Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 24-01-2013) 15-02-2013, n. 7501 Circostanze del reato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Milano confermava la pronuncia di primo grado con la quale il Tribunale della stessa città aveva condannato alla pena giustizia M. C. in relazione al delitto di cui all’art. 81 cod. pen. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 commi 1 e 6, per avere, in (OMISSIS), dal settembre al novembre del 2008, in concorso con A. P. e S.B., ceduto in numerose occasioni a Z.G. dosi del valore ogni volta di 20-40 Euro, contenenti quantitativi imprecisati di sostanza stupefacente del tipo cocaina; con l’aggravante dell’aver commesso il fatto concorso con altre due persone.

Rilevava la Corte come gli elementi di prova acquisiti durante l’istruttoria dibattimentale, in specie le dichiarazioni rese ed il riconoscimento fotografico effettuato dallo Z., fossero idonei a dimostrare la colpevolezza dell’imputato in ordine al reato addebitatogli; e come al prevenuto non potesse essere riconosciuta la circostanza attenuante del fatto di lieve entità poichè, al di là del valore ponderale della dosi di droga ogni volta cedute, la condotta dell’imputato si era inserita in un più ampio contesto di criminalità che era di ostacolo alla concessione di quell’attenuante.

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il C., con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto i seguenti tre motivi.

2.1. Violazione di legge, in relazione all’art. 530 cod. proc. pen., e vizio di motivazione, per avere la Corte di appello confermato la decisione di condanna di primo grado sulla base di un riconoscimento fotografico di incerta valenza probatoria, tenuto conto che il teste Z. aveva ammesso di aver visto con difficoltà, a causa del buio, il volto dei giovani che, di volta in volta, gli avevano ceduto le dosi di stupefacente.

2.2. Violazione di legge, in relazione al D.P.R. cit., art. 73, comma 5, e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale negato all’imputato il riconoscimento della relativa circostanza, benchè fosse risultato un coinvolgimento del C. solo in alcuni specifici episodi di cessione di dosi di cocaina di ridotta entità ponderale, non potendo valorizzare elementi fattuali attinenti ad altri imputati e non direttamente riferibili al prevenuto.

2.3. Violazione di legge, in relazione all’art. 521 cod. proc. pen., per avere la Corte distrettuale giudicato il C. con riferimento allo specifico delitto contestatogli al capo c) dell’imputazione, utilizzando elementi di prova concernenti condotte oggetto di addebiti mossi ad altri imputati, e così sostanzialmente riconoscendo la sua responsabilità con riferimento a fatti diversi da quelli contestati.

Motivi della decisione

1. Ritiene la Corte che il ricorso sia inammissibile.

2. Il primo motivo del ricorso è stato presentato per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.

Il ricorrente, lungi dall’evidenziare reali lacune manifeste o incongruenze capaci di disarticolare l’intero ragionamento probatorio adottato dai giudici di merito, ha formulato censure che riguardano sostanzialmente la ricostruzione dei fatti e che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze già valutate dalla Corte di appello di Milano: censure, come tali, non esaminabili dalla Cassazione, tenuto conto che il controllo in sede di legittimità preclude una "incursione nei fatti", avendo lo stesso lo scopo di permettere una verifica congruenza logica della motivazione della sentenza oggetto del ricorso.

Alla luce di tale principio, bisogna riconoscere come, nella fattispecie, con motivazione completa e priva di vizi di logicità, i giudici di merito abbiano dato contezza degli elementi probatori sui quali si era fondata l’affermazione di colpevolezza del C. in ordine al delitto ascrittogli, rilevando come il teste Z., il quale aveva riferito con dovizia di particolari i tempi e le modalità di acquisto della cocaina nei pressi dell’abitazione del P., aveva riconosciuto senza incertezze – così come aveva fatto già nel corso della fase delle indagini preliminari – nella fotografia del C., individuata tra le molteplici foto dell’album esibitogli, quella del giovane "piccolino" che, in alcune occasioni, gli aveva consegnato la droga e al quale aveva pagato la somma stabilita come corrispettivo; e come la ridotta distanza tra i due, l’orario serale e la presenza di un cancello non avessero impedito al teste di cogliere le fattezze peculiari del soggetto che gli aveva consegnato lo stupefacente. D’altra parte, ha aggiunto la Corte territoriale, gli esiti di quella testimonianza avevano trovato riscontro tanto nelle ammissioni dello stesso imputato, il quale aveva riconosciuto di aver frequentato tale casa proprio in quel periodo, per fare compagnia ad un amico, G.R., poi risultato coinvolto in altri episodi di spaccio di droga assieme al P.; quanto nel contenuto delle intercettazioni telefoniche eseguite, in quel torno di tempo, dagli inquirenti, le quali avevano consentito di scoprire che, in diverse circostanze, gli acquirenti della droga che avevano chiamato al telefono per fissare gli appuntamenti, si erano presentati agli interlocutori come "amici di M.", significativamente accreditandosi con l’indicazione del nome proprio dell’odierno imputato (v. pagg. 3-5 della sentenza impugnata).

3. Il secondo motivo del ricorso è manifestamente infondato.

Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale, ai fini della concedibilità o del diniego della circostanza attenuante del fatto di lieve entità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, il giudice è tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi normativamente indicati, quindi, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), che quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendo conseguentemente escludere il riconoscimento dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di "lieve entità" (così, ex plurimis, Sez. 4, n. 6732/12 del 22/12/2011, P.G. in proc. Sabatino, Rv. 251942; Sez. 4, n. 43399 del 12/11/2010, Serrapede, Rv. 248947; 4, Sentenza n. 38879 del 29/09/2005, Frank, Rv. 232428).

Di tale regula iuris la Corte di appello di Milano ha fatto corretta applicazione chiarendo, con motivazione congrua, nella quale non sono riconoscibili lacune o vizi di manifesta illogicità, dunque con argomenti non censurabili in questa sede, come la condotta del C., pur avendo avuto ad oggetto la cessione di singole dosi di cocaina di non rilevante entità ponderale, si fosse inserita in un più ampio contesto fattuale caratterizzato dalla frequentazione da parte del prevenuto di un appartamento che "era divenuto una vera e propria base logistica utilizzata da vari soggetti, con differenti posizioni e compiti, per la custodia, il taglio e il successivo spaccio della droga, in modo tale che l’attività criminosa non poteva considerarsi frutto di improvvisazione, ma di un accurato sistema di distribuzione": contesto che, lungi dal condurre all’attribuzione all’imputato di fatti delittuosi ulteriori rispetto a quelli formalmente addebitatigli, è stato compiutamente valutato dalla Corte territoriale al fine di escludere che i reati commessi dall’imputato potessero essere qualificati in termini di ridotta offensività ovvero di scarso allarme sociale (v. pag. 5 della sentenza impugnata).

4. Il terzo motivo del ricorso è anch’esso manifestamente infondato, perchè -anche a prescindere dalle valutazioni esposte con riferimento al secondo motivo – è pacifico che, per decidere sulla riconoscibilità o meno della circostanza attenuante di cui al già considerato D.P.R. cit., e art. 73, comma 5, dunque, per la valutazione degli vari elementi fattuali, concernenti l’azione o l’oggetto materiale, che concorrono ai fini della verifica della attribulbilità o meno al fatto di quel carattere di lieve entità, il giudice – senza violare il principio di correlazione tra accusa e decisione – ben possa tenere conto di dati informativi di varia natura offerti dal processo, anche se non formalizzati nella contestazione al medesimo imputato di specifici ulteriori reati o di altre circostanza aggravanti (in questo senso, tra le diverse, Sez. 4, n. 6672 del 29/04/1992, P.G. in proc. Fares, Rv. 190503).

5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento in favore dell’erario delle spese del presente procedimento ed al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma, che si stima equo fissare nell’Importo Indicato nel dispositivo che segue.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000.00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2013

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