Cass. civ. Sez. III, Sent., 24-07-2012, n. 12886 Surrogazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
1. La s.r.l. Z. ha proposto ricorso per cassazione contro W. E. avverso la sentenza dell’11 agosto 2007, con la quale la Corte d’Appello di Trento, Sezione Distaccata di Bolzano, ha rigettato l’appello da essa proposto avverso la sentenza del Tribunale di Bolzano del giugno 2006, la quale aveva ritenuto infondata la domanda da essa proposta nel novembre del 2003, per ottenere la condanna del W. alla restituzione della somma di Euro 172.296,49 o di quell’altra che fosse stata risultata dovuta, siccome a dire della stessa Z. corrisposta indebitamente all’atto in cui essa, avendo acquistato un bene immobile sottoposto a pignoramento da parte del Banco Ambrosiano Veneto s.p.a., in forza di ipoteca volontaria su di esso iscritta, al fine di liberare dall’ipoteca il bene aveva chiesto – per evitare che il bene fosse messo all’incanto – di poter pagare i creditori intervenuti nella procedura esecutiva, sia ipotecari che muniti di titolo esecutivo, e, a seguito del rifiuto di aderire alla richiesta da parte del legale del W. (surrogatosi a Intesabci Gestione Crediti s.p.a., a sua volta cessionaria del credito ipotecario dalla Intesabci, subentrata al suddetto Banco), nonchè di altro creditore, che si era riservato di aderire successivamente alla richiesta, aveva poi, appunto al fine di evitare che il bene fosse venduto, aderito alla richiesta di pagamento della somma indicata dal detto legale di spettanza del W., corrispondendo Euro 587.39,72.
La domanda della qui ricorrente era stata basata sull’assunto che l’importo richiesto dal W. fosse eccedente il dovuto, in particolare per essere eccessiva la pretesa degli interessi, da ridursi da Euro 84.579,62 a Euro 18.035,38 e quella per le spese da Euro 115.752,25 ad Euro 10.000,00, di modo che risultava eccedente l’importo richiesto a titolo di indebito.
2. Al ricorso ha resistito con controricorso il W..
La ricorrente, in vista dell’odierna udienza, ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia "violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
violazione degli artt. 184, 112, 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; motivazione inesistente e insufficiente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5".
L’illustrazione del motivo, che, in realtà, a stare alla intestazione ed alla eterogeneità delle norme di cui si denuncia la violazione, nonchè ai riferimenti relativi al paradigma dell’art. 360 c.p.c., si riferisce a tre motivi distinti, presenta la seguente struttura: essa, dopo quarantacinque pagine, trentuno delle quali rappresentate dalla riproduzione di vari atti del processo, come di seguito si dirà, si conclude con l’articolazione di quattro quesiti di diritto.
1.1. Ne deriva, in primo luogo, l’inosservanza dell’art. 366 bis c.p.c. quanto alla c.d. chiara indicazione, perchè manca il momento di sintesi che si dovrebbe esprimere in relazione alla denuncia di un vizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Momento di sintesi che avrebbe dovuto avere il contenuto indicato da consolidata giurisprudenza di questa Corte (si veda già Cass. (ord.) n. 16002 del 2007 e, quindi, Cass. sez. un. n. 20603 del 2007, seguita dalla successiva giurisprudenza).
Il motivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 è, pertanto, inammissibile.
1.2. Inoltre, i quattro quesiti enunciati non presentano uno specifico raccordo con i distinti vizi di violazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e di norme del procedimento ai sensi del n. 4 della stessa norma. I quesiti avrebbero dovuto concludere l’illustrazione di tali distinti vizi e non essere enunciati alla conclusione complessiva della loro illustrazione oppure, in questo caso, avrebbero dovuto contenere uno specifico raccordo con essi, che, invece, non c’è o almeno non c’è expressis verbis.
Al riguardo, viene in rilievo il principio di diritto per cui "La previsione di cui all’art. 366 bis c.p.c., là dove esige che l’esposizione del motivo si debba concludere con il quesito di diritto, non significa che il quesito debba topograficamente essere inserito alla fine della esposizione di ciascun motivo, essendo consentita la elencazione finale o conclusiva di tutti i quesiti, purchè, in tal caso, ciascuno di essi sia espressamente riferito al motivo, con richiamo numerico od alla rubrica delle violazioni addotte, oppure il collegamento al motivo sia inequivocabilmente evidenziato dalla esistenza di un rapporto di pertinenza esclusiva, in modo tale che esso sia agevolmente individuabile, senza necessità di una particolare analisi critica" (Cass. (ord.) n. 5073 del 2008).
L’applicazione di tale principio di diritto evidenzia l’inammissibilità dei motivi in esame.
1.3. Il Collegio rileva, comunque, che se il raccordo dei quesiti con i due motivi ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 si ritenesse possibile sulla base del rilievo da annettere alle norme che nella loro enunciazione sono richiamate, i primi tre quesiti che richiamano distintamente tali norme, mentre il quarto non ne richiama alcuna – si presenterebbero in ogni caso inidonei ad integrare validamente il requisito di cui all’art. 366 bis c.p.c..
Essi sono del seguente tenore:
"Dica la Suprema Corte di Cassazione se i fatti dati per pacifici, mediante espressa e specifica allegazione, da una delle parti, debbano essere ulteriormente provati dall’altra, ai sensi dell’art. 2697 c.c., dell’art. 115 c.p.c., dell’art. 166 c.p.c. ovvero di altra norma che le SS.VV. vorranno individuare";
"Dica la Suprema Corte di Cassazione se, nell’ambito di un’azione di ripetizione di indebito oggettivo, ove risulti pacifica e documentalmente provata la sussistenza di una differenza tra l’importo capitale del credito e quanto pagato per l’estinzione di questo e tale differenza sia espressamente qualificata da creditore soddisfatto in termini di interessi e spese di procedura, colui che ha pagato anche detta differenza e chiede la ripetizione di tutta o parte di essa, trattandosi di operare calcolo di interessi al tasso documentalmente provato e determinare spese bancarie e spese di procedura secondo tariffa, in relazione ai quali calcoli abbia altresì provveduto a chiedere CTU, abbia ulteriori oneri probatori cui assolvere, ai sensi dell’art. 2697 c.c., artt. 112, 115 e 116 c.p.c., da soli e in combinato disposto, ovvero di altra norma che le SS.VV. vorranno individuare".
"Dica la Suprema Corte se, nelle condizioni di cui al precedente quesito sub 2), i Giudici di merito avessero l’obbligo di pronunciare espressamente, ex art. 112 c.p.c., sulla domanda di CTU volta a conteggiare gli interessi e le spese effettivamente maturati sulla somma capitale di credito pacifica in atti, calcolando la differenza tra l’importo così determinato e la somma, altrettanto pacifica e documentata, pagata da colui che ne chieda in giudizio la ripetizione".
1.3.1. Ora, il terzo quesito pone un interrogativo, correlato alla denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c., che non risulta in alcun modo giustificato in relazione a tale norma, atteso che è giurisprudenza consolidata che "Il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., rilevante ai fini di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, si configura esclusivamente con riferimento a domande, eccezioni o assunti che richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto, e non anche in relazione ad istanze istruttorie (come quella di ammissione di una c.t.u.) per le quali l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione". (Cass. n. 3357 del 2009; e si veda già nel medesimo senso Cass. sez. un. n. 15982 del 2001).
Si tratta, dunque, di quesito del tutto incongruo.
1.3.2. Gli altri due quesiti (ma anche quello appena esaminato) si presentano inidonei ad assolvere il requisito di cui all’art. 366 bis c.p.c., perchè si risolvono in interrogativi del tutto astratti, cioè privi di riferimenti alla vicenda oggetto del giudizio di merito ed alla decisione qui impugnata.
In proposito si rileva che l’art. 366 bis c.p.c., quando esigeva che il quesito di diritto dovesse concludere il motivo imponeva che la sua formulazione non si presentasse come la prospettazione di un interrogativo giuridico del tutto sganciato dalla vicenda oggetto del procedimento, bensì evidenziasse la sua pertinenza ad essa. Invero, se il quesito doveva concludere l’illustrazione del motivo ed il motivo si risolve in una critica alla decisione impugnata e, quindi, al modo in cui la vicenda dedotta in giudizio è stata decisa sul punto oggetto dell’impugnazione e criticato dal motivo, appare evidente che il quesito, per concludere l’illustrazione del motivo, doveva necessariamente contenere un riferimento riassuntivo ad esso e, quindi, al suo oggetto, cioè al punto della decisione impugnata da cui il motivo dissentiva, sì che ne risultasse evidenziato – ancorchè succintamente – perchè l’interrogativo giuridico astratto era giustificato in relazione alla controversia per come decisa dalla sentenza impugnata. Un quesito che non presenta questa contenuto è, pertanto, un non-quesito (si veda, in termini, fra le tante, Cass. sez. un. N. 26020 del 2008; nonchè n. 6420 del 2008).
