Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-01-2013) 22-02-2013, n. 8734

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza del 08/03/2012, la Corte di Appello di Catanzaro confermava la sentenza con la quale, in data 13/07/2011, il tribunale di Paola aveva ritenuto M.F. colpevole del delitto di rapina aggravata ai danni di P.G. e, ritenuto il vizio parziale di mente equivalente alle aggravanti e con la diminuente del rito, l’aveva condannata alla pena di anni due di reclusione ed Euro 344,00 di multa.

2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputata, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo violazione dell’art. 89 cod. pen. in quanto la Corte territoriale, sulla base della stessa perizia in atti, avrebbe, in realtà, dovuto ritenerla completamente incapace d’intendere e volere.

3. Il ricorso è manifestamente infondato.

La questione oggi riproposta nel presente grado di giudizio, ha costituito oggetto di dibattimento in sede di appello.

La perizia in atti, aveva ritenuto l’imputata affetta da un "disturbo psicotico non altrimenti specificato (NAS) o psicosi atipica con sottostante "disturbo della personalità misto", che aveva inciso "sulla capacità d’intendere e di volere scemandole grandemente".

La Corte, sulla base della suddetta perizia, aveva allora concluso – adeguandosi alla giurisprudenza di questa Corte di legittimità – per la parziale capacità d’intendere e volere, in quanto il vizio parziale di mente deve ritenersi logicamente compatibile con il dolo non essendovi contrasto tra la seminfermità mentale ed il dolo.

La Corte, infatti, proprio sulla base della perizia concludeva che "le deduzioni difensive risultano destituite di fondamento e apertamente in contrasto con le conclusioni peritali compendiati nella relazione in atti".

In questa sede la ricorrente non ha fatto altro che riproporre la medesima doglianza insistendo sul fatto che la patologia riscontrata dai periti "non può non evidenziare che nell’imputata sia rilevante una alterazione della capacità d’intendere e volere …".

Ma si tratta di una doglianza che, in modo surrettizio, introduce nel giudizio di legittimità una nuova e diversa valutazione di un elemento fattuale attinente al contenuto della perizia.

Sul punto, infatti, la motivazione della Corte è del tutto logica, lineare e coerente con gli esiti della perizia (il cui contenuto è stato riportato per esteso), e, quindi, conforme, in punto di diritto, alla giurisprudenza di questa Corte di legittimità.

Il ricorso, infatti, lungi dal contestare o evidenziare alcuno dei vizi motivazionali deducibili in sede di legittimità, si limita a riportare – pro domo sua – solo alcuni passi della perizia sui quali cerca di far leva per dimostrare la fondatezza della propria tesi difensiva.

Ma si tratta di un’operazione di corto respiro perchè la valutazione va effettuata nel suo complesso non essendone consentito il frazionamento.

In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

DICHIARA Inammissibile il ricorso e CONDANNA il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2013

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