Cass. civ. Sez. III, Sent., 24-07-2012, n. 12880 Espropriazione forzata di beni immobili Opposizione agli atti esecutivi Vendita forzata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

P. 1. F.S. ha proposto ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, avverso la sentenza del 28 febbraio 2009, con la quale il Tribunale di Catania in funzione di Giudice dell’Esecuzione, in accoglimento dell’opposizione agli atti esecutivi proposta dalla Sicilauto s.r.l. avverso il decreto con cui il giudice dell’esecuzione aveva escluso la validità dell’offerta da essa presentata in relazione alla disposta vendita senza incanto di un immobile nella procedura esecutiva iscritta al n. 65 del 1981, ha dichiarato la validità di detta offerta e la nullità degli atti successivi della procedura e del decreto di aggiudicazione, emesso frattanto a favore del F. in ragione della prosecuzione della procedura, a suo tempo non sospesa dal giudice dell’esecuzione.

L’opposizione della Sicilauto, qualificata ai sensi dell’art. 617 c.p.c. dal Giudice dell’Esecuzione, ancorchè denominata "reclamo", era stata proposta avverso l’ordinanza del 7 aprile 2005, con cui il Giudice dell’Esecuzione aveva considerato irrituale l’offerta della medesima, in quanto nella busta chiusa che la conteneva, unitamente agli altri due documenti richiesti, erano stati inseriti, a titolo di cauzione, due assegni circolari emessi dalla Banca Credem anzichè, come era stato prescritto nell’ordinanza dispositiva della vendita, dalla Banca Agricola Popolare di Ragusa.

A sostegno dell’opposizione era stato dedotto: a) che nessuna norma codicistica prevedeva l’esclusione dell’offerente che avesse depositato assegni emessi da un istituto di credito diverso da quella indicato, nè risultava che i tribunali italiani fossero soliti formulare tale indicazione; b) che una simile indicazione era contraria alla privacy dei singoli debitori, perchè consentiva alla banca indicata di conoscere le loro vicende, nonchè di monitorare l’andamento degli incanti; c) che essa era, altresì, contraria alla ratio della vendita senza incanto, individuabile nella prevenzione di possibili speculazioni o veri e propri illeciti (cioè le c.d. mafie d’asta); d) che nè l’estratto dell’ordinanza affisso all’albo, nè quello pubblicato sul sito internet contenevano l’indicazione dell’istituto che doveva emettere gli assegni; e) che l’esclusione dell’offerta si poneva in contrasto con la stessa ordinanza di vendita, poichè essa richiamava il punto 8 delle allegate disposizioni generali, secondo cui le offerte irregolari sarebbero rimaste valide.

Negata nella fase sommaria la sospensione, il giudizio a cognizione piena si svolgeva nel contraddicono di tutte le parti del processo esecutivo, fra le quali si costituivano soltanto la Banca Antonveneta ed il F..

p. 2. Il ricorso per cassazione è stato proposto dal F. contro la Sicilauto s.r.l, e le altre parti del processo esecutivo, cioè la Banca Antoniana Popolare Veneta, T.C., il Banco di Sicilia, la s.p.a. Sangemini, la Banca Popolare di Santa Venera, Si.Sa., D.S.M., M.O. (il cui prenome nell’intestazione del ricorso è indicato come G., mentre la relata di notifica è correttamente indirizzata), B.S., la Sangemini Ferrarelle s.p.a., la Banca Popolare di Credito di Siracusa e la Coppa & Berger, oggi Sanpellegrino s.p.a..

Soltanto la Sicilauto ha resistito con controricorso.

2.1. Il F. ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente la Corte rileva che è priva di fondamento l’eccezione della resistente di mancata notificazione del ricorso alle altre parti del processo esecutivo.

Il ricorso reca le relate di notificazione nei riguardi di tutte dette parti.

Le notifiche alla Sangemini Ferrarelle ed alla Sangemini risultano rifiutate da procuratori come tali indicati – evidentemente perchè, essendo rimaste contumaci dette parti nel giudizio di merito non apparivano comunque rituali – ma sono state, poi, eseguite a mezzo posta ritualmente.

2. Con il primo motivo di ricorso si denuncia "violazione e falsa applicazione di legge ex art. 111 Cost., comma 7 e art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 119 e 571 c.p.c, art. 86 disp. Att. c.p.c., anche con riferimento agli artt. 484 e 175 c.p.c.".

Vi si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha accolto l’opposizione agli atti riguardo al provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione aveva escluso la ritualità dell’offerta della Sicilauto (superiore a quella del F.), in quanto non effettuata, come prescritto nell’ordinanza dispositiva della vendita, con il deposito di assegni circolari a titolo di cauzione e spese, emessi dall’istituto di credito indicato dal giudice dell’esecuzione in detta ordinanza, bensì emessi da altro istituto di credito.

La motivazione con cui l’accoglimento dell’opposizione è stata giustificata ha avuto il seguente tenore: "E’…. pacifico che la vendita senza incanto, secondo quanto dispone l’art. 571 c.p.c., anche nel testo vigente all’epoca, prevede la possibilità, per il giudice, di stabilire il versamento della cauzione con assegno circolare, ma non già di stabilire quale debba essere l’istituto emittente. Da ciò consegue che, qualora il g.e. provveda, nel fissare le modalità di vendita senza incanto, ad una così minuziosa previsione, la violazione formale di tale provvedimento non può dar luogo a nullità dell’offerta. Come questo stesso Ufficio ha statuito in altra ipotesi (sentenza n. 1089/2007, prodotta dall’opponente), le minuziose istruzioni date nell’ordinanza di vendita circa il deposito delle somme, per cauzione ed anticipo di spese, a mezzo di assegni circolari non trasferibili emessi da un determinato istituto di credito non rientrano nel novero del contenuto del provvedimento che dispone la vendita indicato nell’art. 576 cod. proc. civ. a pena di nullità. Si tratta, invero, di prescrizioni che nulla hanno a che vedere con la regolarità formale della vendita ma di prescrizioni dettate allo scopo di semplificare i compiti e le incombenze, della cancelleria e/o del notaio delegato". Tale principio va condiviso anche nel caso di specie, i cui si controverte su una vendita senza incanto e non sulla vendita con incanto disciplinata dall’art. 576 (si noti che, nel precedente citato, sono stati considerati equipollenti, agli assegni circolari emessi dalla banca Agricola Popolare di Ragusa, addirittura degli assegni postali a firma non dell’offerente, ma di altra persona).".

La critica a questa motivazione è svolta dal F. nel motivo con le seguenti considerazioni: a) l’argomento della irrilevanza delle prescrizioni come quella circa l’indicazione dell’istituto di credito, configgerebbe con il fatto che compete al giudice dell’esecuzione fissare le modalità della cauzione e ciò sia ai sensi dell’art. 119 c.p.c., che dell’art. 86 disp. att. c.p.c., onde la modalità fissata non potrebbe essere ignorata da chi presta la cauzione, pena l’anarchia nello svolgimento del processo; b) le modalità fissate erano state ritualmente osservate dal ricorrente e non si vedrebbe ragione per penalizzarlo, solo perchè un altro offerente non è stato patimenti diligente; c) la tesi della sentenza impugnata si risolverebbe nel disconoscimento del proprio operato, essendo la fissazione delle modalità della cauzione espressione del potere di direzione del processo di cui agli artt. 484 e 175 c.p.c.;

d) detta tesi sarebbe contraria al principio di diritto affermato di queste Corte nella sentenza n. 4334 del 2009 nel senso che In tema di esecuzione forzata, il creditore procedente onerato dal versamento di una cauzione, ove ritenga – anche giuridicamente – impossibile prestare la cauzione nelle modalità fissate dal giudice, ha l’onere di chiedere al giudice medesimo di modificarle, mentre non gli è consentito scegliere autonomamente di prestare la cauzione con modalità diverse da quelle stabilite dal giudice.: di tale sentenza viene invocato il passo motivazionale che sorregge il detto principio di diritto.

p. 2.1. Il motivo, concluso da idoneo quesito di diritto, è ammissibile e fondato.

Queste le ragioni.

p. 2.1.1. In punto di inammissibilità erroneamente la resistente assume che le argomentazioni proposte dal motivo integrino questioni nuove non deducibili in sede di legittimità in quanto nuove, perchè non dedotte davanti al giudice del merito.

Invero, dette argomentazioni sono mere argomentazioni in iure volte ad evidenziare un error in iudicando della motivazione enunciata dal giudice di merito e non suppongono alcuna attività di allegazione di fatti storici nuovi e nemmeno attività di rilevazione in iure dell’efficacia di fatti storici già allegati o introdotti nel processo di merito, dei quali il potere di rilevazione fosse riservato alla parte o per essere essi fatti costitutivi e, quindi, appartenenti alla formulazione della domanda o – ed è il caso che qui rileverebbe, avendo avuto il F. la posizione di convenuto nel giudizio di merito – trattandosi di eccezione c.d. in senso stretto, sì che il potere di rilevazione della sua efficacia dovesse esercitarsi tempestivamente nel processo di merito nei relativi termini di preclusione delle eccezioni in senso stretto.

Onde è del tutto fuor di luogo evocare l’indeducibilità in cassazione di questioni nuove, la quale si connette appunto ai fenomeni appena indicati.

L’attività di illustrazione del motivo in iure ha costituito, invece, l’espressione della tipica attività che il ricorrente in cassazione deve compiere nell’illustrare un motivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4, cioè l’evidenziazione delle ragioni di erroneità del ragionamento in iure della sentenza impugnata attraverso l’evidenziazione dell’esatta interpretazione ed applicazione che le norme regolatrici della fattispecie, siano esse state considerate e male applicate o non applicate dal giudice d merito, siano esse state da lui ignorate, avrebbero dovuto avere.

p. 2.1.2. La fondatezza del motivo è giustificata dalle seguenti considerazioni.

In tanto è da premettere che la vicenda si colloca sotto l’applicazione della normativa di riferimento in tema di espropriazione immobiliare nei testi anteriori alle riforme della stagione 2005-2006.

Le norme che vengono in rilievo sono innanzitutto gli artt. 569 e 571 c.p.c..

Il testo della prima norma, per quanto interessa, regolava l’ordinanza dispositiva della vendita senza stabilirne espressamente i contenuti, a differenza di quanto oggi fa il nuovo testo della norma. Infatti, il comma 3 del vecchio testo si limitava a disporre che, in assenza di opposizioni o di accordo su di esse il giudice dispone con ordinanza la vendita, la quale si fa a norma degli articoli seguenti, se egli non ritiene opportuno che si svolga con il sistema dell’incanto. Gli articoli seguenti ai quali alludeva la norma erano quelli degli artt. 570-575, che il codice recava sotto la rubrica "vendita senza incanto".

L’esegeta dell’art. 569 nel testo de quo, di fronte all’apparente mancanza di disciplina contenutistica dell’ordinanza dispositiva della vendita senza incanto, doveva, tuttavia, (oltre ad individuare un suo contenuto necessario nell’indicazione del valore determinato ai sensi dell’art. 568 c.p.c.) considerare che, essendo funzionale l’ordinanza de qua allo svolgimento della vendita secondo le previsioni di cui all’art. 570 e segg., il principio della idoneità dell’atto al raggiungimento dello scopo che in generale deve determinare i contenuti del provvedimento del giudice quando non ne è direttamente individuato il contenuto e, tuttavia, nella sequenza processuale, l’atto debba assicurare l’applicazione di altre norme, comportava che l’ordinanza dovesse necessariamente avere non solo tutti i contenuti minimali indispensabili a garantire l’applicazione delle norme de quibus, ma anche che potesse avere contenuti eventualmente anche solo finalizzati ad assicurare la loro applicazione nel modo dal giudice ritenuto più idoneo ai fini dell’ottimale svolgimento della procedura esecutiva.

In tale prospettiva, assumeva rilievo – per quanto in questa sede interessa – la circostanza che l’art. 571 c.p.c. nel vecchio testo prevedeva, dopo avere regolato nel primo la legittimazione a proporre l’offerta di acquisto, e le modalità di essa, nonchè quelle dell’eventuale adempimento, che "l’offerta non è efficace se è inferiore al prezzo determinato a norma dell’art. 568 e se l’offerente non presta cauzione in misura non inferiore al decimo del prezzo da lui proposto".

