Cass. civ. Sez. III, Sent., 24-07-2012, n. 12888 Responsabilità aggravata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
L’Azienda Agricola F. di F. G.& C. snc e G. F. in proprio hanno proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bologna del 28.2.2006, con la quale è stata rigettato l’appello in ordine alla domanda di risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c., proposta nei confronti di P.S. e T.G..
Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
Il ricorso è soggetto alla normativa antecedente a quella prevista dalla norma dell’art. 366 bis c.p.c., introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006, per essere il provvedimento depositato anteriormente (28.2.2006) alla sua entrata in vigore (2.3.2006).
Il quesito di diritto, pur correttamente proposto, non è, quindi, necessario.
Con unico motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c., commi 1 e 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360, n. 5.
Il motivo è fondato per le ragioni che seguono.
Debbono premettersi alcune considerazioni in tema di responsabilità aggravata.
Questa trova il suo fondamento nell’art. 96 c.p.c., che delinea diverse ipotesi, integranti il particolare tipo di illecito definito processuale.
Si tratta di una disciplina speciale, esaustiva, che preclude l’applicabilità diretta della norma generale di cui all’art. 2043 c.c., oltre che delle regole ordinarie in tema di competenza per la cognizione, devoluta in via esclusiva, funzionale, sia nell’an, sia nel quantum al giudice cui spetta la decisione della causa di merito (Cass. 6.5.2010 n. 10960).
Presupposti necessari per un accertamento positivo, poi, sono: a) la soccombenza totale nell’azione o nella resistenza in giudizio; b) la produzione di un pregiudizio alla controparte, come effetto diretto ed immediato; c) la sussistenza dell’elemento psicologico, diversificato nelle ipotesi previste dai due commi di cui si compone la disposizione dell’art. 96 c.p.c.: dolo o colpa grave nel giudizio di cognizione; colpa lieve nei processi esecutivi e cautelari all’esito dell’accertamento dell’inesistenza del diritto vantato.
Deve, però, precisarsi che la previsione di cui all’art. 96 c.p.c., comma 1, non riguarda esclusivamente il processo di cognizione, bensì ha natura generale.
Ricomprende, quindi, anche illeciti processuali maturati all’interno di processi esecutivi o cautelari, al di fuori dell’ipotesi speciale di inesistenza del diritto (Cass. 30.7.2010 n. 17902).
Peraltro, l’accessorietà propria della domanda di danni importa che il soggetto, di cui s’invoca la responsabilità, abbia, agito o resistito, con dolo o colpa grave in una controversia concernente proprio tali procedimenti.
Con riferimento, poi, all’elemento soggettivo dell’illecito (dolo o colpa grave), va ribadito che questo, traducendosi nel carattere temerario della lite, va ravvisato nella coscienza della infondatezza della domanda e delle tesi sostenute, ovvero nel difetto della normale diligenza per l’acquisizione di detta consapevolezza (fra le tante Cass. 27.11.2007 n. 24645: Cass. 1.10.2003 n. 14583).
Corollario di questo principio è che sussiste l’elemento soggettivo per la configurabilità della responsabilità aggravata in tutti quei casi in cui il diritto di difesa si sia svolto al di là delle finalità tipiche, piegando l’uso degli strumenti processuali a scopi diversi da quelli istituzionalmente previsti.
Una tale condotta attesta l’assenza di quella diligenza che deve accompagnare ogni atto ed iniziativa difensiva, consentendo di percepire l’ingiustizia – in termini di malafede o colpa grave – della propria condotta processuale.
Alla luce di questi principi va esaminata la fattispecie concreta.
P.S. e T.G. chiesero, nel gennaio del 1991, ed ottennero dal Presidente del tribunale di Rimini, il sequestro giudiziario inaudita altera parte delle quote della Situar srl quando già pendeva, davanti al tribunale di Ancona, il giudizio per il merito, relativo alle vicende che avevano dato luogo alla richiesta misura cautelare; giudizio nel quale i richiedenti erano costituiti.
Ai sensi dell’art. 673 c.p.c., comma 1, all’epoca vigente, pendente la causa per il merito, l’istanza di sequestro doveva essere rivolta al giudice dello stesso giudizio di merito.
Sempre secondo la normativa all’epoca vigente, il provvedimento cautelare non era reclamabile, ma era soggetto al giudizio di convalida, e poteva essere rimosso, ai sensi dell’art. 683 c.p.c., soltanto dalla sentenza, passata in giudicato, che avesse negato la convalida del sequestro od avesse accertato l’inesistenza del diritto per il quale era stata richiesta la cautela.
Il provvedimento cautelare fu dichiarato, poi, inefficace dal tribunale di Rimini, nel 1994 – con anticipo rispetto alla sentenza che definiva il giudizio di convalida – per l’entrata in vigore, in data 1.1.1993, della legge n. 353 del 1990, nella parte relativa al procedimento cautelare uniforme.
Di ciò vi è traccia negli atti difensivi e nei documenti prodotti.
