Cass. pen. Sez. VI, Ord., (ud. 24-01-2013) 21-02-2013, n. 8704 Cognizione del giudice d’appello reformatio in peius

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Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 7 novembre 2008, all’esito di giudizio abbreviato, il Giudice della udienza preliminare del Tribunale di Avezzano condannava P.F. alla pena di quattro anni di reclusione e 30.000 Euro di multa, in quanto responsabile del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e art. 80, comma 2, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alla recidiva infraquinquennale e alla contestata aggravante, per avere detenuto a fini di spaccio gr. 326,659 di cocaina, con percentuale di purezza pari al 58,5, idonea al confezionamento di 1.274 dosi medie.
2. A seguito di impugnazione dell’imputato, con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello dell’Aquila, pur escludendo l’aggravante della ingente quantità di sostanza stupefacente, riteneva che non fosse modificabile il giudizio di comparazione nel senso della prevalenza delle attenuanti generiche sulla recidiva, tenuto conto della particolare gravita della condotta in considerazione della quantità di sostanza stupefacente detenuta, indicativa di legami con ambienti criminali di elevato spessore.
3. Ricorre per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore avv. L. C., il quale deduce:
3.1. Inosservanza dell’art. 597 cod. proc. pen., dato che la esclusione della circostanza aggravante della ingente quantità di sostanza stupefacente avrebbe dovuto necessariamente comportare che il giudizio di comparazione tra aggravanti e attenuanti, già operato nel senso della equivalenza, fosse risolto nel senso della prevalenza di queste ultime.
3.2. Vizio di motivazione in punto di rilievo assegnato alla recidiva, basato solo sulla esistenza di precedente condanna e su un dato, quello del quantitativo di sostanza stupefacente, contestualmente svalutato.
3.3. Inosservanza dell’art. 192 c.p.p., comma 2, essendo stata la valutazione del collegamento con ambienti criminali fondata apoditticamente sul mero dato quantitativo.
Motivi della decisione
1. Il Collegio ritiene che il primo motivo di impugnazione, che ha natura pregiudiziale, impone una rimessione del ricorso alle Sezioni Unite, stante il ravvisato contrasto giurisprudenziale sul punto riassumibile nei seguenti termini: "Se, avuto riguardo alla regola di cui all’art. 597 c.p.p., comma 4, il giudice di appello possa confermare la pena applicata in primo grado, pur dopo l’accoglimento del motivo relativo alla esclusione di una circostanza aggravante, nel caso in cui nel giudizio di primo grado sia stato formulato un giudizio di equivalenza tra le circostanze e tale giudizio, residuando altre circostanze aggravanti, venga con specifica motivazione confermato".
2. Secondo un primo orientamento, da ultimo espresso, con argomentazioni diffuse, da Sez. 6, n. 41220 del 03/10/2012, Caravelli, n.m., al quesito deve essere data risposta positiva, rilevandosi che "la conferma in termini di pena da parte del giudice della impugnazione proposta dal solo imputato dell’esito del giudizio di comparazione tra circostanze, formulato nel grado di giudizio precedente, pur dopo … l’esclusione di un’aggravante …, non viola i principi posti dal terzo e quarto comma dell’art. 507 cod. proc. pen., essendo soggetta alla sola verifica di adeguatezza ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e)".
In senso analogo si sono pronunciate Sez. 4, n. 41566 del 27/10/2010, Tantucci, Rv. 248457; Sez. 1, n. 5697 del 28/01/2003, Di Giulio, Rv.
223442; nonchè Sez. 6, n. 13870 del 16/02/2010, Squillaci, Rv.
246685 (fattispecie in cui per la precisione veniva in questione il riconoscimento in appello di altra circostanza attenuante e non l’elisione di una circostanza aggravante) e Sez. 4, n. 10448 del 22/12/2009, dep. 2010, Ducoli, Rv. 246529 (fattispecie analoga alla precedente).
Nell’ambito di questo ordine di idee, per così dire restrittivo delle implicazioni derivanti dalla regola posta dall’art. 597 c.p.p., comma 4, merita poi citare una puntualizzazione, a quanto risulta isolata, espressa da Sez. 2, n. 46830 del 21/11/2003, Laurent, Rv.
228673, secondo cui "il giudice di appello, qualora ravvisi la sussistenza dei tentativo, non deve necessariamente attestarsi sulla pena base stabilita dal primo giudice per l’ipotesi consumata, ma deve valutare autonomamente la fattispecie tentata, ferma restando l’impossibilità di applicare una pena più grave".
