Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-01-2013) 20-02-2013, n. 8094 Prova penale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 11/11/2011, la Corte di appello di Potenza, confermava la sentenza del Tribunale di Matera, in data 13/10/2010, che aveva condannato A.F. alla pena di anni 9 di reclusione ed Euro 3.500,00 di multa per i reati di rapina pluriaggravata e sequestro di persona in concorso con altre quattro persone non identificate.

2. La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello, in punto di affidabilità dei risultati della comparazione del DNA e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale responsabilità dell’imputato in ordine ai reati a lui ascritti, ed equa la pena inflitta.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando due motivi di gravame.

3.1 Con il primo motivo deduce mancata assunzione di una prova decisiva e vizio della motivazione. Al riguardo eccepisce l’assoluta impossibilità di svolgere una valutazione sull’attendibilità degli esiti delle conclusioni peritali del C.T. del P.M. prof. D.N., non essendo stati riportati gli elettroferogrammi (i grafici che consentono di valutare la corrispondenza del DNA dei soggetti indagati). L’assenza di qualunque riscontro documentale rende impossibile valutare la correttezza delle conclusioni raggiunte dal C.T. Pertanto le conclusioni a cui sono pervenuti i giudici del merito appaiono illogiche in quanto fondate su un atto di fede nell’operato del Consulente tecnico, che prescinde da ogni possibilità di riscontro.

3.2 Con il secondo motivo si duole che i giudici di merito abbiano svalutato l’alibi fornito dall’imputato, non dando credito alle dichiarazioni del teste R. che confermava la presenza dell’ A. sul posto di lavoro il giorno della rapina.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

2. Preliminarmente occorre rilevare che le conclusioni a cui sono pervenuti i giudici del merito in punto di responsabilità dell’imputato sono fondate sulla concordanza di due gravi elementi indiziari:

a) l’utilizzo da parte dell’ A. di uno dei telefoni cellulari sottratti ai dipendenti della banca rapinata;

b) la prova del DNA effettuato sulle tracce biologiche rilevate in una busta lasciata dai rapinatori sul luogo della rapina.

3. Tanto premesso, non possono essere accolte le censure del ricorrente in ordine all’affidabilità dei risultati dell’indagine sul DIMA in quanto, come ha correttamente osservato la Corte d’Appello il ricorrente ben avrebbe potuto fornire ai propri consulenti un campione biologico dal quale estrarre il DNA per confutare i risultati degli accertamenti compiuti dal consulente del P.M..

4. Ugualmente infondate sono le censure sollevate con il secondo motivo di ricorso in ordine alla svalutazione della prova d’alibi dell’imputato. In punto di diritto occorre rilevare che la sentenza appellata e quella di appello, quando non vi è difformità sulle conclusioni raggiunte, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logico-giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Nel caso di specie il Tribunale ha specificamente motivato in ordine alle prove a discarico addotte dalla difesa, escludendo che potessero essere in grado di scalfire gli elementi di prova che militano nel senso della responsabilità dell’imputato. Al riguardo il Tribunale ha osservato che "datore di lavoro e colleghi dell’ A. non sono stati in grado di fornirgli alcun alibi per la giornata del (OMISSIS). D’altro canto i documenti di lavoro prodotti in atti non sono affatto decisivi a dimostrare la presenza dell’imputato in un luogo diverso e distante da quello della rapina:

ed infatti, acclarato attraverso la deposizione di R.G., titolare dell’impresa edile presso cui l’imputato lavorava, che non vi era alcun registro di rilevazione delle presenze del personale in cantiere, che il titolare medesimo provvedeva semplicemente a segnare sull’agendina personale, è evidente come nessuna certezza sulla presenza al lavoro dell’ A. in un cantiere della provincia di Taranto possa trarsi sia dalla busta paga del mese di aprile, contenente semplicemente l’indicazione delle ore lavorate nel mese (n.56), sia dalla registrazione riportata dal libro paga compilato dal commercialista (che segna 8 ore di lavoro per l’imputato il (OMISSIS)), non valendo essa come rilevazione immediata e diretta della presenza del lavoratore, ma ben potendo essere una registrazione postuma e di comodo".

5. Non può dubitarsi, pertanto, della tenuta argomentativa della motivazione che sorregge le conclusioni in ordine alla non decisività degli elementi di prova a discarico, nè sarebbe possibile un intervento di questa Corte in sovrapposizione argomentativa rispetto alle conclusioni cui sono pervenuti i giudici del merito.

6. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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