Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 24-01-2013) 11-02-2013, n. 6797

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo

Il G.I.P. presso il Tribunale di Genova, con provvedimento in data 12 ottobre 2012, disponeva la misura della custodia in carcere nei confronti di C.G. e S.S. per violazione della legge sugli stupefacenti, in relazione a plurimi episodi delittuosi avvenuti nel corso del (OMISSIS).

Detto provvedimento veniva ritualmente impugnato dinanzi al Tribunale del riesame di Genova che lo confermava, con l’ordinanza indicata in epigrafe, indicando specificamente gli elementi probatori acquisiti a carico dei due indagati (ritenuti desumibili in particolare dall’esito di intercettazioni telefoniche) e le circostanze valutate come rivelatrici del concreto pericolo di reiterazione dell’attività criminosa, e quindi tali da indurre a ritenere la custodia in carcere quale unica misura cautelare idonea per la salvaguardia delle esigenze socialpreventive.

In particolare, quanto alle esigenze cautelari, per la parte che in questa sede rileva, il Tribunale sottolineava innanzi tutto che il tempo trascorsi dai fatti non appariva incompatibile con la permanenza delle esigenze cautelari, non identificandosi il parametro della "concretezza" con quello dell’"attualità" del pericolo, "dovendo essere riconosciuto, il primo, alla sola condizione necessaria e sufficiente che esistano elementi "concreti" (cioè non solamente congetturali), sulla base dei quali possa affermarsi che il soggetto possa facilmente, verificandosene l’occasione, commettere reati della stessa specie di quello contestato" (così si legge testualmente a pag. 14 dell’ordinanza): in proposito venivano evocate Cass. 25214/09 e Cass. 37393/06); ciò premesso, il Tribunale sottolineava che: a) a carico del C. risultavano precedenti specifici; b) le modalità della condotta, e la reiterazione nel tempo dell’attività criminosa, denotavano la sistematicità e professionalità dell’attività stessa, nonchè la pervicacia nel delinquere posto che la S., dopo essere stata arrestata una prima volta, aveva immediatamente ripreso a spacciare droga una volta rimessa in libertà, ed il C., dopo la sostituzione di una prima misura della custodia in carcere con l’obbligo di dimora, aveva a sua volta riallacciato, pur in costanza di tale misura, i contatti con fornitori ed acquirenti di droga; c) la circostanza della interruzione della convivenza tra i due appariva irrilevante avendo entrambi la possibilità dello svolgimento della delittuosa attività in maniera autonoma; d) privi di valenza positiva apparivano i pretesi contatti dei due indagati con il SERT, peraltro nemmeno documentati; nè risultava che i due indagati avevano superato il loro stato di tossicodipendenza; e) l’esistenza di una parallela attività lavorativa non valeva ad attenuare le esigenze di tutela della collettività, considerato che le due fonti di guadagno ben potevano coesistere come del resto era avvenuto all’epoca dei fatti;

f) il C. e la S. avevano svolto l’illecita attività anche presso la loro abitazione.

Ricorrono per cassazione il C. e la S., con unico atto di gravame ed a mezzo del difensore, deducendo, con argomentazioni peraltro anche alquanto generiche, vizio motivazionale relativamente alle esigenze cautelari, evidenziando la disponibilità prestata dalle rispettive famiglie ad accogliere i due indagati nel caso di sostituzione della misura in atto con quella degli arresti domiciliari, e sostenendo che, ai fini della sussistenza delle esigenze cautelari, sarebbe necessario, oltre al requisito della concretezza del pericolo di recidiva, anche quello dell’attualità del pericolo stesso, nel caso di specie asseritamente insussistente.

Motivi della decisione

I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili perchè basati su censure manifestamente infondate, generiche, nonchè tendenti ad una rivalutazione delle risultanze processuali non consentita in questa sede.

Giova sottolineare che anche nel procedimento incidentale "de libertate", una volta accertata la coerenza logica delle argomentazioni seguite dal giudice di merito, non è consentito alla Corte di Cassazione prendere in considerazione, sotto il profilo del vizio di motivazione, la diversa valutazione delle risultanze probatorie prospettata dal ricorrente, essendo rilevabili, in sede di giudizio di legittimità, esclusivamente quei vizi argomentativi che siano tali da incidere sui requisiti minimi di esistenza e di logicità del discorso motivazionale, svolto nel provvedimento, e non sul contenuto della decisione (in tal senso, tra le tante, Sez. 1, N. 6383/98, RV. 209787, e Sez. 1, N. 1083/98, RV. 210019).

Rileva il Collegio che nel caso in esame il Tribunale della libertà ha specificamente indicato le ragioni per le quali ha considerato che l’unica misura idonea a soddisfare le esigenze cautelari fosse la detenzione in carcere, avendo fatto esplicito ed inequivoco riferimento, quanto al pericolo di reiterazione dell’attività criminosa, ai significativi elementi già sopra ricordati, tutti convergenti verso la formulazione di uno sfavorevole giudizio prognostico. Quanto alla distanza temporale tra i fatti e il momento della decisione cautelare, nella giurisprudenza di questa Corte è stato più volte sottolineato che "il tempo trascorso dalla commissione del reato non esclude automaticamente l’attualità e la concretezza delle condizioni di cui all’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c)" (in termini, "ex plurimis", Sez. 4, n. 6717 del 26/06/2007 Cc. – dep. 13/02/2008 – Rv. 239019); è stato peraltro affermato, da questa stessa Corte, anche a Sezioni Unite (Sez. Un, n. 40538 del 24/09/2009 Cc. – dep. 20/10/2009 – Rv. 244377; conf., Sez. 6, n. 27865 del 10/06/2009 Cc. -dep. 07/07/2009 – Rv. 244417 ) l’obbligo per il giudice di una rigorosa motivazione in proposito: orbene, nella concreta fattispecie il Tribunale non si è sottratto a tale specifico onere avendo dato conto del proprio convincimento al riguardo con le articolate argomentazioni sopra riportate – e da intendersi qui integralmente richiamate onde evitare superflue ripetizioni – che si presentano del tutto congrue e prive di qualsiasi connotazione di illogicità.

Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00 (mille) ciascuno.

La Cancelleria provvedere alla comunicazione di cui alla L. 8 agosto 1995, n. 332, art. 23, comma 1 bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende. La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell’Istituto Penitenziario di competenza perchè provveda a quanto stabilito nell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2013


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