E’ da avvertire che l’utilizzo del criterio del raggiungimento dello scopo per valutare se la formulazione del quesito sia idonea all’assolvimento della sua funzione appare perfettamente giustificata dalla soggezione di tale formulazione, costituente requisito di contenuto-forma del ricorso per cassazione, alla disciplina delle nullità e, quindi, alla regola dell’art. 156 c.p.c., comma 2, per cui all’assolvimento del requisito non poteva bastare la formulazione di un quesito quale che esso fosse, eventualmente anche privo di pertinenza con il motivo, ma occorreva una formulazione idonea sul piano funzionale, sul quale emergeva appunto il carattere della conclusività. Da tanto l’esigenza che il quesito rispettasse i criteri innanzi indicati.
Per altro verso, la previsione della necessità del quesito come contenuto del ricorso a pena di inammissibilità escludeva che si potesse utilizzare il criterio di cui all’art. 156 c.p.c., comma 3, posto che quando il legislatore qualifica una nullità di un certo atto come determinativa della sua inammissibilità deve ritenersi che abbia voluto escludere che il giudice possa apprezzare l’idoneità dell’atto al raggiungimento dello scopo sulla base di contenuti desunti aliunde rispetto all’atto: il che escludeva che il quesito potesse integrarsi con elementi desunti dal residuo contenuto del ricorso, atteso che l’inammissibilità era parametrata al quesito come parte dell’atto complesso rappresentante il ricorso, ivi compresa l’illustrazione del motivo (si veda, in termini, già Cass. (ord.) n. 16002 del 2007; (ord.) n. 15628 del 2009, a proposito del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6).
E’, altresì, da avvertire, che l’intervenuta abrogazione dell’art. 366 bis c.p.c. non può determinare – in presenza di una manifestazione di volontà del legislatore che ha mantenuto ultrattiva la norma per i ricorsi proposti dopo il 4 luglio 2009 contro provvedimenti pubblicati prima ed ha escluso la retroattività dell’abrogazione per i ricorsi proposti antecedentemente e non ancora decisi – l’adozione di un criterio interpretativo della stessa norma distinto da quello che la Corte di Cassazione, quale giudice della nomofilachia anche applicata al processo di cassazione, aveva ritenuto di adottare anche con numerosi arresti delle Sezioni Unite.
L’adozione di un criterio di lettura dei quesiti di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. dopo il 4 luglio 2009 in senso diverso da quanto si era fatto dalla giurisprudenza della Corte anteriormente si risolverebbe, infatti, in una patente violazione dell’art. 12 preleggi, comma 1, posto che si tratterebbe di criterio contrario all’intenzione del legislatore, il quale, quando abroga una norma, tanto più processuale, e (Ndr.: testo originale non comprensibile) lascia ultrattiva o comunque non assegna effetti retroattivi all’abrogazione, manifesta non solo una voluntas nel senso di preservare l’efficacia della norma per la fattispecie compiutesi anteriormente all’abrogazione e di assicurarne l’efficacia regolatrice rispetto a quelle per cui prevede l’ultrattività, ma anche una implicita voluntas che l’esegesi della norma abrogata continui a dispiegarsi nel senso in cui antecedentemente è stata compiuta. Per cui l’interprete e, quindi, anche la Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 65 dell’Ordinamento Giudiziario, debbono conformarsi a tale doppia voluntas e ciò ancorchè, in ipotesi, l’eco dei lavori preparatori della legge abrogativa riveli che l’abrogazione possa essere stata motivata anche e proprio dall’esegesi che dia norma sia stata data. Invero, anche l’adozione di un criterio esegetico che tenga conto della ragione in mente legislatoris dell’abrogazione impone di considerare che l’esclusione dell’abrogazione in via retroattiva ed anzi la previsione di una certa ultrattività per determinate fattispecie sempre in mente legislatoris significhino voluntas di permanenza dell’esegesi affermatasi, perchè il contrario interesse non è stato ritenuto degno di tutela.
Il motivo ai sensi del n. 3 e quello ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, sono, dunque, in ogni caso (cioè a prescindere dai rilievi precedenti) inammissibili perchè si concludono con quesiti inidoneo al rispetto dell’art. 366 bis c.p.c..
1.4. Il Collegio osserva comunque che l’illustrazione del motivo, se si fosse potuta esaminare, si sarebbe caratterizzata come del tutto inidonea ad assolvere alla funzione propria del motivo di ricorso per cassazione, giacchè, come si è rilevato si articola per tre quarti attraverso la riproduzione fotografica di atti o documenti del giudizio di merito, ma tale riproduzione è fatta non già via via di seguito ad argomentazioni illustrative dei motivi che a tali atti o documenti rimandano, indicando precisamente quale pare di essi sarebbe rilevante ai fini dell’argomentare, bensì con meri inviti alla Corte a procedere alla loro lettura per trovarvi di propria iniziativa i riferimenti a supporto di esso. In tal modo, si contraddice la logica del motivo di impugnazione, che suppone lo svolgimento di un’attività di chi impugna dimostrativa dell’ingiustizia della sentenza e, quando essa poggia su atti o documenti, la precisa individuazione della parte di essi cui ci si riferisce a supporto delle proprie doglianze.
I motivi sarebbero, pertanto, comunque inammissibili, perchè si risolvono in una delega alla Corte a cercare i atti e documenti quello che ipoteticamente potrebbe supportarli.
2. Con il secondo motivo si denuncia "violazione degli artt. 183 e 345 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma n. 4 c.p.c;
violazione degli artt. 1180, 1201 e 2033 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; insufficienza di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5".
Come emerge dall’intestazione, sembrerebbero prospettarsi tre distinti motivi.
2.1. Riguardo a quello ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 manca il momento di sintesi richiesto dalla ricordata giurisprudenza e tanto basta ad evidenziarne l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., con la sola avvertenza che esso non si potrebbe individuare nella terz’ultima pagina del ricorso, posto che in essa, pur alludendosi ad una censura della sentenza per vizio di motivazione, si argomenta di diritto e non riguardo alla quaestio facti.
2.2. Riguardo ai vizi ai sensi dell’art. 360 c.p.c, nn. 3 e 4, si rileva che questa volta sono enunciati tre distinti gruppi di quesiti di diritto, i primi due contenuti all’interno della illustrazione ed il terzo alla sua conclusione.
Peraltro, anche in tal caso non v’è un preciso raccordo dei tre gruppi con i vizi e nuovamente tanto costituirebbe ragione di inammissibilità secondo il già riferito principio di diritto.
Se si superasse tale rilievo valorizzando i riferimenti nei quesiti alle norme, nuovamente si paleserebbe l’assoluta inidoneità dei quesiti alla stregua della giurisprudenza poco sopra riferita, per la loro astrattezza e mancanza di riferimento alla sentenza impugnata.
Il primo gruppo enuncia i seguenti due quesiti:
"Dica la Suprema Corte di Cassazione se comporti domanda nuova, inammissibile ai sensi degli artt. 183 e 345 c.p.c., la prospettazione di una qualificazione giuridica di un fatto addotto fin dall’inizio del processo, qualora non venga mutato nè il bene della vita richiesto, nè i fatti posti a base della domanda-;
"Con riferimento al caso specifico, dica la Suprema Corte se comporto domanda nuova inammissibile ai sensi degli artt. 183 e 345 c.p.c., la qualificazione di un pagamento dedotto nell’atto introduttivo del processo e da subito assunto come indebito, ai sensi dell’art. 1180 c.c., piuttosto che ai sensi dell’art. 2858 c.c., piuttosto che ai sensi dell’art. 2858 c.c., piuttosto che ai sensi dell’art. 1201 c.c., ovvero se tale qualificazione giuridica, anche in forza del principio iura novit Curia, sia sempre discutibile, almeno fino a quando non si formi giudicato sulla stessa".
Il secondo gruppo reca i seguenti due quesiti:
"Dica la Suprema Corte di Cassazione se l’azione di ripetizione di indebito oggettivo ai sensi dell’art. 2033 c.c. sia subordinata all’ignoranza del solvens di pagare una somma non dovuta e dica altresì se detta azione sia impedita dall’aver il solvens eseguito il pagamento senza porre riserve o condizioni";
"Dica la Suprema Corte di Cassazione se il terzo che ha pagato un debito altrui, versando la somma indicata dal creditore in termini di capitale, interessi e spese, possa agire in indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., ove e nei limiti in cui la somma pagata superi quanto effettivamente spettante al creditore per capitale, interessi e spese, ancorchè abbia eseguito il pagamento senza porre riserve o condizioni".
