Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-01-2013) 22-02-2013, n. 8737

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 01/06/2012, la Corte di Appello di Assise di Catania confermava la sentenza pronunciata in data 12/07/2011 dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale della medesima città nella parte in cui aveva ritenuto M.D., Z. L. e G.A. colpevoli del delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen..

2. Avverso la suddetta sentenza, tutti i tre gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori, hanno proposto ricorso per cassazione.

3. Z.L. ha dedotto i seguenti motivi;

3.1. violazione della L. n. 203 del 1991, art. 7 per non avere la Corte motivato in ordine alla suddetta aggravante;

3.2. violazione degli artt. 62 bis – 133 cod. pen. per non avere la Corte ritenuto le concesse attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante, riducendo, quindi, la pena nonchè l’aumento per la continuazione.

4. M.D. e G.A., sebbene con due separati ricorsi, hanno dedotto i seguenti motivi:

4.1. violazione dell’art. 416 bis c.p. in quanto "gli elementi probatori" in atti non raggiungono la soglia di certezza probatoria richiesta dal combinato disposto degli artt. 192 e 533 cod. proc. pen. risolvendosi in generiche propalazioni di collaboratori di giustizia del tutto prive di concreto riscontro individualizzante".

4.2. violazione dell’art. 81 cod. pen. per non avere la Corte territoriale applicato la disciplina della continuazione tra la condotta di partecipazione al sodalizio mafioso denominato "Carateddi" e due fattispecie di rapina commesse da M. e una fattispecie di estorsione commessa da G. nell’interesse del medesimo consesso criminale, per come dichiarato dai collaboratori di giustizia C.N. e M.G. (quanto al M.) e F.V. (quanto al G.).

Motivi della decisione

1. Z..

1.1. Il ricorso è manifestamente infondato.

1.2. Quanto alla doglianza sub 1 (violazione della L. n. 203 del 1991, art. 7), va osservato che la suddetta aggravante – come risulta dal capo d’imputazione riportato nella sentenza impugnata – era stata contestata in relazione al reato di omicidio di V.F., imputazione dalla quale, però, l’imputato è stato assolto. Di conseguenza, non si comprende quale sia l’interesse del ricorrente a dolersi di un’aggravante in relazione ad un reato per il quale è stato assolto.

Va, in ogni caso, osservato che la stessa doglianza è stata dichiarata dalla Corte territoriale inammissibile per mancanza di motivi specifici (cfr pag. 21 della sentenza) e, avverso la suddetta motivazione, il ricorrente nulla ha dedotto: la censura anche sotto questo profilo, è, quindi, inammissibile.

1.3. Quanto al secondo motivo, in punto di diritto, va rammentato che, per costante giurisprudenza di questa Corte:

a) il giudizio di comparazione rientra nell’ampio concetto di libero convincimento del giudice e costituisce un potere discrezionale che deve ritenersi esercitato correttamente ove vengano chiaramente indicati i punti essenziali e determinanti, con la conseguenza che il giudice non è tenuto a prendere in esame tutti gli elementi prospettati dalle parti, essendo sufficiente che egli dia rilievo a quelli ritenuti di valore decisivo (ex plurimis: Cass. 10/12/2003, Marrazzo – Cass. 25/8/1992, Lafleur);

b) il giudizio di comparazione è imposto dalla necessità di una valutazione complessiva del fatto delittuoso, tale che, fermo il principio di proporzione fra pena e reato, consenta, nel determinare in concreto la pena, di tener conto della particolare personalità del reo, considerata sotto tutti gli aspetti di cui all’art. 133 c.p. (ex plurimis Cass. 6^ 9/6/1996, rv 205906).

Nel caso di specie, la Corte territoriale, ha respinto il gravame tenuto conto "dei reiterati e gravi precedenti a carico dell’imputato … nonchè già sorvegliato speciale. In altri termini i profili positivi individuabili nella confessione e nella dissociazione giustificano la concessione delle genetiche ed il loro bilanciamento in termini di equivalenza … ma non possono addirittura fondare e giustificare una prevalenza … ad onta dei profili negativi medesimi".

Con la suddetta motivazione, la Corte, ha, quindi, preso in esame gli elementi favorevoli all’imputato (valutati al fine della concessione delle attenuanti generiche), ma non li ha ritenuti di una pregnanza tale da poter prevalere, nel giudizio di bilanciamento, sull’elemento negativo in atti costituito dai precedenti penali e dalla gravità del fatto. Tanto basta per ritenere la motivazione congrua e sufficiente e, quindi, incensurabile in questa sede.

2. M. – G..

2.1. violazione dell’art. 416 bis cod. pen.: la Corte ha preso in esame la posizione dei due imputati, in relazione al reato associativo, a pag. 18 ss della sentenza impugnata, dalla quale risulta che i ricorrenti, avevano dedotto come motivo di gravame la stessa identica doglianza riproposta nel presente ricorso.

La Corte, ha preso in esame la censura ma l’ha disattesa con amplissima motivazione, da ritenersi logica, congrua ed aderente agli evidenziati elementi fattuali.

Di conseguenza, la censura riproposta con il presente ricorso, va ritenuta null’altro che un modo surrettizio di introdurre, in questa sede di legittimità, una nuova valutazione di quegli elementi fattuali già ampiamente presi in esame dalla Corte di merito la quale, con motivazione logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati elementi probatori, ha puntualmente disatteso la tesi difensiva.

Pertanto, non avendo i ricorrenti evidenziato incongruità, carenze o contraddittorietà motivazionali, la censura, essendo incentrata tutta su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, va dichiarata inammissibile.

2.2. violazione dell’art. 81 cod. pen.: la Corte territoriale ha disatteso la medesima censura a pag. 19 ss della sentenza impugnata, osservando, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte di legittimità, che "la continuazione presuppone l’anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già insieme presenti nella mente del reo …".

La Corte, quindi, in punto di fatto, ha ritenuto "non sostentile" che gli imputati, già da lungo tempo affiliati a cosche mafiose, potessero aver programmato, sia pure a grandi linee, i delitti commessi molti anni dopo.

Si tratta di un accertamento di fatto che, in quanto logico e coerente nonchè del tutto in linea con la giurisprudenza di questa Corte, non è suscettibile di alcuna censura in sede di legittimità non essendo ravvisarle nè vizi motivazionali nè violazioni di legge.

3. In conclusione, tutte e tre le impugnazioni devono ritenersi inammissibili a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00 ciascuno.

P.Q.M.

DICHIARA Inammissibili i ricorsi e CONDANNA i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *