9083; 11 luglio 2009 n. 5570; 19 giugno 2009 n. 5807).

Delibate, nel senso di cui sopra, le censure aventi carattere procedimentale, vengono in rilievo – seguendo nella disamina l’ordine di trattazione delle questioni come suggerito dalla prospettazione di parte ricorrente – le contestazioni sollevate da parte ricorrente in ordine al proprio coinvolgimento nella pratica sanzionata ed alla propria legittimazione passiva rispetto all’illecito, censurando in proposito le valutazioni effettuate dall’Autorità in ordine alla responsabilità della stessa in qualità di prima assegnataria di archi di numerazione "899" per violazione degli obblighi di diligenza, sulla stessa ricadenti, in ragione della ritenuta sua cointeressenza immediata e diretta all’interno dei rapporti con i Centri Servizi cui sono state cedute le numerazioni a sovrapprezzo.

Sostiene, in proposito, parte ricorrente la non idoneità di un rapporto di cointeressenza a fondare una responsabilità per pratiche realizzate da altri soggetti, contrastando asseritamente tale criterio di imputazione della responsabilità con la nozione di professionista delineata dal Codice del Consumo come modificato successivamente al recepimento della Direttiva 2005/29/CE, la quale non consentirebbe, contrariamente a quanto avveniva alla luce della previgente nozione di operatore pubblicitario responsabile di pubblicità ingannevole, di estendere la responsabilità a soggetti che hanno tratto beneficio dalla pratica sanzionata pur non avendola realizzata direttamente.

Le pur ben articolate argomentazioni con cui parte ricorrente, nel riproporre in parte le difese già svolte nel corso del procedimento, nega di potere essere coinvolta nella pratica in esame in qualità di professionista – non essendo stata ritenuta dalla stessa Autorità corresponsabile nella ideazione e diffusione dei messaggi per aver svolto, rispetto ad essi, un mero ruolo di carrier sulla base di accordi di interconnessione – non meritano condivisione alla luce, innanzitutto, della nozione di professionista adottata dal Legislatore, dovendo ritenersi tale, sulla base dell’art. 18 del D.Lgs. n. 206 del 2005, come modificato dal D.Lgs. 2 agosto 2007 n. 146, per le finalità connesse alle pratiche commerciali, alla pubblicità ed alle altre informazioni commerciali, "qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista".

Nozione che va letta congiuntamente con la definizione di pratica commerciale tra professionisti e consumatori, che comprende qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori.

La definizione adottata dal Legislatore risulta, dunque, essere estremamente ampia, essendo sufficiente che la condotta venga posta in essere nel quadro di un’attività d’impresa "finalizzata" alla promozione o commercializzazione di un prodotto o di un servizio.

Ne discende che la responsabilità per pratiche commerciali scorrette non è limitata ai soli soggetti che direttamente la realizzano, estendendosi tale responsabilità anche ai soggetti che a titolo diverso prendono parte alla condotta e che assumono la qualità di professionisti nella ricorrenza di due elementi essenziali costituiti dalla responsabilità e dal vantaggio economico (TAR Lazio – Roma – Sez. I – 27 luglio 2009 n. 7558; 20 novembre 2008 n. 10465).

Rinviando al prosieguo della trattazione l’esame del profilo inerente la responsabilità della ricorrente per violazione dell’onere di diligenza sulla stessa gravante, va dunque affermato come il vantaggio economico costituisca uno degli indici per individuare la figura del professionista coerentemente con la disciplina dettata dal Codice del Consumo.

Aggiungasi che, secondo quanto già rilevato dalla Sezione (TAR Lazio – Roma – Sez. I – 20 novembre 2008 nn. 10464, 10465, e 10468; 27 luglio 2009 n. 7558; 21 gennaio 2010 n. 648), anche nell’ambito dell’illecito c.d. consumeristico è possibile configurare, alla luce tanto dei principi generali di diritto punitivo, quanto in particolare, dell’art. 5 della legge 24 novembre 1981, n. 689, un’ipotesi di concorso di persone nell’illecito amministrativo, ben potendo l’imputazione di responsabilità reggersi giuridicamente allorché risulti che il soggetto abbia in concreto, con il suo contegno, contribuito a porre in essere la condotta sanzionata e ben potendo, conseguentemente, la responsabilità essere addebitata sulla base di a diversi titoli di imputazione e di coinvolgimento nella pratica.

Non risulta, quindi, censurabile, alla luce della disciplina dettata dal Codice del Consumo, l’attribuzione, di cui alla gravata determinazione, alla società ricorrente della qualità di professionista, basata sulla considerazione che anche i primi assegnatari delle numerazioni "899" intervengono nella pratica, complessivamente considerata, in ragione della loro "cointeressenza diretta ed immediata" all’interno del rapporto negoziale esistente con i Centri Servizi connessa all’incremento dei profitti derivanti dai traffici telefonici conseguenti alla fruizione di servizi a sovrapprezzo.

Tale cointeressenza, in particolare, è stata ricondotta all’immediato vantaggio economico, per i primi assegnatari, derivante dalla diffusione dei messaggi oggetto del procedimento, in quanto i proventi derivanti dal traffico telefonico della numerazione a sovrapprezzo sono ripartiti fra i Centri Servizi e gli stessi primi assegnatari di archi di numerazione, ravvisando nel meccanismo di ripartizione dei proventi dei servizi a sovrapprezzo un indicatore della corresponsabilità e del coinvolgimento dei gestori di telefonia mobile nella pratica commerciale sanzionata.

Non risulta, quindi, rispondente alla ratio della disciplina recata dal Codice del Consumo la tesi di parte ricorrente volta a sostenere che l’avvenuta imputazione alla stessa della responsabilità della pratica contrasti con la Direttiva 2005/29/CE e con le relative norme di recepimento in materia di pratiche commerciali scorrette, che non consentirebbero di estendere la responsabilità ai soggetti che hanno tratto vantaggio dalla condotta.

Ed invero, ribadito quanto già sopra affermato, non è desumibile dalla nuova disciplina in materia di pratiche commerciali scorrette, come introdotta dal D.Lgs. n. 146 del 2007, una sua contrapposizione rispetto al previgente sistema sulla pubblicità ingannevole, dovendosi piuttosto affermare la contiguità e continuità tra le due discipline e persistente validità dei criteri di imputazione fondati sul vantaggio economico derivante per il professionista dalla pratica commerciale, dovendo quindi riconoscersi nel vantaggio diretto proveniente da un’iniziativa commerciale – che nella previgente disciplina della pubblicità ingannevole qualificava l’operatore pubblicitario – un elemento idoneo all’attribuzione della qualifica di professionista (in senso conforme: TAR Lazio – Roma – Sez. I – 21 gennaio 2010 n. 648; 27 luglio 2009 n. 7558; n. 8334 del 2008).

L’illustrata linea interpretativa si rivela, inoltre, coerente con il raggio di tutela del Codice del Consumo, ben più ampio di quello consentito dal precedente quadro normativo in materia di contrasto alla pubblicità ingannevole, comprendendo esso tutte "le pratiche commerciali il cui intento diretto è quello di influenzare le decisioni di natura commerciale dei consumatori relative a prodotti" (considerando n. 7 della direttiva 2005/29/CE).

Il nuovo quadro di tutela offerta dal Codice del Consumo, viene infatti ad aggiungersi, da un lato, ai normali strumenti di tutela contrattuale e, dall’altro, a quelli derivanti dall’esistenza di specifiche discipline in settori oggetto di regolazione, come desumibile dall’art. 19 del Codice.

Con la conseguenza che le norme in materia di contrasto alle pratiche commerciali scorrette richiedono ai professionisti l’adozione di modelli di comportamento in parte desumibili da siffatte norme, ove esistenti, in parte dall’esperienza propria del settore di attività, nonché dalla finalità di tutela perseguita dal Codice, purché, ovviamente, siffatte condotte siano loro concretamente esigibili in un quadro di bilanciamento, secondo il principio di proporzionalità, tra l’esigenza di libera circolazione delle merci e dei servizi e il diritto del consumatore a determinarsi consapevolmente in un mercato concorrenziale (in tal senso, opera soprattutto il modello, di derivazione comunitaria, del c.d. consumatore medio).

Al riguardo, risulta configurabile una posizione di garanzia o dovere di protezione che incombe sui professionisti, con ciò volendo significare non già l’esistenza di una forma di responsabilità oggettiva, quanto di uno standard di diligenza particolarmente elevato, non riconducibile ai soli canoni civilistici di valutazione della condotta ed esteso ad una fase ben antecedente rispetto all’eventuale conclusione del contratto, ricomprendendo le pratiche commerciali oggetto di disciplina, come accennato, "qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori".

Il recepimento nell’ordinamento interno della Direttiva comunitaria 2005/29/CE ha, dunque rafforzato il ruolo dell’Autorità nella tutela amministrativa del consumatore, rendendola ben più incisiva e ampia di quella prevista in precedenza e limitata alla repressione della pubblicità ingannevole e comparativa. Per tale ragione, del resto, il D.Lgs. n. 146 del 2007, ha, contestualmente, rafforzato i poteri dell’Autorità, allineandoli a quelli tipici dell’azione amministrativa a tutela della concorrenza e rendendo altresì più severe le misure sanzionatorie.

Se, dunque, l’attribuzione alla società ricorrente della qualifica di professionista, con imputazione alla stessa della corresponsabilità della condotta in virtù della sua cointeressenza nella pratica, stante il vantaggio economico che trae dalla stessa, non risulta in contrasto con la disciplina di riferimento e con i criteri di imputazione dell’illecito di cui trattasi, con refluente infondatezza delle corrispondenti censure proposte, non è parimenti riscontrabile, nella fattispecie in esame, la denunciata contraddittorietà delle valutazioni formulate dall’Autorità laddove, pur affermando l’estraneità della ricorrente rispetto alla diffusione dei messaggi stante il suo ruolo di mero carrier, utilizza il vantaggio economico derivante dal medesimo ruolo di carrier come indice del suo coinvolgimento nella pratica commerciale scorretta.

Ed invero, il giudizio inerente la non corresponsabilità della ricorrente nella diffusione dei messaggi, in qualità di gestore di telefonia mobile, si basa sulla considerazione che la stessa ha rivestito il semplice ruolo di carrier, veicolando gli SMS sulla base di obblighi contrattuali nei confronti dei propri clienti e degli operatori di rete interconnessi, senza quindi svolgere alcun ruolo attivo nella predisposizione e diffusione dei messaggi.

L’imputazione della condotta alla società ricorrente è avvenuta, invece, nella qualità di assegnataria di archi di numerazione a sovrapprezzo, previo riscontro degli elementi fondanti la possibilità della sua qualificazione quale professionista, individuati nella cointeressenza e nel vantaggio economico derivante dalla condotta e dalla violazione degli obblighi di controllo derivanti dalla disciplina di regolazione del settore – su cui ci si soffermerà più avanti – e dell’onere di diligenza sulla stessa gravante.

Non viene, quindi in rilievo una contraddittoria valutazione del ruolo di carrier svolto dalla ricorrente che, se idoneo ad escludere la responsabilità della stessa nella diffusione dei messaggi, offre tuttavia un indice, in ragione del vantaggio economico che dallo svolgimento dello stesso scaturisce in virtù di accordi commerciali, per incardinare il coinvolgimento della stessa nella condotta e la sua corresponsabilità.

Il concreto ruolo svolto dalla ricorrente e la regolamentazione negoziale dei rapporti intercorrenti con i soggetti che hanno direttamente realizzato la condotta inerente la diffusione dei messaggi, risultano quindi essere stati correttamente valutati dall’Autorità al fine di delineare, nella complessa fattispecie illecita, l’ambito di responsabilità ascrivibile alla ricorrente ed i relativi criteri di imputazione, con un procedimento logico coerente con i principi sottesi alla disciplina dettata in materia di pratiche commerciali scorrette ed immune da profili di contraddittorietà.

Ulteriori censure vengono dalla ricorrente Telecom indirizzate avverso l’avvenuta imputazione dell’illecito – oltre che sulla base della esaminata sua cointeressenza diretta ed immediata all’interno del rapporto negoziale con i Centri Servizi, anche – sulla base della normativa regolamentare di riferimento.

Sulla base di tale normativa, secondo gli assunti ricorsuali, i titolari di numerazioni a sovrapprezzo sarebbero responsabili dei soli adempimenti di natura amministrativa e tecnica, mentre la commercializzazione del servizio ricadrebbe esclusivamente nella responsabilità del fornitore degli stessi, dovendo pertanto ritenersi responsabile della condotta unicamente i Centri Servizi che operano in piena autonomia, laddove gli assegnatari di numerazioni a sovrapprezzo sarebbero responsabili del solo trasporto ed instradamento dei messaggi, non potendo effettuare alcun controllo di tipo sostanziale sui servizi offerti e sul contenuto dei messaggi, con conseguente erronea applicazione del D.M. n. 145 del 2006 da parte dell’Autorità.

Giova, al fine di delibare in ordine alla descritta censura, brevemente richiamare le argomentazioni spese dall’Autorità in ordine alla individuazione degli obblighi comportamentali – segnatamente di controllo e di monitoraggio delle anomalie nell’utilizzo delle numerazioni a sovrapprezzo assegnate – gravanti sulla società ricorrente, in qualità di titolare di numerazioni non geografiche cedute a soggetti terzi, la cui riscontrata violazione concorre a delineare gli elementi costitutivi dell’illecito alla stessa imputato nella descritta qualità.

In tale direzione, occorre evidenziare come l’Autorità abbia individuato, nella disciplina regolamentare dettata dal D.M. n. 145 del 2006, una delle fonti da cui evincere la sussistenza di specifici obblighi, in capo alla ricorrente, nella qualità di prima assegnataria di numerazioni a sovrapprezzo, di controllo rispetto all’ideazione, predisposizione e commercializzazione di servizi su numerazioni "899" e ulteriori obblighi di informazione, trasparenza e riservatezza, nei confronti della clientela, nonché di controllo delle anomalie nell’utilizzo dei servizi a sovrapprezzo.

In particolare, la responsabilità della ricorrente è stata ricondotta al controllo che i soggetti assegnatari da parte del Ministero delle Comunicazioni di archi di numerazioni 899, sono chiamati ad effettuare, anche in caso di cessione a terzi di tali numerazioni, nei casi in cui venga riscontrata un’anomalia nell’utilizzo delle stesse.

Nel ritenere, quindi, la sussistenza di un obbligo non contrattuale di controllo sul corretto utilizzo delle numerazioni cedute – come evincibile dal complessivo quadro degli adempimenti posti a carico delle assegnatarie di numerazioni a sovrapprezzo dagli artt. 12, 13, 15 e 17 del D.M. n. 145 del 2006 – l’Autorità ha pertanto ravvisato un dovere di vigilanza o di monitoraggio in ordine ad eventuali anomalie dei dati di traffico sulle numerazioni assegnate, alla cui stregua parametrare l’onere di diligenza che ragionevolmente si può richiedere alle società assegnatarie, di cui, nella fattispecie, è stata accertata l’intervenuta violazione a fronte della esistenza di un evidente utilizzo improprio delle numerazioni cedute, come emergente dalla concentrazione, in un ridotto arco di tempo, di un considerevole numero di chiamate verso tali numerazioni interrotte immediatamente, a fronte di una durata media di tali tipi di chiamate di circa 6 minuti.

La responsabilità imputata alla ricorrente si sostanzia, quindi, nella mancata adozione di precauzioni relative ad utilizzi impropri delle numerazioni, come emergenti da fenomeni anomali, innalzando lo standard di diligenza ad un livello particolarmente elevato in considerazione della qualità soggettiva delle società prime assegnatarie delle numerazioni a sovrapprezzo e delle caratteristiche del servizio cui inerisce la pratica commerciale sanzionata.

In sostanza l’Autorità ha valorizzato una serie di disposizioni, relative alle modalità di espletamento dei servizi in questione, che prevedono puntuali obblighi informativi e di controllo a carico degli operatori a tutela dell’utente finale.

Nello specifico, l’articolo 12 – Informazioni obbligatorie – elenca tutte le informazioni che devono essere fornite prima della prestazione del servizio a sovrapprezzo, prevedendo la necessità di un consenso espresso dell’utente finale.

L’art. 13 esige che il servizio a sovrapprezzo venga erogato solo dopo l’esplicita accettazione da parte dell’utente finale.

L’articolo 15 – Fatturazione – prevede che il fornitore di servizi di comunicazione elettronica addebiti in fattura ai propri abbonati un prezzo complessivo comprendente il trasporto, l’instradamento, la gestione della chiamata e la fornitura delle informazioni o prestazioni, il cui importo massimo è fissato in 12,50 euro IVA esclusa.

L’articolo 17 – Dichiarazione – prevede che in caso di cessione in uso delle numerazioni a centri servizi l’operatore titolare debba comunicare al Ministero delle Comunicazioni i numeri interessati allegando la dichiarazione con data e firma del legale rappresentante del centro servizi contenente una serie di elementi tra cui, in particolare, l’indicazione dei fornitori di informazioni o prestazioni di cui il Centro servizi si avvale e la descrizione del servizio a sovrapprezzo che intende fornire.

Gli operatori titolari della numerazione sono inoltre tenuti a verificare la completezza e la correttezza dei dati riportati nella dichiarazione e a non attivare i numeri ceduti in uso ovvero le infrastrutture prima di trenta giorni dalla data di riscontro del ricevimento della dichiarazione da parte del Ministero delle comunicazioni.

Infine, l’articolo 18 – Responsabilità – individua le responsabilità imputabili ai diversi soggetti coinvolti, a vario titolo, nella prestazione al pubblico dei servizi a sovrapprezzo. Per quanto qui interessa: (i) il centro servizi, ovvero il fornitore dei contenuti, se diverso dal centro servizi, vengono considerati responsabili del contenuto dei servizi a sovrapprezzo e del rispetto delle prescrizioni relative alle informazioni obbligatorie (articolo 12), alla erogazione e durata del servizio (articolo 13), alla tassazione dei servizi (articolo 15 comma 4), nonché alla dichiarazione prevista dall’articolo 17; (ii) il fornitore di servizi di comunicazione elettronica è responsabile del trasporto, dell’instradamento, della gestione della chiamata e dell’osservanza delle disposizioni relative alla fatturazione (articolo 15), al blocco selettivo di chiamata (articolo 19), nonché ai servizi internazionali (24, comma 2);

(iii) l’operatore titolare della numerazione è responsabile dell’osservanza delle disposizioni relative alle condizioni economiche dell’offerta (articolo 14), dell’uso delle numerazioni e delle infrastrutture (articolo 16), della dichiarazione prevista dall’articolo 17, e delle sanzioni per i centri servizi (articolo 21, comma 5).

Il sopra illustrato quadro regolamentare, nel delineare l’assetto dei rapporti tra le parti, consente quindi il riscontro, in capo alle assegnatarie di numerazioni a sovrapprezzo, di ulteriori obblighi di controllo e di vigilanza per i casi di anomalia nel loro utilizzo.

Né le descritte valutazioni effettuate dall’Autorità appaiono in contrasto – contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente – con la disciplina recata dal D.M. n. 145 del 2006, ed in particolare con le previsioni di cui all’art. 18 dello stesso, che pone a carico dei Centri Servizi la responsabilità del contenuto dei servizi a sovrapprezzo, mentre per i fornitori di comunicazione elettronica è prevista la responsabilità per l’instradamento e la gestione della chiamata.

Trattasi, difatti, di disposizione che, nel delineare una responsabilità diretta dei Centri Servizi per il contenuto dei servizi, non esaurisce gli ambiti di responsabilità o di corresponsabilità di altri soggetti in ordine a pratiche che assumono rilievo ai sensi della più ampia disciplina dettata dal Codice del Consumo, non potendo il riparto di responsabilità ivi stabilito tra Centri Servizi e società che svolgono il ruolo di intermediazione tecnica essere considerato l’unica fonte, compiuta ed esclusiva, delle responsabilità connesse all’utilizzo delle numerazioni a sovrapprezzo, venendo la disciplina di regolazione di settore completata da quella dettata a tutela del consumatore.

Nessuna erronea omessa considerazione della disposizione di cui all’art. 18 del citato Regolamento risulta, quindi, imputabile all’Autorità, la quale ha fatto corretto ricorso alla nozione di professionista discendente dall’art. 18 del Codice del Consumo ed ha enucleato il raggio di estensione degli oneri ricadenti sulle società prime assegnatarie sulla base dei meccanismi regolatori dei rapporti tra le stesse ed i cessionari delle numerazioni, ravvisando la sussistenza di un obbligo di controllo che si sostanzia nell’adozione di idonee misure e precauzioni a fronte del verificarsi di anomalie connesse all’utilizzo improprio delle numerazioni cedute.

Il riferimento al D.M. n. 145 del 2006 risulta, quindi, funzionale alla perimetrazione dell’elevato standard di diligenza richiesto ai professionisti nei settori oggetto di regolazione, anche nella considerazione – riferita nel gravato provvedimento – della conoscenza, da parte delle società assegnatarie, dei fenomeni dello spamming e del fenomeno di invio di messaggi phishing, ovvero di aggancio al solo fine di invitare i consumatori a chiamare numeri a sovrapprezzo, come peraltro riconosciuto dalla stessa società ricorrente, che illustra anche le iniziative di contrasto nel tempo adottate.

Il procedimento in esame costituisce, pertanto, un esempio di come il nuovo quadro di tutela offerta dal Codice del Consumo venga ad aggiungersi, da un lato, ai normali strumenti di tutela contrattuale e, dall’altro, a quelli derivanti dall’esistenza di specifiche discipline in settori oggetto di regolazione (cfr., al riguardo, l’art. 19 del Codice), richiedendo le norme in materia di contrasto alle pratiche commerciali scorrette ai professionisti l’adozione di modelli di comportamento in parte desumibili da siffatte norme, ove esistenti, in parte dall’esperienza propria del settore di attività, nonché dalla finalità di tutela perseguita dal Codice, configurandosi al riguardo, come dianzi accennato, una posizione di garanzia o dovere di protezione che si sostanzia in uno standard di diligenza particolarmente elevato che abbraccia canoni di valutazione provenienti da fonti diverse ed eterogenee, con esclusione comunque di forme di responsabilità oggettiva di imputazione delle pratiche scorrette.

Il tenore delle censure ricorsuali articolate sul punto necessita di puntualizzare che l’obbligo di controllo ricadente sulla ricorrente, come delineato dall’Autorità, non è indirizzato al contenuto dei messaggi oggetto della pratica sanzionata -dovendo in proposito concordarsi con le affermazioni di parte ricorrente circa la preclusione, anche ai sensi del citato D.M., all’esercizio di forme di controllo sostanziale sulle attività svolte dai Centri Servizi – ma è indirizzato alla verifica ed al monitoraggio circa il manifestarsi di utilizzi anomali delle numerazioni, a fronte dei quali adottare ogni possibile precauzione e misura di contrasto.

I riscontrati obblighi ricadenti sulla ricorrente si sostanziano, peraltro, in un comportamento ragionevolmente esigibile in capo alle società prime assegnatarie di numerazioni a sovrapprezzo, avendo esse i mezzi e la possibilità di effettuare un monitoraggio sull’andamento dell’utilizzo delle numerazioni al fine di riscontrarne eventuali anomalie, così da evitare abusi ai danni dei consumatori.

Peraltro, è la stessa società ricorrente che afferma che, a prescindere dal caso di specie, svolge una intensa attività per cercare di prevenire ed arginare i descritti fenomeni, attivandosi in caso di picchi anomali di traffico, con la conseguenza che non sono ravvisabili preclusioni obiettive che possano esonerarla da responsabilità con riferimento al caso di specie, rispetto al quale le valutazioni effettuate dall’Autorità appaiono ragionevoli e rispondenti al quadro normativo di riferimento.

Inoltre, giova evidenziare che con riferimento al medesimo procedimento la Sezione si è già pronunciata – con sentenza n. 5628 del 2009 adottata su ricorso di altro soggetto destinatario di sanzione irrogata con il medesimo provvedimento in questa sede impugnato – affermando che, senza ingerirsi nell’attività di impresa del partner commerciale, la società assegnataria di numerazioni a sovrapprezzo avrebbero comunque dovuto dotarsi di idonei sistemi di monitoraggio e, in caso di anomalie, richiedere informazioni al Centro Servizi ovvero ancora sollecitare l’intervento delle competenti Amministrazioni, ritenendo altresì che tali iniziative rientrino nella sfera di controllo tecnico – giuridico della società e che "la condotta positiva indicata dall’Autorità – consistente nell’obbligo di verifica da parte della società della corretta gestione delle numerazioni di cui ha la disponibilità, con ogni mezzo idoneo – appare in sé pienamente rispondente al canone di diligenza professionale stabilito dal Codice, definito come "il normale grado della specifica competenza ed attenzione che ragionevolmente i consumatori attendono da un professionista nei loro confronti rispetto ai principi generali di correttezza e di buona fede nel settore di attività del professionista" (art. 18, comma 1, lett. h)", ricordando come "in settori caratterizzati da continua evoluzione tecnologica, vi è il naturale innalzamento del gap di asimmetria informativa tra consumatore e professionista, e che, pertanto, ad esso, l’onere di diligenza gravante sull’impresa deve essere costantemente adeguato (cfr., tra le prime pronunce rese in materia, dalla Sezione, la sentenza 9 aprile 2009, n. 3722)."

Non meritano, quindi, favorevole esame le argomentazioni di parte ricorrente circa l’insussistenza di oneri, gravanti sulla stessa, di vigilanza sulle anomalie nell’utilizzo del servizi a sovrapprezzo, essendo invece gli stessi enucleabili alla luce della regolazione di settore e dello standard di diligenza richiesto, in misura particolarmente elevata, dalle caratteristiche del servizio cui si riferisce la condotta sanzionata e delle qualità soggettive del professionista, dovendo ricordarsi che l’ambito di estensione dell’obbligo di diligenza – costituente clausola generale – va commisurato sia alle qualità del professionista che al settore di riferimento, trattandosi di criterio elastico da sostanziare in relazione alle singole fattispecie, coerentemente con le finalità di tutela sottese alla disciplina dettata dal Codice del Consumo, salvo il limite inerente la concreta possibilità di pretendere da parte del professionista l’assolvimento dei relativi oneri, e ciò in puntuale applicazione della definizione della diligenza recata dal Codice all’art. 18, comma 1, lett. h), quale normale grado della specifica competenza ed attenzione che ragionevolmente i consumatori attendono da un professionista nei loro confronti rispetto ai principi generali di correttezza e di buona fede nello specifico settore di attività del professionista.

Con riferimento alla fattispecie in esame, deve, conseguentemente, ritenersi la sussistenza di una omissione rilevante ai fini della ascrizione di una responsabilità a titolo soggettivo allorquando il professionista non dimostri di avere posto in essere un sistema di vigilanza e di monitoraggio effettivo sulle anomalie dei servizi, anche se realizzate e diffuse da soggetti terzi, anch’essi interessati alla pratica commerciale, non essendo sufficiente ad escludere la responsabilità da omesso controllo la mancata espressa previsione di un obbligo in tal senso, essendo lo stesso desumibile, alla stregua di quanto dianzi detto, dalla regolazione di settore e dallo specifico standard di diligenza richiesto.

La superiore ricostruzione dell’ambito di estensione dell’onere di diligenza gravante sulla società ricorrente, nella ricordata qualità, non viene scalfita dalla circostanza, invocata da parte ricorrente, dell’avvenuta conformazione del proprio comportamento alla disciplina di settore, puntualmente recepita nella disciplina negoziale intercorrente con i Centri Servizi.

Come affermato dalla giurisprudenza della Sezione (ex plurimis: T.A.R. Lazio Roma, Sez. I, 25 marzo 2009 n. 4490; 3 giugno 2010, n. 14856) le discipline speciali di settore si pongono in rapporto di complementarietà e non di alternatività rispetto al Codice del consumo, in ragione della diversità degli interessi pubblici sottostanti istituzionalmente tutelati dalle Amministrazioni rispettivamente competenti, con la conseguenza che le relative previsioni hanno lo scopo di individuare, sulla base di elementi oggettivi, lo standard di diligenza richiesto alla società nelle condotte ivi oggetto di regolazione.

Tale standard, tuttavia, non costituisce l’unico parametro cui riferire la diligenza richiesta dal professionista ai sensi del Codice del Consumo, non mirando le previsioni di settore alla tutela specifica del consumatore ed al perseguimento delle finalità sottese al Codice del Consumo.

In proposito, va inoltre ricordato, nel senso di escludere che sulla base della direttiva 2005/29/CE possa desumersi una diminuzione del grado di tutela legislativa riconosciuta al consumatore, sbilanciandone il baricentro e la visuale prospettica verso le normative settoriali, che la Sezione è granitica nel riconoscere che la normativa nazionale, di derivazione europea, posta a tutela del consumatore e della concorrenza, ha trovato un decisivo arricchimento a seguito dei decreti legislativi n. 145 e n. 146 del 2007, rispettivamente destinati ai rapporti tra professionisti ed alle pratiche intraprese da questi ultimi con i consumatori, che hanno recepito proprio la direttiva n. 2005/29/CE.

In particolare, il D.Lgs. n. 146 del 2007, intervenuto direttamente sul Codice del Consumo, con la sostituzione degli artt. 1827 del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 e l’introduzione di una normativa generale sulle pratiche commerciali scorrette, ha abbandonato il precedente, specifico riferimento alla sola pubblicità ingannevole e comparativa, per giungere ad abbracciare una disciplina di portata più ampia, riferibile, sotto il profilo oggettivo, ad ogni azione, omissione, condotta, dichiarazione e comunicazione commerciale, ivi compresa la pubblicità, posta in essere da un professionista prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa ad un prodotto (artt. 18 e 19 del codice), così notevolmente allargando il campo delle condotte sanzionabili.

Non sono, inoltre, riscontrabili, nel provvedimento impugnato, i denunciati profili di contraddittorietà con le determinazioni assunte dall’Autorità nel procedimento PI5374, nel corso del quale non è stata ravvisata la responsabilità della società ricorrente, stante la diversità degli elementi di fatto di rilievo che connotano tale procedimento e, in particolare, la non appartenenza alla ricorrente della numerazione figurante come mittente del messaggio.

Peraltro, deve in proposito richiamarsi l’autonomia di ogni singolo procedimento volto all’accertamento di profili di scorrettezza di pratiche commerciali diverse, potendo il denunciato profilo di contraddittorietà trovare favorevole esame solo in presenza di una completa sovrapponibilità delle singole fattispecie.

Avuto riguardo al parametro di asserita illegittimità della gravata determinazione, riferito alla circostanza che l’Autorità per le Garanzie nella Comunicazioni ha ritenuto gli estremi di una pratica commerciale scorretta unicamente con riguardo alla diffusione dei messaggi spamming, osserva il Collegio come, in linea generale, non essendovi coincidenza tra l’ambito e le finalità di tutela apprestati da discipline di settore e quelli sottesi al Codice del Consumo, il quale introduce un nuovo quadro di tutela che si aggiunge ai normali strumenti di tutela, nonché a quelli derivanti dall’esistenza di diverse e specifiche discipline di settore, la conformità di una pratica commerciale alle prescrizioni dettate da altri organi e l’assolvimento degli oneri di informazione e di trasparenza che informano uno specifico settore, non escludono la possibilità di configurare una pratica come scorretta.

Ciò in ragione della specificità degli interessi pubblici protetti dal Codice del Consumo e della complementarietà, rispetto ad esso, dei distinti apparati normativi disciplinanti determinati settori, perseguendo le relative norme diverse e complementari finalità.

In tale prospettiva, essendo l’attività dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato volta alla protezione del consumatore e degli interessi concorrenziali delle imprese, l’applicazione della normativa di carattere generale in materia di tutela dei consumatori non trova ostacoli nell’esistenza di specifiche discipline di settore o nelle determinazione di altre Autorità, con la conseguenza che lo standard di diligenza ricadente sul professionista va parametrato al bene tutelato dalla disciplina da applicare, coerentemente con le finalità della stessa.

Consegue da ciò che l’eventuale conformità della condotta sanzionata ai parametri utilizzati da altre Autorità di settore non è idonea ad attestare l’assolvimento degli oneri di diligenza imposti dal Codice del Consumo, da valutarsi alla luce delle diverse finalità di tutela allo stesso sottese, non potendo le valutazioni di un organo diverso elidere le specifiche competenze e natura dell’intervento dell’Autorità.

Delibata, alla luce delle considerazioni sin qui illustrate, l’infondatezza delle censure proposte avverso le valutazioni effettuate dall’Autorità circa la corresponsabilità della società ricorrente in ordine alla condotta sanzionata, la disamina rimessa al Collegio deve indirizzarsi alle doglianze mosse avverso la determinazione della sanzione irrogata alla ricorrente.

Sotto un primo profilo, nel riferire come il giudizio di gravità della condotta sia stato formulato dall’Autorità anche in relazione alla ingannevolezza del contenuto dei messaggi, lamenta parte ricorrente la mancata considerazione del diverso ruolo e contributo dalla stessa rivestito, significando in proposito – come peraltro riconosciuto dall’Autorità – di non aver partecipato alla creazione e diffusione di tali messaggi.

Le censura merita favorevole esame.

La gravità della violazione – per come leggesi nel gravato provvedimento – è stata ricondotta alla tipologia dell’ingannevolezza del messaggio, alle omissioni informative ivi riscontrate e al settore, inerente i servizi di telefonia, al quale l’offerta di servizi si riferisce, rispetto al quale l’obbligo di completezza e chiarezza delle informazioni veicolate è ritenuto – correttamente, ad avviso del Collegio, per quanto dianzi già illustrato – particolarmente stringente, anche in considerazione dell’asimmetria informativa esistente tra professionista e consumatore, dovuta al proliferare dell’offerta di servizi innovativi.

La valutazione della gravità della violazione è stata, altresì, formulata in ragione del significativo impatto della pratica commerciale che, realizzata attraverso l’invio di un messaggio tramite SMS risulta suscettibile di aver raggiunto un numero molto elevato di consumatori., nonché sulla base dell’entità del pregiudizio commisurato all’onere economico gravante sull’utente finale, trattandosi di numerazioni a sovrapprezzo a tariffa flat pari a 15 euro IVA inclusa.

In proposito, rileva il Collegio che, se correttamente la gravità della pratica è stata valutata con riferimento alle caratteristiche intrinseche della stessa, avuto particolare riguardo ai profili di ingannevolezza riscontrati, all’impatto della stessa ed al conseguente pregiudizio per i consumatori, appare tuttavia censurabile l’avvenuta applicazione di tale parametro di quantificazione della sanzione in modo indifferenziato ed automatico a tutti i soggetti ritenuti responsabili della pratica, senza effettuare alcuna ponderazione circa il ruolo dagli stessi svolto e, in definitiva, del titolo e del grado di responsabilità agli stessi ascrivibile.

L’Autorità ha difatti proceduto, nei confronti di Telecom Italia S.p.a., alla quantificazione della sanzione in euro 100.000 sulla base della durata della violazione, della sua personalità – quale principale operatore nel settore della comunicazione -, della sua dimensione economica e della gravità della violazione, come delineata con riferimento ai contorni oggettivi della pratica sanzionata.

Manca, quindi, a giudizio del Collegio, un ulteriore necessario passaggio valutativo volto ad individuare lo specifico ambito di responsabilità dei singoli soggetti coinvolti rispetto alla pratica sanzionata – correttamente qualificata nella sua gravità oggettiva – cui necessariamente va ulteriormente parametrata la quantificazione della sanzione, in modo da garantirne il carattere di proporzionalità rispetto al ruolo svolto ed al grado di responsabilità rivestito, non potendo un medesimo illecito essere parimenti imputato a tutti i soggetti coinvolti e ritenuti corresponsabili senza una adeguata ponderazione della responsabilità agli stessi addebitabile.