Il terzo gruppo reca i seguenti quattro quesiti:
"Dica la Suprema Corte di Cassazione se un terzo interessato all’estinzione di un procedimento esecutivo immobiliare possa eseguire il pagamento in luogo del debitore, ex art. 1180 c.c.";
"Dica la Suprema Corte di Cassazione se il creditore procedente o intervenuto in un’esecuzione immobiliare possa rifiutare l’offerta di pagamento fatta da un terzo ex art. 1180 c.c., che sia integralmente satisfattiva di capitale, interessi e spese, ovvero se il terzo possa pagare anche contro la volontà del creditore";
"Dica la Suprema Corte di Cassazione se, nella fattispecie di cui all’art. 1201 c.c., la volontà del creditore sia limitata alla decisione se concedere o meno la surrogazione, ovvero se il creditore possa determinare un prezzo per concederla, diverso dal pagamento del credito, comprensivo di interessi e spese, in cui il solvens sarà poi surrogato";
"Dica la Suprema Corte di Cassazione se il terzo che, a seguito del pagamento di un debito altrui e la conseguente surrogazione volontaria ex art. 1201 c.c. sì accorga di aver pagato una somma superiore al credito vantato dal creditore surrogante, comprensivo di capitale, interessi e spese, possa agire in ripetizione ex art. 2033 c.c. per ottenere la restituzione di quanto pagato in eccedenza";
"Dica la Suprema Corte di Cassazione se, qualificata la fattispecie concreta in termini di pagamento del terzo e la surrogazione operata da W.E. ai sensi dell’art. 1201 c.c., Z. possa chiedere in ripetizione ex art. 2033 c.c. quanto pagato in eccedenza rispetto all’ammontare del credito di W.E. per capitale, interessi e spese".
2.3. Ebbene, tutti i quesiti qui indicati si presentano astratti e privi di riferimento alla sentenza impugnata e, pertanto, sono inidonei ad assolvere al requisito di cui all’art. 366 bis sulla base dei principi di diritto richiamati a proposito del "primo motivo".
Ne consegue che i motivi ai sensi del n. 4 e del n. 3 ci cui sopra sono inammissibili.
2.4. Il Collegio rileva ancora che, se potesse procedere e sì procedesse alla lettura della illustrazione dei motivi in questione, si dovrebbe constatare che in essa, per un verso non v’è una precisa individuazione della parte dell’illustrazione che sarebbe deputata all’argomentazione di ciascuno dei motivi ai sensi del n. 3 del n. 4, e, per altro verso, che l’argomentare è svolto senza una precisa spiegazione del perchè si sarebbero verificate le violazioni di norme di diritto e del procedimento indicate nell’intestazione unitaria dei motivi.
Onde, anche per tali ragioni i motivi in questione sarebbero inammissibili perchè privi di specificità: al riguardo, si ricorda che è consolidato il principio di diritto secondo cui "Il requisito di specificità e completezza del motivo di ricorso per cassazione è diretta espressione dei principi sulle nullità degli atti processuali e segnatamente di quello secondo cui un atto processuale è nullo, ancorchè la legge non lo preveda, allorquando manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento del suo scopo (art. 156 c.p.c., comma 2). Tali principi, applicati ad un atto di esercizio dell’impugnazione a motivi tipizzati come il ricorso per cassazione e posti in relazione con la particolare struttura del giudizio di cassazione, nel quale la trattazione si esaurisce nella udienza di discussione e non è prevista alcuna attività di allegazione ulteriore (essendo le memorie, di cui all’art. 378 c.p.c., finalizzate solo all’argomentazione sui motivi fatti valere e sulle difese della parte resistente), comportano che il motivo di ricorso per cassazione, ancorchè la legge non esiga espressamente la sua specificità (come invece per l’atto di appello), debba necessariamente essere specifico, cioè articolarsi nella enunciazione di tutti i fatti e di tutte le circostanze idonee ad evidenziarlo" (Cass. n. 4741 del 2005, ex multis).
3. Conclusivamente, l’inammissibilità di tutti i motivi determina quella del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione al resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro ottomiladuecento, di cui Euro duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 11 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2012

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