Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 24-01-2013) 11-02-2013, n. 6777 Circostanze speciali Circolazione stradale colpa, Lesioni colpose

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tribunale di Catania, quale giudice di secondo grado in conseguenza di appello proposto avverso sentenza del Giudice di Pace di quella stessa città, confermava la condanna dell’imputato G.P.C. alla pena di Euro 800,00 di multa – per il reato di lesioni personali colpose, commesso, secondo la contestazione, con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale (in (OMISSIS)) in danno di L.V. il quale si trovava alla guida di un motociclo – ed alla sanzione accessoria; il Tribunale revocava le statuizioni civili prendendo atto di una sostanziale cessazione della materia del contendere anche per la mancata comparizione della parte civile e del responsabile civile pur ritualmente citati. Osservava il Tribunale che, per come emerso dall’acquisito compendio probatorio, il sinistro si era verificato con le seguenti modalità: l’imputato, alla guida di un’auto "Opel Astra", si era immesso nel flusso di traffico, provenendo da un’area dove si trovava in sosta, senza indossare gli occhiali il cui uso era per lui obbligatorio, omettendo di dare la dovuta precedenza al L. che sopraggiungeva da tergo, nella stessa direzione, così provocando la collisione tra i due veicoli; in conseguenza dell’urto, il L. era rovinato a terra riportando le lesioni descritte nel capo di imputazione; le fasi della dinamica dell’incidente così ricostruita erano state riferite dalla parte lesa ed avevano ricevuto conferma dalle deposizioni rese da testimoni e da talune ammissioni dello stesso imputato; la circostanza riferita da quest’ultimo, secondo cui gli occhiali sarebbero caduti dal viso a seguito dell’urto della testa contro il vetro del finestrino, era rimasta priva di qualsiasi riscontro non avendo l’imputato prodotto alcun certificato a dimostrazione dell’asserito urto del proprio volto contro il finestrino; non sussistevano dubbi circa l’attendibilità delle dichiarazioni della parte lesa, perchè lineari e coerenti, e corroborate dalle dichiarazioni di altri due testimoni – C. O. e A.S. – e dai rilievi fotografici dei verbalizzanti circa lo stato dei luoghi dove era avvenuto l’incidente, in base ai quali doveva escludersi che si trattasse di un normale crocevia come sostenuto dalla difesa dell’imputato; parimenti apparivano credibili le deposizioni dei due suindicati testimoni – sostanzialmente conformi alle dichiarazioni sottoscritte dagli stessi a suo tempo a richiesta del L. e rilasciate a quest’ultimo (per essere esibite alla compagnia di assicurazione ai fini risarcitori), prodotte dalla difesa (cfr. pag. 2 della sentenza) – non scalfite da marginali discrepanze riconducibili anche al tempo trascorso dal fatto; priva di fondamento appariva la tesi difensiva secondo cui non sarebbe stata contestata l’aggravante della violazione delle norme sulla circolazione stradale, essendo stata indicata nel capo di imputazione specificamente la disposizione di cui all’art. 590 c.p., comma 3 ed essendo stati precisati i relativi elementi costitutivi;

neppure poteva trovare accoglimento la richiesta di un ridimensionamento della pena e della sanzione accessoria tenuto conto della "quantità non modesta dei giorni di prognosi indicati dal medico del pronto soccorso" e del lungo periodo durante il quale la parte offesa aveva dovuto ricorrere alle cure dei medici per recuperare la funzionalità degli arti.

2. Avverso l’anzidetta sentenza ricorre per cassazione l’imputato, a mezzo dei suoi difensori, con due autonomi atti di impugnazione, uno sottoscritto dall’avv. Girolamo Conti e l’altro a firma dell’avv. Eugenio Antonello De Luca: A) Ricorso avv. Conti – viene denunciato vizio motivazionale in ordine alla ritenuta colpevolezza dell’imputato, sull’asserito rilievo che il Tribunale avrebbe erroneamente valutato le risultanze probatorie, con particolare riferimento alla ritenuta credibilità della parte offesa e dei testimoni, essendo emerse evidenti discrasie ed incertezze: è stata allegata al ricorso la fotocopia del verbale di udienza relativo alla deposizione del C. nonchè delle dichiarazioni sottoscritte dai testimoni C. ed A. e predisposte dal L., a supporto delle asserite discrasie – tra le dichiarazioni scritte e le deposizioni rese in dibattimento dai testi e dalla stessa parte lesa – che, secondo la prospettazione difensiva, rivelerebbero l’inattendibilità del L. e dei testimoni; si sostiene che sarebbe insussistente la contestata violazione dell’art. 145 C.d.S., comma 6, posto che l’auto del G. non si sarebbe immessa sulla strada da un’area di parcheggio bensì da una strada laterale posta alla destra secondo la direzione di marcia del L. e quindi con diritto di precedenza per il G.; si denuncia poi violazione di legge in ordine alla dosimetria della pena perchè calcolata con riferimento all’ipotesi di lesioni gravi di cui all’art. 590 cod. pen., comma 2 mentre avrebbe dovuto essere determinata secondo la più favorevole cornice edittale di cui all’art. 590 cod. pen., comma 1 – avuto riguardo all’entità delle lesioni riportate dalla parte lesa – non suscettibile dell’aggravio di pena previsto espressamente, in caso di violazione delle norme sulla circolazione stradale, solo per le ipotesi di cui all’art. 590 c.p., comma 2 (lesioni gravi e lesioni gravissime); Ricorso avv. Eugenio Antonello De Luca – si denuncia vizio di motivazione in ordine alla pena che sarebbe eccessiva in relazione all’entità del fatto ed alla personalità dell’imputato, nonchè relativamente alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. E’ poi pervenuta documentazione trasmessa dall’avv. Eugenio Antonello De Luca attestante l’avvenuto risarcimento del danno a favore del L. e la rinuncia da parte di quest’ultimo "ad ogni azione in qualsiasi sede".

Motivi della decisione

3. Le doglianze concernenti l’affermazione di colpevolezza sono infondate per le ragioni di seguito indicate.

Il ricorrente ha invero prospettato censure tendenti ad accreditare una diversa ricostruzione della dinamica dell’incidente, in quanto tali non deducibili in sede di legittimità. Giova sottolineare, invero, che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il vizio di motivazione deducibile in sede di legittimità deve, per espressa previsione normativa, risultare dal testo del provvedimento impugnato, o – a seguito della modifica apportata all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8 – da "altri atti del procedimento specificamente indicati nei motivi di gravame"; il che vuoi dire – quanto al vizio di manifesta illogicità – per un verso, che il ricorrente deve dimostrare, con il ricorso, che l’iter argomentativo seguito dal giudice del merito è assolutamente carente sul piano logico e che, per altro verso, questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un’altra interpretazione o di un altro iter, quand’anche in tesi egualmente corretti sul piano logico: ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano ad una diversa lettura o interpretazione, ancorchè munite di eguale crisma di logicità (cfr.: Sez. U, n. 30 del 27/09/1995 Cc. – dep. 14/12/1995 – Rv. 202903; Sez. Un., N.6402/97, imp. Dessimone ed altri, RV. 207944; Sez. Un., ric. Spina, 24/11/1999, RV. 214793).

Con riguardo alla specifica materia della circolazione stradale, nella giurisprudenza di legittimità è stato altresì enunciato, e più volte ribadito, il principio secondo cui "la ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia – valutazione delle condotte dei singoli utenti della strada coinvolti, accertamento delle relative responsabilità, determinazione dell’efficienza causale di ciascuna colpa concorrente – è rimessa al giudice di merito ed integra una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimità se sorretti da adeguata motivazione" (in tal senso, tra le tante, Sez. 4, N. 87/90, imp. Bianchesi, RV. 182960). Nella concreta fattispecie, la valutazione delle descritte risultanze processuali effettuata dal Tribunale, in secondo grado, non presenta alcuna connotazione di illogicità, e la sentenza risulta adeguatamente motivata, priva di sbavature argomentative, anche tenendo conto della conforme ed integrativa pronuncia di primo grado.

3.1 Il Tribunale ha congruamente dato conto della ritenuta credibilità dei testimoni, avendo indicato le specifiche ragioni di tale convincimento, seguendo un percorso motivazionale ancorato al compendio probatorio e supportato da deduzioni logiche; di tal che, l’impugnata sentenza appare del tutto in sintonia con l’indirizzo interpretativo affermatosi nella giurisprudenza di questa Corte in materia di valutazione delle prove testimoniali: "in tema di valutazione della prova testimoniale, il giudice, pur essendo indubbiamente tenuto a valutare criticamente, verificandone l’attendibilità, il contenuto della testimonianza, non è però certamente tenuto ad assumere come base del proprio convincimento l’ipotesi che il teste riferisca scientemente il falso, salvo che sussistano specifici e riconoscibili elementi atti a rendere fondato un sospetto di tal genere. In assenza, quindi, di siffatti elementi, il giudice deve presumere che il teste, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza e deve perciò limitarsi a verificare se sussista o meno incompatibilità fra quello che il teste riporta come vero, per sua diretta conoscenza, e quello che emerge da altre fonti di prova di eguale valenza" (in termini, "ex plurimis", Sez. 4, n. 35984 del 10/10/2006 Ud. – dep. 27/10/2006 – Rv. 234830).

3.2 Per quel che riguarda la valenza probatoria attribuita alla deposizione della parte lesa, è solo il caso di ricordare quelli che sono i principi di diritto enunciati nella giurisprudenza di questa Corte, che anche in questa occasione si intende ribadire perchè pienamente condivisibili: "in tema di prove, la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e che non può essere rivalutata in sede di legittimità, a meno che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni" (Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008 Ud. – dep. 25/02/2008 – imp. Finazzo, Rv. 239342); "in tema di valutazione della prova testimoniale, a base del libero convincimento del giudice possono essere poste le dichiarazioni della parte offesa e quelle di un testimone legato da stretti vincoli di parentela con la medesima.

Ne consegue che la deposizione della persona offesa dal reato, pur se non può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può tuttavia essere assunta anche da sola come fonte di prova, ove sia sottoposta a un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva, non richiedendo necessariamente neppure riscontri esterni, quando non sussistano situazioni che inducano a dubitare della sua attendibilità." (Sez. 3, n. 22848 del 27/03/2003 Ud. – dep. 23/05/2003 – imp. Assenza, Rv. 225232). Nel caso in esame il Tribunale ha evidentemente sottoposto le dichiarazioni della parte offesa ad attento vaglio critico essendosi così testualmente espresso in proposito; "Tali dichiarazioni hanno, nel loro complesso, superato positivamente il vaglio della attendibilità testimoniale, ancor più severo in considerazione della veste di parte civile costituita assunta dal L. in 1^ grado. Invero, oltre a risultare circostanziate, lineari e tra loro convergenti, esse hanno fornito una ricostruzione logica e verosimile degli avvenimenti" (pag. 1 della sentenza impugnata).

3.3 Neppure possono assumere rilievo, nella concreta fattispecie, le modifiche apportate dalla L. n. 46 del 2006 (cd. Legge Pecorella) all’art. 606 c.p.p..

A fronte dei motivi di ricorso formulati dal ricorrente, compito di questa Corte non è quello di ripetere l’esperienza conoscitiva del Giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l’incompiutezza strutturale della motivazione della Corte di merito;

incompiutezza che derivi dal non aver tenuto presente, la Corte distrettuale, fatti decisivi, di rilievo dirompente dell’equilibrio della decisione impugnata.

Ciò posto, se la denuncia del ricorrente va letta alla stregua dei contenuti concettuali dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. n. 46 del 2006, occorre allora tener conto che:

1) la legge citata non ha normativamente riconosciuto il travisamento del fatto, anzi lo ha escluso: semmai, può parlarsi di "travisamento della prova", che, nel rinnovato indirizzo interpretativo di questa Corte, ha un duplice contenuto, con riguardo a motivazione del Giudice di merito: o difettosa per commissione o difettosa per omissione, a seconda che il Giudice di merito, cioè, incorra in una utilizzazione di un’informazione inesistente, ovvero in una omissione decisiva della valutazione di una prova (Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, Rv. 233460, P.M. in proc. Napoli). In sostanza, la riforma della L. n. 46 del 2006 ha introdotto un onere rafforzato dì specificità per il ricorrente in punto di denuncia del vizio di motivazione. Infatti, il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) – nel far riferimento ad atti del processo che devono essere dal ricorrente "specificamente indicati" – detta una previsione aggiuntiva ed ulteriore rispetto a quella contenuta nell’art. 581 c.p.p., lett. c) (secondo cui i motivi di impugnazione devono contenere "l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta"). Con la conseguenza che sussiste a carico del ricorrente – accanto all’onere di formulare motivi di impugnazione specifici e conformi alla previsione dell’art. 581 c.p.p. – anche un peculiare onere di inequivoca "individuazione" e di specifica "rappresentazione" degli atti processuali ritenuti rilevanti in relazione alla doglianza dedotta, onere da assolvere nelle forme di volta in volta più adeguate alla natura degli atti stessi, e cioè integrale esposizione e riproduzione nel testo del ricorso, allegazione in copia, precisa identificazione della collocazione dell’atto nel fascicolo del giudice et similia (cfr.

Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, Rv. 233778, imp. Simonetti ed altri). In forza di tale principio (cosiddetta autosufficienza del ricorso) si impone, inoltre, che in ricorso vengano puntualmente ed adeguatamente illustrate le risultanze processuali considerate rilevanti e che dalla stessa esposizione del ricorso emerga effettivamente una manifesta illogicità del provvedimento, pena altrimenti l’impossibilità, per la Corte di Cassazione, di procedere all’esame diretto degli atti (in tal senso, "ex plurimis", Sez. 1 n. 16223 del 02/05/2006, Rv. 233781 imp. Scognamiglio): manifesta illogicità motivazionale assolutamente insussistente nel caso in esame, se si tiene conto delle argomentate risposte fornite dalle integrative pronunce di primo e secondo grado alle questioni poste dalla difesa dell’imputato. Ma v’è di più, posto che, sempre con riferimento alla portata delle innovazioni della L. n. 46 del 2006 relativamente allo specifico caso di ricorso per cassazione di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e), non è sufficiente: a) che gli atti del processo evocati con il ricorso siano semplicemente "contrastanti" con particolari accertamenti e/o valutazioni del giudicante, o con la sua ricostruzione complessiva (e finale) dei fatti e delle responsabilità; b) nè che tali atti possano essere astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Occorre invece che gli "atti del processo", presi in considerazione per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione, siano "decisivi", ossia autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione. In definitiva: la nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8 nella parte in cui consente la deduzione, in sede di legittimità, del vizio di motivazione sulla base, oltre che del "testo del provvedimento impugnato", anche di "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, per cui gli atti in questione non possono che essere quelli concernenti fatti decisivi che, se convenientemente valutati (non solo singolarmente, ma in relazione all’intero contesto probatorio), avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo comunque esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione (cui deve limitarsi la corte di cassazione) possa essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito (Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Rv. 233775, imp. Capri ed altri).

Tenendo conto di tutti i principi testè ricordati, deve dunque concludersi che, nel caso di specie, le argomentazioni poste a base delle censure appena esaminate, ed i documenti allegati al ricorso, non valgono a scalfire la congruenza logica del complesso motivazionale impugnato, alla quale il ricorrente ha inteso piuttosto sostituire una sua perplessa visione alternativa del fatto facendo riferimento all’art. 606 c.p.p., lett. e): pur asserendo di volere contestare l’omessa o errata ricostruzione di risultanze della prova dimostrativa, il ricorrente, in realtà, ha piuttosto richiesto a questa Corte un intervento in sovrapposizione argomentativa rispetto alla decisione impugnata, e ciò ai fini di una lettura della prova alternativa rispetto a quella, congrua e logica, fornita dalla Corte di merito. Le allegazioni difensive non valgono dunque a disarticolare l’apparato argomentativo delle integrative pronunce di primo e secondo grado (trattasi di doppia conforme): è principio pacifico in giurisprudenza quello secondo cui, nel caso di doppia conforme, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione (in termini, "ex plurimis", Sez. 3, n. 4700 del 14/02/1994 Ud. – dep. 23/04/1994 – Rv. 197497; conf. Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997 Ud. – dep. 05/12/1997 – Rv. 209145).

4. Risulta invece fondato il motivo circa l’individuazione della forbice edittale della pena, dedotto con il ricorso dell’avv. Girolamo Conti, restando conseguentemente assorbite le argomentazioni sulla dosimetria della pena, e sulla mancata concessione della sospensione condizionale della pena, svolte dall’avv. Eugenio Antonello De Luca.

Al G. è stato contestato il reato di lesioni personali colpose, con l’indicazione di lesioni "giudicate guaribili in 30 giorni", con l’aggravante della violazione delle norme sulla circolazione stradale: per tale reato l’imputato è stato condannato, non risultando dall’impugnata sentenza esservi stata una modificazione dell’imputazione. Ricorre dunque, nella fattispecie, l’ipotesi di cui all’art. 590 cod. pen., comma 1 in relazione alla quale non è prevista l’aggravante contemplata nel comma 3 dell’articolo stesso (stabilita esclusivamente per le ipotesi previste nel comma 2, vale a dire lesioni gravi e gravissime) che comporta un più severo trattamento sanzionatorio: detta aggravante deve essere pertanto esclusa.

I giudici di merito, ai fini della dosimetria della pena, avrebbero dunque dovuto tener conto della cornice edittale di cui all’art. 590 c.p., comma 1: in tal senso deve essere pertanto annullata l’impugnata sentenza, con rinvio al Tribunale di Catania, per nuovo esame sul punto, restando assorbite, come detto, le doglianze relative alla determinazione in concreto della pena ed alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena.

Il ricorso va rigettato in ordine all’affermazione di colpevolezza.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente la ritenuta aggravante ed il conseguente trattamento sanzionatorio, con rinvio al Tribunale di Catania. Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2013


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