Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 24-01-2013) 15-02-2013, n. 7502

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Venezia riformava parzialmente – limitando la data finale di commissione dei reati di maltrattamenti e di lesioni personali al Natale del 2005, riqualificando le condotte successive tenute fino all’aprile del 2006 in termini di ingiurie, riconoscendogli le circostanze attenuanti generiche e rideterminando conseguentemente la pena finale, pure concedendo il beneficio della sospensione condizionale della relativa esecuzione – e confermava nel resto la pronuncia di primo grado con la quale il Tribunale di Belluno, dichiarata la prescrizione con riferimento alle condotte illecite tenute in danno del figlio minore S., aveva condannato alla pena di giustizia B.G. in relazione ai delitti di cui agli artt. 81, 572 e 582 cod. pen., per avere maltrattato la moglie convivente D.B., sistematicamente ed abitualmente percuotendola con sberle, calci e pugni, in presa a stati d’ira riconducibili al cronico abuso di sostanza alcoliche, offendendo quotidianamente l’onore e il decoro della donna con ingiurie urlate quali "troia, puttana", facendosi mantenere dalla stessa, spintonandola violentemente ogni volta che cercava di ribellarsi, in un’occasione (nel Natale del 2005) rompendole un dente con un pugno, minacciandola di morte tanto da indurla a fuggire dall’abitazione e a rifugiarsi da amici e parenti per preservare la propria incolumità fisica, cagionando un’atmosfera di costanti soprusi psicologici, sofferenza ed umiliazione, tanto da rendere la convivenza insostenibile al punto che i tre figli della donna avevano deciso in epoche diverse di allontanarsi dalla casa familiare. La Corte di appello confermava, altresì, la condanna dell’imputato al risarcimento dei danni patiti dalla parte civile B., in conto dei quali veniva stabilita una provvisionale di 10.000 Euro.

Rilevava la Corte come gli elementi di prova acquisiti durante l’istruttoria dibattimentale, in specie le attendibili dichiarazioni rese dalle due persone offese, la moglie B.D. ed il figlio B.S., in parte riscontrate anche dalle deposizioni di altri testimoni, fossero idonei a dimostrare la colpevolezza dell’imputato in ordine ai reati così come precisati quanto alla loro durata ed alla qualificazione giuridica dei fatti.

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso B.G., con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto, articolati in sei distinti punti, i seguenti cinque motivi.

2.1. Vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte di appello omesso di individuare la data iniziale di commissione dei reati contestati.

2.2. Vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte veneziana confermato la condanna dell’imputato in ordine ai delitti addebitatigli, senza considerare la scarsa attendibilità delle dichiarazioni rese dalle persone offese, in particolare quelle della B. già affetta da gravi disturbi depressivi, deposizioni pure contrastate dalle testimonianze offerte da altre persone informate, in particolare quelle degli altri due figli della coppia, D.e B.L..

2.3. Violazione di legge, in relazione all’art. 121 e art. 178 cod. proc. pen., comma 1, lett. c) e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte distrettuale del tutto omesso di valutare la documentazione medica allegata ad una memoria difensiva depositata nel corso del giudizio di secondo grado, idonea a provare come l’imputato, a causa di un intervento chirurgico, fin dal 2001, fosse afono e non fosse in grado di poter "urlare" gli epiteti offensivi alla moglie riportati nel capo d’imputazione; e per avere illogicamente ritenuto che le condizioni fisiche del prevenuto consentissero comunque di commettere il reato di ingiurie in danno della coniuge.

2.4. Violazione di legge, in relazione all’art. 572 cod. pen., e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto sussistente il delitto abituale di maltrattamenti in famiglia, nonostante le emergenze processuali avessero dimostrato l’esistenza di isolati episodi di contrasto tra coniugi, avvenuti a notevole distanza l’uno dall’altro.

2.5. Mancata assunzione di una prova decisiva (con correlate violazione di legge, in relazione all’art. 507 cod. proc. pen., e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità), per avere la Corte di appello ingiustificatamente negato la necessità dell’espletamento di una perizia psichiatrica sulla persona offesa B., i cui esiti avrebbero potuto meglio indirizzare le valutazioni dei giudici di merito sulla capacità a testimoniare e sulla stessa attendibilità delle dichiarazioni della donna.

Motivi della decisione

1. Ritiene la Corte che il ricorso sia inammissibile.

2. Il primo motivo del ricorso è inammissibile per carenza di interesse. Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale nel sistema processuale penale la nozione di interesse ad impugnare non può essere basata su un generico concetto di soccombenza – a differenza delle impugnazioni civili che presuppongono un processo di tipo contenzioso, quindi una lite intesa come conflitto di interessi contrapposti – ma va piuttosto individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un’utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo (così, di recente, Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, Marinaj, Rv.

251693): dunque, l’interesse richiesto dall’art. 568 cod. proc. pen., comma 4, quale condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione, deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste soltanto se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione immediata più vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella esistente (Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, Rv. 203093; Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, Rv. 202269;

Sez. U, n. 6563 del 16/03/1994, Rv. 197535).

Nel caso di specie il ricorrente si è sì doluto che i reati, per i quali era stato condannato, gli erano stati contestati senza l’indicazione della data di inizio delle relative condotte delittuose, essendo stati, invece, precisati solo i periodi della loro cessazione (peraltro, poi modificati dalla Corte di appello), ma non ha chiarito quale effettivo pregiudizio egli avesse subito da quella omissione ovvero dalla presunta indeterminatezza dell’imputazione. In altri termini, il B. non ha precisato quale suo aspetto del diritto di difesa sia stato violato: e ciò è tanto più significativo ove si consideri che la mancata puntualizzazione della data inizio riguarderebbe al più il delitto di maltrattamenti in famiglia (essendo stati collegati cronologicamente il reato di lesioni personali al Natale del 2005 e quello di ingiurie al periodo dal Natale del 2005 all’aprile del 2006), reato abituale rispetto al quale è, invero, del tutto ininfluente la precisazione della data di inizio, essendo invece utile, a vari fini, la definizione – nel caso di specie correttamente effettuata – della data di conclusione della sua prolungata commissione.

E’ appena il caso di aggiungere che è pure aspecifica la doglianza difensiva circa la limitazione (operata dalla Corte territoriale) all’aprile del 2006 delle condotte, qualificate in termini di ingiurie, originariamente addebitate all’imputato come commesse fino al 23/10/2006.

3. Il secondo ed il quarto motivo del ricorso sono inammissibili perchè presentati per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.

Il ricorrente, infatti, solo formalmente ha indicato, come motivo della sua impugnazione, un vizio della motivazione della sentenza gravata, ma non ha, invero, prospettato alcuna contraddizione logica, intesa come implausibilità delle premesse dell’argomentazione, irrazionalità delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni. Nè è stata lamentata, come pure sarebbe stato astrattamente possibile, un’incompleta descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione, intesa come incompletezza dei dati informativi desumibili dalle carte del procedimento.

Il B. si è limitato sostanzialmente a criticare il significato che la Corte di appello aveva dato al contenuto delle emergenze acquisite durante l’istruttoria dibattimentale di primo grado. E tuttavia, bisogna rilevare come il ricorso, lungi dal proporre un "travisamento delle prove", vale a dire una incompatibilità tra l’apparato motivazionaie del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell’intera motivazione, sia stato presentato per sostenere, in pratica, una ipotesi di "travisamento dei fatti" oggetto di valutazione, sollecitando una inammissibile rivalutazione dell’intero materiale dell’istruttoria rispetto al quale è stata proposta una spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte territoriale, nell’ambito di un sistema motivazionale logicamente completo ed esauriente.

Questa Corte, pertanto, non ha ragione di discostarsi dal consolidato principio di diritto secondo il quale, a seguito delle modifiche dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), ad opera della L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, mentre è consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di "travisamento della prova", che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova obiettivamente ed incontestabilmente diverso da quello reale, non è affatto permesso dedurre il vizio del "travisamento del fatto", stante la preclusione per il giudice di legittimità a sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si domanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, qual è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (così, tra le tante, Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215).

Con argomentazioni esaurienti e prive di vizi di manifesta illogicità, dunque insindacabili in questa sede, la Corte veneziana ha spiegato, per un verso, come la colpevolezza dell’imputato fosse stata dimostrata dalle precise dichiarazioni della persona offesa B. le quali, oltre ad essere state riscontrate dalla deposizione dell’altra persona offesa, il figlio minore S., erano state corroborate dai chiarimenti offerti dagli altri due figli della coppia, D. e L., i quali avevano confermato l’esistenza sia degli episodi di violenza del padre in danno della madre cui avevano assistito personalmente, sia il contenuto delle confidenze ricevute dalla madre e gli esiti delle percosse riscontrate sul viso e della genitrice (v. pag. 5 della sentenza impugnata); per altro verso, come la configurabilità dell’abituale delitto di maltrattamenti fosse stata comprovata dall’esistenza di episodi di violenza fisica e verbale che, per la loro frequenza, continuità e intensità, avevano integrato una situazione "di sistematica ed abituale prevaricazione fisica e verbale ad opera dell’imputato nei confronti della moglie, atti di continuo disprezzo (e) umiliazione nei confronti della donna, che, accompagnati da una serie di gesti lesivi dell’integrità fisica, (erano) stati tali da provocare nella stessa uno stato di avvilimento e di profonda sofferenza" (v. pag. 6 sent. impugn.) 4. Il terzo motivo è manifestamente infondato.

Quanto alla doglianza relativa all’asserita omessa valutazione della documentazione prodotta dalla difesa con una memoria depositata nel corso del giudizio di secondo grado, va osservato come, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il provvedimento impugnato non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti ed a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo è stato tenuto presente, sì da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (così, tra le molte, Sez. 4, n. 26660 del 13/05/2011, Caruso, Rv. 250900; Sez. 2, n. 13151 del 10/11/2000, Gianfreda, Rv. 218590).

Alla stregua di tale principio di diritto, il motivo difensivo risulta del tutto privo di pregio, avendo la Corte distrettuale chiarito che l’accertata consumazione delle ingiurie in danno della moglie non fosse stata affatto incompatibile con le condizioni fisiche dell’imputato il quale, in ragione di un intervento chirurgico subito, aveva certamente una limitata capacità di esprimersi, ma che tanto non gli aveva impedito del tutto quella capacità, nè aveva ostacolato, in uno specifico contesto quale quello familiare, di comunicare con i prossimi congiunti e formulare insulti e minacce percepibili dai destinatari (v. pag. 6 sent.

impugn.).

5. Anche il quinto motivo è manifestamente infondato.

Questa Corte ha reiterata mente evidenziato come la perizia, per il suo carattere "neutro", sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, non solo non possa costituire oggetto del diritto delle parti alla prova a mente dell’art. 190 cod. proc. pen., ma non possa neppure farsi rientrare nel concetto di prova decisiva: con l’inevitabile conseguenza che il relativo provvedimento di diniego non è "sanzionabile" ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. d), in quanto giudizio di fatto che, se sorretto da adeguata motivazione, è insindacabile in cassazione (così, tra le tante, Sez. 4, n. 4981 del 05/12/2003, Rv. 229665; Sez. 2, n. 835 del 14/11/2003, Musumeci, Rv. 227859, Sez. 4, n. 34089 del 07/07/2003, Bombino, Rv. 226330).

Nel caso di specie va rilevato come la Corte di appello di Venezia abbia spiegato, con motivazione congrua ed immune da censure di illogicità, che il processo non aveva offerto spunti tali da rendere indispensabile una perizia psichiatrica sulla persona offesa D. B., in quanto gli elementi già acquisiti sulla personalità della donna, in specie quelli emergenti da una consulenza tecnica di parte, avevano permesso di acclarare che la predetta era sì affetta da modesti disturbi depressivi ed era stata sottoposta a cure farmacologiche ed a ricoveri, ma che la stessa era persona dotata di "adeguata affettività e di un corretto contatto con la realtà", ed aveva reso deposizioni dal contenuto semplice, talvolta riferendo di fatti "sovrapposti", ma che tanto non ne avevano inficiato la capacità a testimoniare nè l’attendibilità globale, anche tenuto conto che le sue indicazioni accusatone erano risultate in più parti riscontrate dalle dichiarazioni rese da altri testimoni, quali, soprattutto, i due figli D. e B.L., delle cui testimonianze e della loro valenza dimostrativa si è già fatto cenno (v. pagg. 2 e 5 della sentenza impugnata).

6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento in favore dell’erario delle spese del presente procedimento ed al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma, che si stima equo fissare nell’importo indicato nel dispositivo che segue.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2013
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