Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 25-07-2012, n. 13139 Indennità di buonuscita o di fine rapporto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Roma,in dispositivo, condannava l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato in favore del lavoratore in epigrafe al pagamento dell’ulteriore somma di Euro 1.282,44 a titolo di computo del compenso per prestazioni di lavoro straordinario reso in modo costante nell’indennità di anzianità e nel TFR nonchè al ricalcalo di 13A, 14A e ferie per il periodo sino al 31.10.92.

Avverso questa sentenza l’Istituto in epigrafe ricorre in cassazione sulla base di tre censure.

La parte intimata resiste con controricorso e propone impugnazione incidentale condizionata assistita da un’unica censura.

Motivi della decisione

Preliminarmente va rilevata la nullità della procura apposta a margine della memoria ex art. 378 c.p.c. depositata per l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato con la quale risulta conferito mandato "nel presente grado del giudizio pendente innanzi la Suprema Corte di Cassazione" all’avv.to T. S. in sostituzione del precedente procuratore. Infatti è giurisprudenza di questa Corte che nel giudizio di cassazione il nuovo testo dell’art. 83 c.p.c. – secondo il quale la procura speciale può essere apposta a margine od in calce anche di atti diversi dal ricorso o dal controricorso – si applica esclusivamente ai giudizi instaurati in primo grado dopo la data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, art. 45 (4 luglio 2009), mentre per i procedimenti instaurati anteriormente a tale data – quale è il presente – se la procura non viene rilasciata a margine od in calce al ricorso e al controricorso, si deve provvedere al suo conferimento mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, come previsto dall’art. 83 c.p.c., comma 2 (vecchio testo) (V. Cass. 26 marzo 2010 n. 7241, Cass. 28 luglio 2010 n. 17604 e Cass. 2 febbraio 2012 n. 4476).

I ricorsi vanno riuniti riguardando l’impugnazione della stessa sentenza.

Quanto al ricorso principale va osservato che risulta rispettata la norma di cui all’art. 369 bis c.p.c., comma 1, n. 4 essendo stati depositati, anche agli effetti dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, i contratti collettivi su cui si fonda il ricorso (Cass. S.U. 2 dicembre 2008 n. 28547, Cass. Cass. 23 settembre 2009 n. 20535, Cass. S.U. 25 marzo 2010 n. 7161 e Cass. S.U. 3 novembre 2011 n. 22726).

Con il primo motivo del ricorso principale l’Istituto ricorrente, denunciando vizio di motivazione e violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, art. 112 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., formula, ex art. 366 bis c.p.c., i seguenti quesiti: "se il giudice, nel pronunciare sentenza, debba tenere conto di tutte le domande, eccezioni e deduzioni svolte nel processo e riportare nella sentenza stessa l’iter logico argomentativi seguito in ordine alle questioni proposte e se il dispositivo debba essere consequenzialemnte derivato e retto da tali argomentazioni; se il Giudice sia tenuto a decidere su tutte le domande senza omettere alcuna statuizione su questione sottoposta al suo vaglio e senza eccedere i limiti del dedotto in causa".

Con la seconda censura del ricorso principale l’Istituto, allegando nullità della sentenza e vizio di motivazione, articola, ex art. 366 bis c.p.c. cit., il seguente quesito: "accerti la Corte se la sentenza di 2^ grado sia nulla nella parte qua per violazione dell’art. 112 c.p.c., ossia per aver statuito su diritti non dedotti nel giudizio di 2^ grado e se abbia violato l’art. 324 c.p.c. per aver statuito su una parte della sentenza di prime cure passata in giudicato in quanto non oggetto di specifica impugnazione".

I motivi sono inammissibili per violazione dell’art. 366 bis c.p.c..

La giurisprudenza di questa Corte, infatti, ha chiarito che il quesito di diritto, previsto dalla richiamata norma di rito, ha lo scopo precipuo di porre in condizione la Cassazione, sulla base della lettura del solo quesito, di valutare immediatamente il fondamento della dedotta violazione (Cass. 8 marzo 2007 n. 5353) ed a tal fine è imposto al ricorrente di indicare, nel quesito, anche l’errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (Cass. S.U. 9 luglio 2008 n. 18759), in modo tale che dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in maniera univoca l’accoglimento od il rigetto del ricorso (Cass. S.U. 28 settembre 2007 n. 20360).

