Cass. civ. Sez. III, Sent., 24-07-2012, n. 12891 Affitto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Vallo della Lucania – sezione agraria- , cui era stata devoluta per competenza territoriale la controversia instaurata da G.S. nel confronti della Curatela Fallimento A. S., e tendente ad ottenere il pagamento della indennità per i miglioramenti arrecati al fondo di cui era coltivatore e di proprietà dell’ A., il 3 maggio 2006 rigettava la domanda e compensava tra le parti le spese di lite, ponendo, però, a carico del G. quelle della CTU. Su gravame del G. la Corte di appello di Salerno-sezione agraria-il 27 marzo 2007 confermava la sentenza di prime cure.

Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione il G., affidandosi a nove motivi.

Resiste con controricorso la Curatela Fallimento A.S..

Su istanza di trattazione L. 12 novembre 2011, n. 183, ex art. 26, il ricorso è stata fissato per l’odierna pubblica udienza.

A.S. si è costituito con procura notarile e dall’atto di costituzione risulta che il Fallimento si è chiuso il 29 febbraio 2011.

Il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione

Osserva il Collegio che i motivi primo, secondo, quarto, quinto, quinto bis per la loro interconnessione possono essere esaminati congiuntamente.

1.-Con il primo (violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e della L. n. 203 del 1982, art. 17 e dell’art. 1362 c.c. – rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3); con il secondo (ancora violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., nonchè del citato art. 1362 c.c. in comb. disp. con gli artt. 1322 e 1346 c.c., in relazione alla L. n. 203 del 1982, art. 16, comma 2, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3); con il quarto (violazione e/o falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, artt. 16 e 17, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3); con il quinto (violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – error in procedendo rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4); con il quinto bis (vizio di motivazione circa un fatto decisivo della controversia-fattispecie rilevante ai fini della cassazione in base all’art. 360 c.p.c., n. 5), in buona sostanza il ricorrente lamenta:

a) che il giudice dell’appello avrebbe errato nell’interpretare la scrittura datata 30 ottobre 1971, non esaminandone il contenuto sulla base del canone ermeneutica della comune intenzione delle parti;

b) che quanto previsto nel contratto circa la precisione di impianti di "produzione di essenze fruttifere" sarebbe inidoneo a soddisfare il requisito della specificità dell’autorizzazione, in quanto l’accordo previsto dalla L. n. 203 del 1982, art. 16, non sarebbe vincolato a formule sacramentali e, quindi, si sarebbe dovuto privilegiare l’autonomia delle parti;

c)che in base all’art. 16 della citata legge, in caso di disaccordo tra le parti, non vi sarebbe la necessità della specificazione circa la natura, le caratteristiche e le finalità delle opere, ossia sarebbe sufficiente il mero consenso preventivo anche non concretante una autorizzazione specifica;

d) che il giudice dell’appello, dopo avere riconosciuto la sussistenza di una parte dei miglioramenti si sarebbe contraddetto nel non ritenere sussistente l’autorizzazione.

2.-Onde rispondere a queste censure, che possono ritenersi vari profili di una unica doglianza, ossia che il giudice dell’appello avrebbe fatto malgoverno delle risultanze documentali (scrittura del 30 ottobre 1971; dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà del 16 dicembre 1997 resa dall’ A.; atto transattivo del 27 giugno 1990 con cui il Fallimento aveva fatto propri i miglioramenti arrecati dal conduttore), il Collegio osserva quanto segue.

Dal punto di vista formale va detto che ci si trova in presenza di un "frazionamento" di un unico motivo di doglianza, ossia l’erronea valutazione del materiale probatorio.

Posto in questi termini, che sono evidenti dalla stessa impostazione delle formulate censure, la doglianza va disattesa.

Di vero, ad una attenta lettura dell’argomentare del giudice dell’appello ci si rende subito conto che in nessuna violazione dei canoni ermeneutici nè in nessun vizio motivazionale è incorsa la sentenza impugnata.

Infatti, il giudice dell’appello ha ritenuto la scrittura del 30 ottobre 1971, intercorsa tra il concedente del fondo – l’ A. – e il conduttore dello stesso – il G. – come scrittura generica ed inidonea a costituire consenso preventivo ai miglioramenti da apportare al predio agricolo, perchè non contenente l’analitica descrizione dei miglioramenti concordati e "a tutto concedere" (p. 7 sentenza impugnata) nulla vi si dice per gli ulteriori miglioramenti dei quali il G. ha richiesto il rimborso con l’originario ricorso introduttivo in primo grado, tanto che nemmeno il CTU ne fa cenno nella relazione depositata il 20 settembre 2003.

A questa valutazione segue, poi, l’esame della dichiarazione sostitutiva resa dall’ A. il 16 dicembre 1997, in cui le opere erano descritte dettagliatamente, ma che correttamente è stata ritenuta inidonea a supplire la genericità del consenso sia perchè redatta in epoca molto successiva al fallimento dell’ A., dichiarato nel 1988, sia perchè non opponibile alla curatela nè ai creditori, sia perchè proveniente dal fallito con cui questi ha tentato di costituirsi la prova di un fatto pregiudizievole al ceto creditorio, sia perchè si tratterebbe di un consenso ex post, mentre, invece, il consenso deve essere preventivo (e richiami a giurisprudenza di questa Corte Cass. n. 22667/04; Cass. n. 591/01).

Non solo, ma il giudice dell’appello si è fatto carico di esaminare la prospettazione del G. secondo cui il Fallimento avrebbe fatto acquiescenza alla sentenza del Tribunale di Salerno del 2000 e dalla sua lettura ha dedotto che si trattava di una decisione che chiudeva una controversia avente oggetto diverso da quello di cui si disputava avanti a sè, trattandosi di indennità di esproprio (p. 9 sentenza impugnata).

Se questa è la motivazione della sentenza impugnata non vi è dubbio che il giudice dell’appello ha tenuto presenti gli elementi documentali; li ha esaminati seguendo il consueto metodo interpretativo e, nel suo insindacabile giudizio perchè logicamente e congruamente motivato, ha ritenuto infondato il gravame.

Il tutto, in linea con la giurisprudenza di questa Corte, che va ribadita, secondo la quale:

a) il diritto all’indennità presuppone preventivo consenso del concedente (o in mancanza dell’autorizzazione dell’Ispettorato provinciale dell’agricoltura), che deve sostanziarsi in una manifestazione di volontà autorizzativa che specifichi la natura, le caratteristiche e le finalità degli interventi migliorativi, non risultando, perciò, sufficiente, ai fini della configurazione di tale requisito, una autorizzazione meramente generica per tipi e/o categorie di opere (Cass. n. 4606/06);

b) il consenso del concedente alla esecuzione dei miglioramenti, che non necessita di formula sacramentali e può essere anche tacito, deve in ogni caso precedere e non seguire la esecuzione delle opere, non potendo essere un consenso successivo, specie se a distanza di molti anni dalla dichiarazione del fallimento del concedente, come nella specie, per cui non viene meno ex tunc la illiceità della condotta dell’affittuario, ma eventualmente impedisce soltanto conseguenze pregiudizievoli al coltivatore come la risoluzione per inadempimento (Cass. n. 22667/04: Cass. n. 17772/05; Cass. n. 591/01;

Cass. n. 19789/11).

Ne consegue che le censure di cui sopra vanno respinte, non rinvenendosi nemmeno a fondatezza delle stesse la asserita violazione sub art. 112 c.p.c. 2.-Con il terzo motivo (violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. in comb. disp. artt. 1708, 1710, 1711 c.c., in relazione alla L. n. 203 del 1982, art. 16, comma 2, sempre rilevante ex art. 360 c.p.c., n. 3) il ricorrente assume che dalla scrittura del 1971 si evincerebbe che egli in realtà era un mandatario nell’ esecuzione dei miglioramenti, per cui il giudice dell’appello avrebbe dovuto valutare il suo comportamento secondo le norme che regolano il mandato. La censura è inammissibile.

In primis essa non sembra essere mai stata oggetto di discussione nelle fasi di merito, nè il ricorrente in questa sede ne indica o allega il quando e il se l’abbia prospettata in quelle fasi.

In secondo luogo, essa parte dal presupposto che la scrittura del 1971 si configurasse come "consenso preventivo": il che, come già considerato, è stato correttamente escluso dal giudice dell’appello.