Ora, nella previsione di quella norma la prestazione della cauzione risultava imposta direttamente dalla legge, nel senso che era da essa che direttamente discendeva l’imposizione dell’onere della cauzione.

Sotto tale profilo è certamente vero che l’ordinanza dispositiva della vendita non dovesse avere come contenuto necessario al raggiungimento del suo scopo la previsione della cauzione, dato che esso discendeva direttamente dalla legge. Nè poteva ritenersi che contenuto necessario dovesse essere almeno quello della determinazione del modo della cauzione, dato che, al silenzio dell’ordinanza, suppliva l’art. 86 disp. att. c.p.c., il quale, com’è noto, disponeva come dispone che salvo che sia diversamente disposto dal giudice a norma dell’art. 119 c.p.c., la cauzione deve essere prestata in danaro o in titoli del debito pubblico nei modi stabiliti per i depositi giudiziali.

In mancanza di determinazione del modo della cauzione nell’ordinanza di vendita poteva, dunque, supplire direttamente, al fine dell’individuazione della sua forma, l’art. 86.

Tuttavia, la previsione stessa dell’onere della cauzione, una volta raccordata con questa norma e con l’art. 119 c.p.c., comportava che, qualora lo avesse ritenuto opportuno e funzionale al miglior svolgimento della procedura esecutiva, il giudice dell’esecuzione potesse nell’ordinanza dispositiva della vendita disporre la forma della cauzione. L’art. 86, infatti, fa salvo il potere del giudice di fissare la forma della cauzione e, nel far salvo tale potere si riferisce anche al caso in cui l’imposizione della cauzione discende direttamente da una previsione di legge e non solo a quello in cui la legge prevede che il giudice possa imporre una cauzione. La norma, cioè, disciplina sia il caso in cui la legge prescrive essa stessa come obbligatoria una cauzione, sia quello in cui preveda il potere del giudice di fissarla. La previsione della forma in mancanza dell’esercizio del potere del giudice si presta ad svolgere la sua funzione suppletiva per l’uno e per l’altro caso, restandone escluse solo l’ipotesi in cui la legge preveda direttamente la forma della cauzione e quella in cui la legge prevede il potere del giudice di fissarla, ma con predeterminazione della modalità.

p. 2.1.3. Dunque, quando una cauzione è prevista come obbligatoria dalla legge l’art. 86 consente al giudice di fissarne l’oggetto, il modo di prestarla e il termine, salvo che regoli essa stessa una di tali contenuti. Solo se il giudice, in mancanza di determinazione di tali contenuti, non eserciti il potere, soccorre, quanto alla modalità, lo stesso art. 86.

Ebbene, l’art. 571, comma 2, vecchio testo disciplinava espressamente solo il valore della cauzione, imponendo che esso si commisurasse ad un decimo del prezzo offerto dall’offerente. Non era possibile ritenere che, essendo il prezzo determinato in danaro, la cauzione dovesse esserlo a sua volta: se la legge avesse voluto che l’oggetto della cauzione dovesse essere necessariamente il danaro, avrebbe previsto, infatti, che l’offerente prestasse "a titolo di cauzione un decimo del prezzo proposto". In tal modo la previsione della legge si sarebbe concretata nell’individuazione della forma della cauzione. In mancanza, trovavano piena applicazione l’art. 86 e, di riflesso, il potere del giudice di individuare ai sensi dell’art. 119 c.p.c. il modo di prestare la cauzione.

L’assenza di regolamentazione legislativa espressa del modo di prestare la cauzione di cui all’art. 571, comma 2 nel testo in discorso consentiva allora al giudice dell’esecuzione di fissare, ferma l’individuazione dell’oggetto e della misura direttamente fatti dalla norma, di stabilire, ai sensi dell’art. 119 c.p.c. il modo di prestarla. Solo in mancanza di esercizio del potere del giudice suppliva direttamente l’art. 86.

Il giudice dell’esecuzione presso il Tribunale di Catania poteva, pertanto, stabilire le modalità di prestazione della cauzione.

Ora, la norma dell’art. 571 c.p.c., comma 2, nel sancire l’inefficacia dell’offerta in caso di mancanza di prestazione della cauzione, quando il giudice dell’esecuzione avesse esercitato il potere di fissazione delle modalità della sua prestazione, non poteva che essere intesa nel senso che la sanzione dell’inefficacia fosse ricollegata alla mancata prestazione della cauzione nel modo stabilito dal giudice dell’esecuzione.

Una volta esercitato il potere del giudice di fissazione della cauzione, essa si identifica necessariamente solo in quella le cui modalità sono state individuate dal giudice.

Di modo che chi era tenuto a prestare la cauzione non può pretendere di versarla in un modo diverso.

La sua posizione è vincolata e, semmai, se egli è già parte del processo, può solo esercitare l’eventuale potere di sollecitare il giudice a modificare il provvedimento in tempo utile per la prestazione della cauzione. E ciò questa Corte ha già osservato nel precedente invocato dal ricorrente.

Se egli non è parte del processo ed è il soggetto che deve prestare la cauzione, in quanto voglia entrare nel processo per esercitare il potere che il provvedimento al quale la cauzione è correlata sia diretto a provocare, com’è nel caso del quivis de populo che raccolga l’invito a offrire in relazione ad un avviso di vendita senza incanto, non ha altre alternative che osservare il provvedimento, ivi compresa la modalità di prestazione della cauzione.

Si deve, dunque, ritenere che nel vigore del vecchio art. 571 c.p.c., comma 2, la prestazione della cauzione con una modalità diversa da quella eventualmente indicata dal giudice dell’esecuzione nell’ordinanza di vendita equivalesse a mancata prestazione della cauzione.

La sanzione per tale comportamento era stabilita direttamente dalla legge ed era quella dell’inefficacia.

p. 2.1.4. D’altro canto, la necessità che il provvedimento del giudice di fissazione delle modalità della prestazione della cauzione dovesse essere osservato nella sua integralità e, quindi, con riferimento al caso di specie, quanto alla modalità di prestazione tramite assegni circolari emessi da un certo istituto, e, all’opposto l’esclusione della idoneità ad evitare l’inefficacia della cauzione prestata mediante assegni emessi da altro istituto, si giustifica sia sulla base di considerazioni formali, sia sulla base di considerazioni funzionali.

Sotto il primo aspetto, essendo l’ordinanza dispositiva della vendita riconducibile all’ambito dell’art. 487 c.p.c., comma 1, e, quindi, disciplinata anche dal suo comma 2, che fa rinvio alle norme dell’art. 176 c.c. e segg. e, dunque, anche all’art. 177, essa è modificabile o revocabile dal giudice che l’ha emessa e non dall’unilaterale decisione del soggetto che debba osservarla: se si consentisse all’offerente di provvedere alla cauzione in modo diverso da quello fissato dall’ordinanza del giudice si avrebbe l’inammissibile conseguenza che si darebbe rilievo ad una modifica operata da detto soggetto, il che contraddice l’attribuzione al giudice del potere ordinatorio sotteso alla sua adozione.

Sotto il secondo aspetto, si deve osservare che ammettere che l’offerente possa discostarsi dal provvedimento del giudice, si concreterebbe in una duplice inammissibile conseguenza: per un verso si avrebbe che la valutazione di opportunità che ha indotto il giudice dell’esecuzione a determinare una specifica modalità di prestazione della cauzione ne riuscirebbe sacrificata in manifesta contraddizione con il potere del giudice di direzione dell’esecuzione, di cui all’art. 484 c.p.c.; per altro verso si determinerebbe la conseguenza che lo spedito svolgimento del processo esecutivo ne riuscirebbe automaticamente inciso, in quanto la prestazione della cauzione con modalità distinte da quelle fissate sarebbe occasione, o introdotto, come lo è stato nella specie, dallo stesso offerente di fronte alla dichiarazione di inefficacia, con la contestazione della sua illegittimità od anche inopportunità, o introdotto dagli altri offerenti o dalle stesse parti del processo esecutivo. La determinazione di una situazione di possibile contenzioso in questo caso dipenderebbe da un comportamento dell’offerente che si vorrebbe sottratto alla sanzione dell’inefficacia con cui la legge ha inteso preservare la prestazione della cauzione e che sarebbe tenuto da lui consapevolmente.

Non solo: poichè l’esclusione della inosservanza delle modalità stabilite dal giudice dalla sanzione dell’inefficacia, sub specie di equivalenza alla mancanza materiale di prestazione della cauzione, dovrebbe comportare una situazione nella quale occorrerebbe distinguere se l’inosservanza sia di tale gravità da integrare un ostacolo all’ammissione della validità della prestazione della cauzione in modo difforme, si determinerebbe, tutto al contrario di quello che il legislatore aveva voluto, una situazione nella quale si dovrebbe fare luogo ad una valutazione, con la conseguenza di un’oggettiva incertezza, del tutto priva di funzionalità per la speditezza del processo esecutivo.

Viceversa, considerare vincolante quanto stabilito nell’ordinanza circa le modalità della prestazione della cauzione, si risolve in disparte comunque le notazioni svolte circa il significato del potere del giudice di fissazione delle modalità della cauzione – in una garanzia di ordinato svolgimento del processo.

Non è senza rilievo, d’altro canto, che l’adozione delle modalità di prestazione della cauzione da parte del giudice dell’esecuzione di norma è espressione di un potere che viene esercitato (e se ne ha l’eco proprio nella stessa sentenza impugnata) in modo uniforme in tutte le procedure ed è il risultato di valutazioni che l’ufficio compie verosimilmente in funzione dell’assicurazione di ciò che può seguire all’evolversi delle procedure, anche per quanto attiene alle attività dell’ufficio e, quindi, in funzione dello svolgimento di esse nel modo migliore e più economico.

D’altro canto, eventuali singolarità della fissazione delle modalità della prestazione della cauzione da parte del giudice dell’esecuzione od anche eventuali modalità che ipoteticamente siano ispirate a fini estranei all’ottimale svolgimento della giurisdizione, ben possono essere suscettibili di controllo diretto delle parti del processo esecutivo, che possono impugnare la stessa ordinanza dispositiva della vendita, nonchè di controllo disciplinare.

Le complessive considerazioni svolte a questo punto comportano l’insostenibilità di un argomento interpretativo che in prima battuta suggestivamente si potrebbe prospettare nel senso che, avendo le novelle del 2005-2006, modificano con varie sostituzioni ed integrazioni la disciplina emergente dall’art. 569 e dall’art. 571, prevedendo espressamente nel nuovo comma 3 del primo, fra i contenuti dell’ordinanza giudiziale, la fissazione delle modalità di prestazione della cauzione e nell’art. 571, comma 2 nuovo che l’offerta non è efficace se l’offerente non la presta con le modalità stabilite nell’ordinanza di vendita, tanto evidenzierebbe una sorta di argomento esegetico per giustificare che quelle modalità antecedentemente non potevano avere quell’effetto.

Tale argomento, come accade ogni volta che il legislatore accoglie espressamente modificando una norma un contenuto che ad essa era attribuibile antecedentemente al di là di espressioni letterali, sarebbe intrinsecamente fallace, perchè il legislatore in questi casi non vuole certo esprimere una sorta di interpretazione contraria del vecchio testo, sì da darne un’interpretazione autentica. Per questa, proprio per l’equivocità del significato dell’introduzione del contenuto prima non espresso, sarebbe necessaria un’affermazione di interpretazione autentica apposta e formulata expressis verbis.

La novellazione legislativa, in sostanza, si presta ad esser intesa come consacrazione formale di ciò che prima la legge conteneva implicitamente ed era desumibile in via esegetica.

p. 2.1.5. Il primo motivo è, dunque, accolto.

Ne riescono assorbiti gli altri.

p. 2.1.6. La sentenza è cassata e, poichè, non occorrono accertamenti di fatto per decidere sull’opposizione a suo tempo proposta dalla Sicilauto, atteso che la sua offerta era inefficace per mancanza di prestazione della cauzione ai sensi del vecchio art. 571 c.p.c., comma 2, ad essa equivalendo la prestazione nella forma diversa da quella indicata dall’ordinanza di fissazione della vendita, può farsi luogo a decisione nel merito con il suo rigetto.

La novità della questione esaminata integra giusti motivi per compensare sia le spese del giudizio di merito, sia quelle del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso. Dichiara assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e, pronunciando nel merito, rigetta l’opposizione agli atti esecutivi proposta dalla Sicilauto.

Compensa le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 26 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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