In tale prospettiva questa Corte ha affermato che, a norma dell’art. 366 bis c.p.c., non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, (Cass. S.U. 11 marzo 2008 n. 6420); ovvero quando, essendo la formulazione generica e limitata alla riproduzione del contenuto del precetto di legge, è inidoneo ad assumere qualsiasi rilevanza ai fini della decisione del corrispondente motivo, mentre la norma impone al ricorrente di indicare nel quesito l’errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (Cass. S.U. 9 luglio 2008 n. 18759 cit.).

Pertanto questa Corte ha rimarcato che il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo con la conseguenza che la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile (Cass. SU 30 settembre 2008 n. 24339 e Cass. 19 febbraio 2009 n. 4044).

Alla luce di tali principi i motivi in esame vanno dichiarati inammissibili in quanto, nella formulazione dei quesiti di diritto o dei principi di cui si chiede l’applicazione, difetta del tutto l’indicazione, come si desume dalla su riportata trascrizione degli stessi, della fattispecie concreta cui gli stessi ineriscono, sicchè non è consentito a questa Corte di valutare, sulla base del solo quesito, se dall’accoglimento del motivo possa o meno derivare l’annullamento della sentenza impugnata.

L’affermazione di un principio di diritto da parte di questa Corte, del resto, non è fine a sè stessa, ma è necessariamente strumentale, pur nella funzione nomofilattica, alla idoneità o meno del principio da asserire a determinare la cassazione della sentenza impugnata. Conseguentemente se il principio di cui si chiede l’affermazione non è correlato alla fattispecie concreta – rectius alla diversa regola iuris applicata dal giudice del merito – il relativo motivo è inidoneo al raggiungimento dello scopo e come tale è inammissibile.

Con il terzo motivo di censura del ricorso principale l’Istituto ricorrente, deducendo violazione delle norme del contratto collettivo e dell’art. 2120 c.c., assume che la Corte del merito ha erroneamente interpretato il CCNL del 1992 ritenendo, relativamente al TFR, prevista una nozione di retribuzione omnicomprensiva.

La censura, alla luce della giurisprudenza di questa Corte, cui il Collegio in ossequio anche al principio di nomofilachia reputa di aderire, è fondata.

Questo giudice di legittimità infatti ha sancito, nell’interpretare direttamente ex art. 360 c.p.c., n. 3, così come novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2 la denunciata norma collettiva che in tema di determinazione del trattamento di fine rapporto, il principio secondo il quale la base di calcolo va di regola determinata in relazione al principio della onnicomprensività della retribuzione di cui all’art. 2120 cod. civ., nel testo novellato dalla L. n. 297 del 1982, è derogabile dalla contrattazione collettiva, che può limitare la base di calcolo anche con modalità indirette purchè la volontà risulti chiara pur senza l’utilizzazione di formule speciale od espressamente derogatorie. Ne consegue che, con riferimento al personale dipendente delle aziende grafiche e affini e delle aziende editoriali (nella specie, dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato), a partire dal c.c.n.l. del 1 novembre 1992, la quota annuale di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 1 per il calcolo del trattamento di fine rapporto concerne la retribuzione indicata, con definizione non onnicomprensiva, nell’art. 21 del c.c.n.l medesimo sulla nomenclatura, ossia quella "complessivamente percepita dal quadro, dall’impiegato e dall’operaio per la sua prestazione lavorativa, nell’orario normale", con esclusione delle prestazioni di lavoro straordinario (Cass. 13 gennaio 2010 n. 365 e Cass. 27 maggio 2010 n. 13048 e più di recente Cass. 10 aprile 2012 n. 5680 nonchè Cass. 11 aprile 2012 n. 5716 e molte altre).

Nè vi è contrasto con la sentenza n. 6086 del 2010 di questa Corte in quanto trattandosi di ricorso per cassazione avverso sentenza pubblicata in data anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006 questa Corte non poteva procedere ad una interpretazione diretta, come invece avvenuto nella citata sentenza n. 365 del 2010, del contratto collettivo nazionale di cui il ricorrente aveva dedotto l’erronea interpretazione.

Ogni questione relativa alla mancata valutazione del verbale interpretativo del ccnl in parola rimane, di conseguenza, assorbita.

Il ricorso incidentale condizionato all’accoglimento dei primi due motivi del ricorso principale rimane anch’esso assorbito.

Nei limiti indicati conseguentemente la sentenza impugnata va cassata, con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Roma che farà applicazione del principio sopra enunciato.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il terzo motivo del ricorso,dichiara inammissibili i primi due motivi del ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale, cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2012
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