Se, invero, come sopra illustrato, trova ingresso nell’ambito delle pratiche commerciali scorrette il principio generale del concorso di persone nell’illecito amministrativo, in base al quale l’imputazione dell’illecito trova giuridico fondamento nell’accertamento, in concreto, del contributo fornito dal soggetto alla condotta, non può tuttavia prescindersi, nella determinazione della sanzione, dalla sua commisurazione al concreto apporto causale fornito dai singoli soggetti ed al grado di responsabilità, da graduare in relazione all’elemento soggettivo, ovvero al grado di colpa o di dolo, anche nella forma di dolo eventuale.

Vertendosi in materia di sanzioni amministrative, occorre difatti avere riguardo al complessivo sistema dettato dalla legge n. 689 del 1981 che, in tema di violazioni e sanzioni amministrative, preserva il principio della responsabilità personale, disciplinando rigorosamente i profili dell’imputabilità, dell’elemento soggettivo, delle cause di esclusione della responsabilità, del concorso di persone.

Ne consegue che l’applicazione della sanzione deve tener conto della gravità della condotta addebitata, da valutare non soltanto nella sua oggettività, ma anche con riferimento all’elemento soggettivo che può assumere i connotati del dolo o della colpa, al fine di parametrare la singola sanzione al grado di illiceità della infrazione alla stregua del principio di proporzionalità, dovendosi all’esito di tale iter valutativo differenziare le sanzioni sulla base dell’elemento soggettivo, e quindi della graduazione sia della colpa – a titolo omissivo o commissivo – che del dolo, e del relativo grado di responsabilità.

Posto che, nella fattispecie in esame, la corresponsabilità della società ricorrente è stata ancorata alla riscontrata mancata ottemperanza ad obblighi di controllo e di vigilanza che compongono lo standard di diligenza pretendibile in capo alla stessa, l’Autorità avrebbe dovuto commisurare la sanzione da applicare allo specifico ruolo che, per come accertato nel gravato provvedimento, essa ha concretamente rivestito, laddove, invece, risulta del tutto omessa qualsiasi valutazione in ordine allo specifico coinvolgimento nella pratica dei vari soggetti sanzionati, procedendo alla determinazione delle sanzioni irrogate a ciascuno di essi sulla base di una generalizzata ed indifferenziata applicazione – oltre che della personalità, della dimensione economica e della durata – del medesimo criterio della gravità della violazione che, come accennato, vale a connotare la condotta nella sua oggettiva rilevanza, ma non è di per sé idonea ad individuare il grado di responsabilità dei soggetti stessi, ed alla quale va necessariamente affiancata una specifica valutazione dell’elemento soggettivo dell’illecito e del grado di responsabilità.

Ed invero, la complessa condotta sanzionata è risultata imputabile ad una pluralità di soggetti a vario titolo coinvolti, rispetto ai quali risulta improprio e contrario al principio di proporzionalità un indiscriminato addebito di responsabilità, in ordine alla quantificazione della sanzione, senza che la stessa sia invece riferita alla condotta posta concretamente in essere dai soggetti coinvolti, nella specie di fatti illeciti omissivi o commissivi, che ne hanno determinato la causazione.

La soggezione alla sanzione non può discendere – contrariamente a quanto affermato da parte resistente – da una valutazione unitaria della gravità dell’infrazione, essendo necessaria una ulteriore ascrizione dell’illecito, ai fini della determinazione della sanzione, allo specifico titolo di responsabilità ed accertamento del grado di colpa che, con riferimento alla società ricorrente, si concreta nella negligente osservanza del dovere di controllo e di vigilanza, a differenza – giova evidenziare – dei Centri Servizi che si sono occupati materialmente dei contenuti dei messaggi e ritenuti responsabili della ideazione e diffusione degli stessi.

Aggiungasi che l’Autorità, pur non avendo riconosciuto, in sede di valutazione della fattispecie, la società ricorrente responsabile per il contenuto dei messaggi, così delimitando il diverso ruolo e contributo della stessa nella realizzazione della pratica, non ne ha, invece, tenuto conto nella fase di quantificazione della sanzione, fissata in importi diversi per i vari soggetti coinvolti sulla base della indifferenziata applicazione del medesimo criterio inerente la gravità della condotta – come riscontrata dall’Autorità – utilizzata indistintamente per tutti i destinatari delle sanzioni irrogate.

Rinviando – per ragioni di logica espositiva – la valutazione delle conseguenze da trarsi dalle suesposte considerazioni circa la fondatezza della esaminata doglianza, al completamento della disamina delle censure ricorsuali proposte avverso la quantificazione della sanzione, e procedendo quindi nella trattazione delle censure proposte, rileva il Collegio, quanto alle contestazioni mosse avverso le valutazioni effettuate dall’Autorità con riferimento all’impatto della pratica – che, secondo parte ricorrente, non potrebbe prescindere dalla effettiva e concreta idoneità della stessa a falsare il comportamento economico del consumatore – che l’Autorità ha correttamente considerato tale profilo laddove afferma che la pratica ha avuto un significativo impatto in quanto realizzata attraverso un SMS suscettibile di aver raggiunto un numero molto elevato di consumatori, previo puntuale riscontro del carattere di ingannevolezza della pratica stessa.

Aggiungasi, alla rilevata correttezza della valutazione espressa sul punto dall’Autorità, che risulta coerente con la tipologia del mezzo di comunicazione e con le risultanze istruttorie, che l’effettiva incidenza della pratica commerciale scorretta sulle scelte dei consumatori non costituisce elemento idoneo ad elidere o ridurre i profili di scorrettezza della stessa e ciò in ragione della struttura dell’illecito in esame.

Difatti, l’illiceità della condotta, al fine di assumere rilevanza ai sensi delle disposizioni del Codice del Consumo, non deve dimostrare una concreta attuazione pregiudizievole per le ragioni dei consumatori, quanto, piuttosto, una potenzialità lesiva per le scelte che questi ultimi devono poter porre in essere fuori da condizionamenti o orientamenti decettivi.

Il che consente di ascrivere la condotta nel quadro dell’illecito non già di danno, ma di mero pericolo in quanto riferito a condotte intrinsecamente idonee a condurre alle conseguenze che la disciplina di legge ha inteso, invece, scongiurare (ex plurimis: TAR Lazio – Roma – Sez. – I – 22 novembre 2010 n. 33791; 8 aprile 2009 n. 3722; 8 settembre 2009 n. 8399 e n. 8394).

Gli effetti della condotta, si pongono, in definitiva, al di fuori della struttura dell’illecito, atteso che la normativa in materia non ha la mera funzione di assicurare una reazione alle lesioni arrecate dalle pratiche scorrette agli interessi patrimoniali del consumatore, ma si colloca su un più avanzato fronte di prevenzione, essendo tesa ad evitare effetti dannosi anche soltanto ipotetici.

Gli effetti della condotta possono, semmai, assumere significatività quale elemento aggravante, laddove il comportamento ascrivibile all’operatore abbia avuto diffuse ricadute pregiudizievoli nell’ambito dei consumatori, essendo da tale circostanza desumibile con ogni evidenza la grave inadeguatezza del comportamento posto in essere da quest’ultimo a fronte del paradigma di diligenza cha la normativa di riferimento ha posto quale essenziale parametro di valutabilità della condotta.

Per la configurazione dell’illecito non è, pertanto, necessario che l’Autorità analizzi e basi il proprio giudizio sui concreti effetti pregiudizievoli prodotti dalla pratica commerciale, essendo invece sufficiente che, sulla base di un giudizio prognostico, la stessa sia ritenuta idonea ad incidere potenzialmente sulle scelte dei consumatori (ex plurimis: TAR Lazio – Roma – Sez. I – 21 settembre 2009 n. 9083).

Parimenti destituite di fondamento devono ritenersi le argomentazioni di parte ricorrente volte a censurare le valutazioni effettuate dall’Autorità con riferimento alla durata della pratica, qualificata "lunga" e riferita al periodo intercorrente tra ottobre 2007 e aprile 2008.

In proposito, non avendo parte ricorrente mosso puntuali contestazioni con riferimento all’indicato periodo cui è stata ascritta la durata della pratica, non risulta invero comprensibile l’interesse sotteso alle doglianze rivolte avverso la mera qualificazione della pratica, definita come lunga, trattandosi di elemento che risulta irrilevante laddove la durata è stata esattamente delimitata.

Avuto riguardo ai denunciati profili di irragionevolezza della sanzione irrogata, come riferiti alla diversa determinazione assunta dall’Autorità nel procedimento PI5374, in cui era coinvolta anche la società ricorrente, conclusosi con l’esclusione di ogni responsabilità della stessa in ordine alla pratica oggetto di indagine, è sufficiente riportarsi a quanto più sopra illustrato con riferimento alla non sovrapponibilità delle fattispecie, ferma restando, in linea generale, la preclusione alla suggerita indagine comparativa, che presupporrebbe una non percorribile verifica della completa identità delle condotte sanzionate.

Quanto alla censurata mancata considerazione, da parte dell’Autorità, nella determinazione della sanzione, delle iniziative assunte dalla ricorrente al fine di contrastare il fenomeno fraudolento, giova ricordare che l’art. 27, comma 9, del D.Lgs. n. 206 del 2005 prevede che, con il provvedimento che vieta la pratica commerciale scorretta, l’Autorità dispone l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 500.000 euro, tenuto conto, in quanto applicabili, dei criteri individuati dall’articolo 11 della legge n. 689 del 1981, richiamato dal comma 13 del citato articolo, ed in particolare, della gravità della violazione, dell’opera svolta dall’impresa per eliminare o attenuare l’infrazione, della personalità dell’agente, nonché delle condizioni economiche dell’impresa stessa.

Con riferimento alla valenza attenuante da tributare all’opera svolta dal responsabile della condotta per eliminare o attenuare gli effetti dell’infrazione, osserva il Collegio che, a fronte dell’avvio del procedimento in data 13 febbraio 2008, è stata disposta dall’Autorità, in data 15 maggio 2008, la sospensione cautelare dell’attivazione dei servizi a valore aggiunto, con la conseguenza che le misure spontaneamente adottate dalla ricorrente non appaiono potersi fare rientrare nell’ambito di quel ravvedimento operoso avente rilievo ai fini della determinazione della sanzione, essendo gli effetti della condotta cessati per effetto dell’intervento cautelare dell’Autorità e dovendo ascriversi le misure di contrasto al fenomeno assunte dalla ricorrente alla conformazione del proprio comportamento a quell’onere di diligenza di cui è stata riscontrato l’avvenuto inadempimento.

Traendo, quindi, le dovute conclusioni dalle considerazioni sin qui illustrate, il ricorso deve essere in parte accolto, limitatamente al riscontrato profilo di fondatezza della censura proposta avverso la quantificazione della sanzione, per essere la stessa stata determinata senza previa ponderazione dell’elemento soggettivo, del ruolo svolto dalla ricorrente e dell’ambito e graduazione della sua responsabilità, da cui consegue il doversi procedere, in applicazione dell’art. 134, comma 1, lettera c), del codice del processo amministrativo, alla riduzione della sanzione nella misura, ritenuta congrua e proporzionata rispetto agli elementi di rilievo della fattispecie e rispondente ai criteri di cui all’art. 11 della legge n. 689 del 1981, di euro 30.000, con conseguente rideterminazione della sanzione da irrogarsi alla società ricorrente nella misura complessiva di euro 70.000.

Consegue, conclusivamente, alla luce di tutto quanto sopra illustrato, l’accoglimento, sotto l’indicato profilo, del ricorso in esame, con conseguente annullamento parziale della gravata delibera limitatamente alla determinazione della sanzione pecuniaria irrogata, per l’effetto procedendosi alla sua rideterminazione nella misura di euro 70.000, rigettando il ricorso quanto al resto.

Sussistono giusti motivi, in ragione del parziale accoglimento del ricorso, per disporre la compensazione tra le parti delle spese del giudizio.
P.Q.M.

Definitivamente pronunciando sul ricorso N. 925/2009, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, rideterminando la sanzione nella misura ivi prevista.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Giovannini, Presidente

Roberto Politi, Consigliere

Elena Stanizzi, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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