3. Secondo un diverso orientamento, enunciato da ultimo da Sez. 1, n. 24895 del 28/05/2009, Calabrese, Rv. 243806, "in caso di condanna dell’imputato in primo grado per un reato aggravato, il giudice dell’appello che, su sua esclusiva impugnazione, escluda una o più circostanze aggravanti, non può, in sede di giudizio di comparazione, attribuire all’aggravante residuata un valore maggiore dell’attenuante ritenuta" (fattispecie nella quale, pur essendo state escluse l’aggravante di cui all’art. 112 cod. pen. e quella del nesso teleologia), la pena non era stata ridotta, essendosi riconosciuto un peso maggiore alla recidiva, ritenuta elisa dall’attenuante di cui all’art. 116 stesso codice).
Ma già precedentemente, sulla stessa linea, Sez. 5, n. 9250 del 28/07/1998, Floris, Rv. 211819, aveva recisamente affermato che "il giudice di appello che esclude una aggravante deve rivedere il giudizio di equivalenza di circostanze già espresso dal giudice di primo grado, in senso favorevole all’imputato, unico appellante"; e ciò perchè, diversamente, si produrrebbe una reformatio in pejus ove "il giudizio di equivalenza fosse ribadito nonostante l’esclusione di una aggravante".
La stessa ratio appare seguita da Sez. 4, n. 2432 del 20/02/1997, Zahirovic, Rv. 207571, secondo cui "il giudice dell’appello che concede ex novo altra attenuante deve rivedere il giudizio di equivalenza di circostanze già espressa dal giudice di primo grado in senso favorevole all’imputato, unico appellante, e dichiarare prevalenti le attenuanti in quanto arricchite del nuovo fattore comparativo".
E un analogo ordine di idee, pur se in fattispecie lievemente diversa, appare ricavarsi da Sez. 3, n. 40007 del 22/09/2011, Iqbai, Rv. 251471, così massimata: "Il giudice d’appello, che su impugnazione dell’imputato riformi la sentenza di condanna escludendo la sussistenza di una tra le più circostanze aggravanti contestate, non può confermare il precedente trattamento sanzionatorio pur quando (recte, qualora) il giudice di primo grado abbia ritenuto prevalente la circostanza attenuante su tutte le aggravanti, ma deve diminuire la pena inflitta corrispondentemente alla diminuzione del disvalore complessivo espresso dalle circostanze aggravanti residue".
4. La questione di diritto, su cui si è radicata una difformità di pronunce della Corte di cassazione (segnalata con la Relazione n. 1 del 2011 dell’Ufficio del Massimario), deve naturalmente inquadrarsi nella tematica del divieto di reformatio in pejus, di cui è espressione l’art. 597 c.p.p., commi 3 e 4, tema per il quale qui merita menzionare, con particolare riferimento al comma 4 del predetto articolo, che solo qui interessa, le due decisioni delle Sezioni Unite che ne hanno specificamente trattato.
Secondo Sez. U, n. 40910 del 27/09/2005, William Morales, Rv. 232066, "nel giudizio di appello, il divieto di reformatio in pejus della sentenza impugnata non riguarda solo l’entità complessiva della pena ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, per cui il giudice di appello, anche quando esclude una circostanza aggravante e per l’effetto irroga una sanzione inferiore a quella applicata in precedenza (art. 597 c.p.p., comma 4), non può fissare la pena base in misura superiore rispetto a quella determinata in primo grado".
Stando poi alla precedente decisione espressa da Sez. U, n. 5978 del 12/05/1995, Pellizzoni, Rv. 201034, "nei casi previsti dall’art. 597 c.p.p., comma 4 (accoglimento dell’appello dell’imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti), il giudice, oltre che essere vincolato dal generale divieto della reforrnatio in pejus, posto dal comma 3 del medesimo articolo, ha, "in ogni caso", il dovere di diminuire la pena complessivamente irrogata in misura corrispondente all’accoglimento della impugnazione".
5. In conclusione, stante l’evidenziato contrasto interpretativo, ad avviso del Collegio è opportuno rimetterne la risoluzione alle Sezioni unite penali, nei termini all’inizio precisati, a norma dell’art. 618 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Rimette il ricorso alle Sezioni Unite.
Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2013

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