In terzo luogo, la L. n. 203 del 1982, art. 16, è norma speciale ed autonoma rispetto alle norme sul mandato.

In quarto luogo, il diritto dell’ affittuario nella disciplina agraria è regolato dalle norme di cui alla L. n. 11 del 1971, artt. 1591, 29 (v. Cass. n. 8071/01 ) e non ha nulla da condividere con la normativa invocata dal ricorrente.

Infine, perchè una colta effettuati miglioramenti l’affittuario ha diritto ad una indennità (v. art. 17, comma 2 legge citata) che ha carattere risarcitorio (Cass. n. 6964/07; Cass. n. 2332/01).

3.-Con i motivi ( il sesto-violazione e/o falsa applicazione L. n. 203 del 1982, artt. 16 e 17; dell’art. 116 c.p.c. in relazione alla L. n. 15 del 1968, art. 4, nonchè degli artt. 2700 e 2702 c.c.;

della L. Fall., art. 42, e segg. – censure tutte ai fini dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, anche nelle sue specificazioni di cui al sesto bis e sesto ter), il ricorrente assume che la scrittura del 1971 sarebbe stata valorizzata dall’atto di notorietà sottoscritto dall’ A. il 1997 in epoca di gran lunga successiva alla dichiarazione di fallimento dello stesso A. e comunque esso atto varrebbe come riconoscimento di debito.

Infatti, e premesso che all’atto di notorietà va negato qualsiasi rilevanza (Cass. n. 10191/10), il complesso motivo va disatteso per la semplice ragione che non potendo il documento sanare la genericità del consenso originario, su cui si è ampiamente soffermato il giudice dell’appello e non potendo estendersi il suo contenuto a fatti compiuti in data anteriore alla sua formazione, correttamente il giudice del merito ha ritenuto inopponibile al ceto creditorio il documento stesso, stante, inoltre, la ostatività di cui alla L. Fall., art. 42, e segg., come ritiene specialistica dottrina.

4.-Con il settimo motivo (violazione e/o falsa applicazione art. 1736 c.c., comma 2 e art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; omessa o insufficiente motivazione circa un fatto decisivo della controversia – art. 360 c.p.c., n. 5 – error in procedendo – art. 360 c.p.c., n. 4) il ricorrente lamenta la mancata ammissione del giuramento suppletorio.

Il motivo è inammissibile (v. in merito Cass. 16157/04).

5. Con l’ottavo motivo (violazione e/o falsa applicazione dell’art. 420 c.p.c., comma 4, art. 421 c.p.c., comma 4, art. 437 c.p.c., comma 2, rilevante a termini di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3) il ricorrente si duole della mancata ammissione della prova testimoniale ritenuta tardiva ed inidonea a superare efficacemente la genericità della scrittura del 30 ottobre 1971 (p. 10 sentenza impugnata).

Anche questo motivo va disatteso per la semplice ragione che la prova richiesta, anche come trascritta nel ricorso in ossequio al principio di autosufficienza (p. 46 ricorso), appare effettivamente inidonea a neutralizzare la genericità del documento.

6.-Con il nono motivo (violazione e/o falsa applicazione della L. n. 2359 del 1865, art. 27, comma 3, e comunque della L. n. 865 del 1971, art. 17, rilevante ex art. 360 c.p.c., n. 3; ed ancora violazione e/o falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, artt. 16 e 17 – contraddittorietà della motivazione) il ricorrente lamenta che il giudice dell’appello per disconoscere la indennità per i miglioramenti si sia avvalso della circostanza che egli aveva già percepito una indennità di esproprio e l’accertamento in quella sede avrebbe dovuto far ritenere che la prescritta autorizzazione fosse stata comunque concessa.

La doglianza, che per il vero appare poco lineare nella sua formulazione, va disattesa.

Infatti, sul punto l’argomentare del giudice dell’appello non è affatto una ratio decidendi della motivazione, ma una ulteriore sottolineatura della inconferenza degli accertamenti compiuti in sede espropriativa per pubblica utilità rispetto alla controversia, come si evidenzia a p. 9 della sentenza impugnata.

Conclusivamente, il ricorso va respinto e le spese che seguono la soccombenza vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *