Cass. civ. Sez. III, Sent., 24-07-2012, n. 12883 Sfratto e licenza

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Svolgimento del processo
Con sentenza del 28/10/2009 la Corte d’Appello di Roma, in accoglimento del gravame interposto dalla società C. s.r.l. e in conseguente riforma della pronunzia Trib. Roma n. 22097/2006, dichiarava la scadenza del contratto di locazione ad uso abitativo avente ad oggetto l’immobile sito in (OMISSIS), originariamente stipulato tra la società Assitalia – Le Assicurazioni d’Italia s.p.a. e la sig. R.M.L., condannando quest’ultima al relativo rilascio in favore della società M. I. s.r.l., che aveva acquistato l’immobile ed intimato lo sfratto per finita locazione.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la R. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 5 motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso la società C. s.r.l. (già M. I. s.r.l.).
Motivi della decisione
Con il 1 motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1372, 1599, 1602 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Lamenta che la corte di merito ha erroneamente ritenuto legittimata all’esercizio dell’azione contrattuale di risoluzione del contratto per finita locazione ex art. 657 c.p.c., la società M. I. s.r.l., laddove la società S. s.r.l., successivamente in quest’ultima incorporata (poi fusasi con la società C. s.r.l.), è divenuta proprietaria dell’immobile oggetto della locazione de qua successivamente alla cessazione della medesima, non avendo pertanto acquisito la qualità di locatrice e non potendo, conseguentemente, esercitare la detta azione contrattuale.
Si duole avere i giudici di merito erroneamente ritenuto che "permanendo l’occupazione del bene da parte dell’ex conduttore si originerebbe – per coerenza …- il diritto del terzo acquirente all’esercizio dell’azione contrattuale di risoluzione della locazione, e ciò in forza esclusivamente di una interpretazione creativa della norma di cui agli artt. 1599 e 1602 cod. civ.", atteso che l’odierna controparte "e i suoi danti causa hanno rinvenuto una situazione di fatto nella quale l’ex conduttore ha continuato ad occupare l’immobile e a corrispondere l’indennità di occupazione ai sensi dell’art. 1591 cod. civ., ma non è divenuta parte del sinallagma contrattuale, perchè lo stesso era già cessato".
Si duole ulteriormente non avere la corte di merito a tale stregua considerato che il terzo il quale diviene proprietario dell’immobile oggetto di contratto di locazione dopo la scadenza del medesimo non acquista la qualità di locatore, e non può conseguentemente esercitare le azioni contrattuali – qual è quella ex art. 657 c.p.c. – spettanti solamente al medesimo, sicchè non può agire contrattualmente nei confronti dell’ex conduttore, e per ottenere la restituzione dell’immobile deve semmai nei confronti di quest’ultimo esperire l’azione reale di occupazione senza titolo.
Il motivo è infondato.
La fattispecie di vendita di cosa locata integra invero un’ipotesi di cessione legale del contratto di locazione in capo all’acquirente, che quale cessionario ex lega subentra nella situazione di diritto e di fatto facente capo all’alienante al momento della cessione e dal medesimo trasmessagli con tale atto, senza che risulti al riguardo necessario l’accordo delle parti nè l’adesione del contraente ceduto (nei cui confronti la cessione acquista peraltro efficacia solamente al momento della relativa notificazione).
L’acquirente diviene a tale stregua il nuovo titolare del rapporto di locazione in corso de iure al tempo della compravendita ovvero, laddove come nella specie trattisi di contratto scaduto, può esercitare i diritti non esauriti e i poteri spettanti al proprietario e dal medesimo cedutigli.
In particolare, ove il contratto sia come nel caso cessato de iure per intimata disdetta del contratto alla scadenza contrattuale, l’acquirente subentra nel diritto di credito alla restituzione già maturato in capo al locatore-proprietario cedente, con i relativi accessori (art. 1263 c.c.), e in particolare con i poteri comuni al contenuto e all’esercizio del credito (v. Cass., 10/1/2012, n. 52.
Cfr. altresì Cass., 14/1/2005, n. 674; Cass., 5/8/1991, n. 8556. Per l’espressa e specifica assunzione da parte del venditore dell’immobile, in luogo dell’obbligo di consegna, dell’obbligo di far cessare il rapporto di locazione esistente, v. Cass., 6/5/1987, n. 4195. Contra, per l’affermazione che la vendita di un immobile locato determina solamente una successione a titolo particolare del compratore nel rapporto di locazione, v. peraltro Cass., 6/9/1990, n. 9160 e Cass., 11/2/1978, n. 637).
A parte l’ipotesi ex art. 111 c.p.c., l’acquirente può a tale stregua esercitare tutte le azioni previste dalla legge a tutela del credito (nel caso, alla restituzione), volte cioè ad ottenerne la realizzazione (v. Cass., 18/7/2006, n. 16383; Cass., 9/12/1971, n. 3554), potere invero spettantegli già in base al principio generale della tutela giurisdizionale dei diritti (cfr. Cass., 10/1/2012, n. 52).
Ne consegue che ben può pertanto l’acquirente esercitare (anche) l’azione di sfratto per finita locazione ex art. 657 c.p.c..
Nè, in contrario, pregio alcuno può invero riconoscersi all’assunto del ricorrente in base al quale, trattandosi di acquisto della proprietà sull’immobile avvenuto in momento in cui – per intervenuta disdetta – il contratto di locazione era nel caso già cessato de iure alla scadenza, l’acquirente non poteva esercitare siffatta azione contrattuale, giacchè essa spetta solamente al locatore, e tale la controparte non può nella specie invero considerarsi, essendo subentrata in un rapporto ormai di mero fatto.
A parte quanto già più sopra osservato in ordine all’acquisto da parte dell’acquirente dei diritti e dei poteri già in capo al proprietario-locatore al momento della vendita, vale al riguardo ulteriormente osservare che traendo i debiti corollari di detta tesi dovrebbe coerentemente pervenirsi a negare che il locatore possa avvalersi dell’istituto dello sfratto per finita locazione, atteso che al momento dell’intimazione e della citazione per la relativa convalida il contratto di locazione è invero già scaduto, e quindi de iure cessato e sostituito da una situazione di mero fatto, sicchè il medesimo avrebbe in realtà già perduto detta sua veste formale, e al fine di ottenere la restituzione dell’immobile (già) locato non gli rimarrebbe che intentare l’azione reale di rilascio per occupazione senza titolo.
Va al riguardo invero sottolineato come già in base all’espresso tenore dell’art. 657 c.p.c., comma 2, il locatore o il concedente può viceversa senz’altro "intimare lo sfratto, con la contestuale citazione per la convalida, dopo la scadenza del contratto" (sempre che ne sia esclusa la tacita riconduzione).
Di un tanto non si è del resto mai dubitato (cfr. Cass., 29/9/2005, n. 19139; Cass., 7/5/1996, n. 4238; Cass., 16/6/1994, n. 5851).
Come correttamente sostenuto in dottrina e affermato nell’impugnata sentenza, altro è in realtà la cessazione della durata della locazione altro l’esaurimento degli effetti del contratto.
Dopo la cessazione della durata del contratto subentra invero un rapporto di fatto, persistendo effetti non esauriti del rapporto contrattuale (v. Cass., 12/1/1991, n. 254) in capo all’originario locatore ovvero all’acquirente dell’immobile che, in sostituzione o surrogazione legale o in virtù di cessione ex lege, al medesimo subentra (v. Cass., 9/4/1985 n. 2356).
In caso come nella specie di compravendita dell’immobile (già) oggetto di locazione, nei diritti e nei poteri che dal contratto ormai scaduto derivano in capo al locatore subentra invero l’acquirente, trovando la cessione degli stessi in suo favore fonte e causa appunto nella compravendita (cfr. Cass., 10/1/2012, n. 52), della quale essa costituisce normale effetto (cfr. Cass., 26/4/1990, n. 3510).
Va pertanto a tale stregua ribadito il principio affermato da questa Corte in base al quale, in mancanza di una contraria volontà dei contraenti (v. già Cass., 11/5/1965, n. 898; Cass., 27/2/1979, n. 1300), la vendita dell’immobile locato determina, ai sensi degli artt. 1599 e 1602 c.c., la surrogazione nel rapporto di locazione del terzo acquirente, che subentra nei diritti e nelle obbligazioni del venditore-locatore senza necessità del consenso del conduttore (v.
Cass., 9/6/2010, n. 13833; Cass., 22/2/2008, n. 4588; Cass., 9/8/2007, n. 17488; Cass., 14/1/2005, n. 674; Cass., 13/6/1994, n. 5724; Cass., 5/8/1991, n. 8556. V. anche Cass., 13/7/2005, n. 14738, che con riferimento al trasferimento all’acquirente della situazione creditoria dell’alienante originata da un contratto di locazione già cessato all’atto dell’alienazione, nel negare l’applicabilità degli artt. 1599 e 1602 c.c., fa invero espressamente salva l’ipotesi della cessione del credito).
Con l’ulteriore precisazione che l’art. 1602 c.c., attiene non già ad un’ipotesi di successione nel contratto bensì di surrogazione legale nel rapporto (di diritto o di fatto), e in particolare negli effetti non esauriti del rapporto de iure.
Con il 2 indicato come lett. a) motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1399 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si duole che la corte di merito abbia erroneamente ritenuto dalla controricorrente ratificata la disdetta, laddove questa può essere validamente effettuata solamente dalla parte contrattuale, e non anche dal terzo acquirente (nel caso società S. s.r.l., e i suoi successivi aventi causa).
Con il 3 motivo indicato come lett. b) denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1335 c.c., D.P.R. n. 655 del 1982, artt. 37, 38, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Lamenta che la corte di merito ha fondato la propria decisione "su circostanze non corrispondenti al vero e derivanti da una assenza di istruttoria", non sussistendo "certezza che la lettera raccomandata sia stata ricevuta dal portiere dello stabile, difettando qualsiasi indicazione in merito da parte dell’agente postale".
Con il 4 motivo indicato come lett. c) denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1591 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Si duole che la corte di merito "non abbia compreso il tenore letterale della nota raccomandata del 2 gennaio 2004, nella quale non sia afferma quanto riportato".
Lamenta che "con una prima lettera (all.to n. 6) la società S. s.r.l. affermava di aver acquistato la porzione di immobile locato alla sig.ra R. con contratto del 01/01/1996 e di avere ceduto a favore della Banca Intesa s.p.a. i crediti nascenti nei suoi confronti da detto contratto di locazione; con la seconda lettera (all.to n. 7) l’inquilino doveva inviare alla Banca Intesa, cessionaria dei canoni, una nota con tale dichiarazione confermandovi la sussistenza di detto contratto di locazione libero da pignoramento, sequestri o altri vincoli, dichiaro/dichiariamo di accettare la cessione del credito di cui sopra a tutti gli effetti di legge; pertanto provvederemo a versarvi direttamente … quanto da noi dovuto in dipendenza del contratto di locazione di cui sopra".
Si duole che dalla "lettura del contratto di locazione (all.to n. 4) della Sig.ra R. … si evince che la società Assitalia ha espressamente rinunciato alla disdetta del contratto alla prima scadenza, ai sensi della L. n. 359 del 1992, art. 11, comma 2…".
Con il 5 motivo indicato come lett. d) denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 431 del 1998, art. 2, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Lamenta che "il Giudice di seconda istanza fonda il proprio giudizio su un fatto non corrispondente alle circostanze concrete, atteso che nel caso di specie il locatore non ha disdettato il contratto alla prima scadenza, perchè vi ha espressamente rinunciato, e quindi per sua libera scelta e non perchè impedito dalle causali di legge".
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.
Va anzittutto posto in rilievo come essi risultino invero formulati in violazione del requisito richiesto ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, laddove la ricorrente fa richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito in particolare, alla "disdetta del contratto di locazione", alla "lettera raccomandata", alla "nota raccomandata del 2 gennaio 2004", al "contratto di locazione (all.to n. 4)" senza invero debitamente ed esaustivamente – per quanto in questa sede d’interesse – riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riportati, senza puntualmente ed esaustivamente indicare i dati necessari al reperimento in atti degli stessi (v. Cass., Sez. Un., 3/11/2011, n. 22726; Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass., 19/9/2011, n. 19069; Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628;
Cass., 12/12/2008, n. 29279).
A tale stregua la ricorrente non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1V2/1995, n. 1161).
Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione, dovendo viceversa essere questa Corte di legittimità posta dalla ricorrente in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali ritiene di censurare la pronunzia impugnata (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).
Con particolare riferimento al 3 e al 5 motivo va ulteriormente osservato che, laddove sostiene avere la corte di merito erroneamente fondato "la propria decisione … su un fatto non corrispondente al vero – la lettera di disdetta è stata ritirata dal portiere dello stabile – perchè ampiamente travisato", e che "il Giudice di seconda istanza fonda il proprio giudizio su un fatto no corrispondente alle circostanze concrete, atteso che nel caso di specie il locatore non ha disdettato il contratto alla prima scadenza, perchè vi ha espressamente rinunciato …", la ricorrente sembra invero inammissibilmente prospettare vizi deducibili con l’impugnazione per revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4 (v. Cass., 25/8/2006, n. 18498; Cass., 27/5/2005, n. 15672. V. altresì Cass., 18/1/2006, n. 830; Cass., 2/3/2006, n. 4660).
Orbene, emerge evidente alla stregua dei suesposti rilievi come, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dell’odierna ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., n. 4, si risolvono in realtà nella mera doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322 ), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).
Per tale via la ricorrente in realtà sollecita, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 2 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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