La Corte di merito, chiamata a pronunciarsi sulla domanda di condanna per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. – proposta dagli attuali ricorrenti nei confronti del P. e del T. – l’ha rigettata osservando che "la responsabilità aggravata di cui all’art. 96 c.p.c., comma 2, in relazione ad un sequestro giudiziario, postula l’inesistenza del diritto per il quale è stato eseguito detto provvedimento, nonchè l’inosservanza, da parte dell’istante, delle norme di condotta seguite dall’uomo medio: reca infatti la norma "il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito il provvedimento cautelare".
Desumendone che "La suddetta responsabilità, pertanto, non può essere affermata quando il sequestro venga revocato per vizi processuali indipendenti dati" inesistenza di quel diritto – incompetenza del presidente del tribunale, per essere pendente causa di merito (Cass. n. 5132 del 1985 e giur successiva conforme)".
Ha, però, affermato che " in questo caso. l’illegittimità del sequestro può comportare responsabilità processuale dell’istante per lite temeraria, secondo la previsione dell’art. 96 c.p.c., comma 1 (Cass. n. 2629 del 1984), a mente del quale deve risultare che la parte soccombente ha agito in giudizio con mala fede o colpa grave".
Il sotto questo profilo, nel condividere le argomentazioni del primo giudice, la Corte di merito ha sottolineato che erano da escludersi la mala fede e la colpa grave che "sottendono nella parte soccombente, la consapevolezza dell’inconsistenza delle domande proposte, laddove gli attori in giudizio avevano confidato " su di un atto che poteva presentare il fumus del contratto traslativo delle quote in esso indicate": aggiungendo che un tale convincimento è rafforzato dalla considerazione "che la stessa Corte di Cassazione (decidendo sulla causa anconetana) aveva disposto la compensazione integrale delle spese, stante " la particolarità della vicenda, i comportamenti dei contendenti e le obbiettive incertezze cui hanno dato adito i sottoscrittori del documento (con l’impiego di espressioni di non agevole percezione)".
Condivisibili sono le conclusioni cui perviene la Corte di merito in ordine alla insussistenza dell’ipotesi di cui all’art. 96 c.p.c., comma 2, per essere stato il sequestro revocato per vizi processuali – incompetenza del presidente del tribunale a seguito della pendenza della causa di merito -; per carenza, cioè, dell’accertamento negativo in ordine al diritto, per il quale era stata chiesta la tutela cautelare.
Non altrettanto, invece, può dirsi con riferimento alle argomentazioni adottate per negare la ricorrenza delle condizioni legittimanti una richiesta risarcitoria per responsabilità aggravata, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 1.
Entrambe le rationes decidenti, sulle quali la Corte di merito ha fondato il suo giudizio negativo, infatti, attengono alla domanda di merito ed alla sua fondatezza; ma non a quella della cautela.
Sono dati, pertanto, irrilevanti ai fini che qui interessano, sia la "problematicità" della qualificazione del rapporto negoziale relativo al trasferimento delle quote, sia le ragioni della compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
Diversamente, nella specie, è ipotizzatale la ricorrenza della fattispecie disciplinata dall’art. 96 c.p.c., comma 1; ma l’esame della condotta lesiva deve essere condotta con riferimento al giudizio cautelare.
Sono, infatti, le modalità e peculiarità con le quali è stata chiesta la tutela – di cui si è più sopra detto – a potere integrare l’alterazione dello schema processuale tipico ed a fondare, se ricorrenti, la mala fede o la colpa grave nella richiesta della misura cautelare a giudice incompetente; con eventuali conseguenze risarcitorie.
E ciò tenendo altresì presenti i doveri di lealtà e probità processuale, cui le parti sono tenute ai sensi dell’art. 88 c.p.c., nell’ottica anche di una durata ragionevole del processo; diritto fondamentale.
riconosciuto e tutelato dall’art. 111 Cost., che non può essere pregiudicato da tecniche difensive dilatorie ed ingiustificate (v.
anche Cass. 30.4.2010 n. 10606; cass. 27.11.2007 n. 24645).
Alla luce dei principi enunciati il giudice del rinvio, quindi, dovrà accertare se le modalità con le quali, nella specie, è stata proposta domanda cautelare a giudice incompetente, integrino la mala fede o la colpa grave, di cui all’art. 96 c.p.c., comma 1, pronunciandosi quindi, in ordine all’eventuale risarcimento del danno.
Ed, in ordine a tale ultimo profilo, è opportuno ricordare che. in tema di responsabilità aggravata per lite temeraria, l’art. 96 c.p.c. prevede, nel caso di accoglimento della domanda, il risarcimento dei danni, comprensivo, sia del danno patrimoniale, sia di quello non patrimoniale, trovando, quest’ultimo, giustificazione anche in ragione della qualificazione in termini di diritto fondamentale del diritto di azione e difesa in giudizio (Cass. ord. 12.10.2011 n. 20995; v. anche S.U. ord. 9.2.2009 n. 3057).
Conclusivamente, il ricorso è accolto, la sentenza cassata, e la causa rimessa alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione.
Le spese sono rimesse al giudice del rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 15 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2012

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