Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 24-01-2013) 11-02-2013, n. 6776 Impugnazioni Mezzi di impugnazione e provvedimenti impugnabili Trasmissione di atti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Padova pronunciava sentenza di proscioglimento nel confronti di M.R. e P.N., ex artt. 129 cod. proc pen. e 152 cod. pen., per estinzione del reato di furto semplice – così qualificato il fatto addebitato alle imputate, previa esclusione della contestata aggravante dell’uso del mezzo fraudolento di cui all’art. 625 c.p., n. 2 – per remissione di querela: osservava il giudicante che, in base alla lettura della querela, il fatto denunciato poteva qualificarsi come furto semplice "non essendo indicato nella descrizione del fatto il mezzo fraudolento".

2. Ricorre per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Venezia denunciando violazione di legge sul rilievo che il Tribunale non avrebbe potuto ritenere insussistente la contestata aggravante – e pronunciare sentenza ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. – senza dare ingresso alle prove richieste dal P.M. per la verifica di quanto accertato all’esito delle indagini e riassunto nel capo di imputazione.

Motivi della decisione

3. Attesta il giudice della sentenza impugnata che la stessa venne resa "nella fase preliminare al dibattimento". Proponendo ricorso per cassazione, il ricorrente Procuratore Generale ha evidentemente ritenuto di impugnare una sentenza predibattimentale emessa ai sensi dell’art. 469 c.p.p.. All’odierna udienza non è comparso il difensore delle imputate, nè è pervenuta memoria con eventuali osservazione circa il mezzo di impugnazione utilizzato dal ricorrente: nessun rilievo ha al riguardo formulato, all’odierna udienza, il P.G. in questa sede.

Nondimeno, per i poteri officiosi che in materia competono al giudice, deve saggiarsi la esattezza di siffatta qualificazione, ai fini della individuazione del mezzo di impugnazione consentito.

Così come stabilito dall’art. 469 c.p.p., se l’azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita ovvero se il reato è estinto e se per accertarlo non è necessario procedere al dibattimento, il giudice in camera di consiglio (nelle forme di cui all’art. 127 c.p.p.), sentito il pubblico ministero e l’imputato, e se questi non si oppongono, pronuncia sentenza inappellabile di non doversi procedere enunciandone la causa nel dispositivo. Più volte questa Corte è intervenuta in materia di impugnazione della sentenza predibattimentale pronunciata ai sensi dell’art. 469 c.p.p., ed è ormai jus receptum che l’unico rimedio consentito per impugnare una tale sentenza è il ricorso per cassazione, anche allorquando si tratta di sentenza deliberata al di fuori delle ipotesi previste dalla legge (così Sez. Unite, n. 3027 del 19/12/2001 Cc. – dep. 25/01/2002 – Angelucci, Rv. 220555). Dunque, secondo il dictum delle Sezioni Unite, pur quando emessa senza che ne ricorressero i presupposti (ad esempio: mancata audizione delle parti, opposizione di entrambe o di una di esse alla declaratoria di proscioglimento ex art. 469 c.p.p., sentenza deliberata in pubblica udienza e quindi al di fuori dello schema del rito disciplinato dall’art. 127 c.p.p., etc.), la sentenza predibattimentale può essere impugnata esclusivamente con il ricorso per cassazione.

4. Quanto ai criteri da seguire per poter attribuire natura di sentenza predibattimentale o dibattimentale ad una decisione pronunciata in pubblica udienza sul presupposto della mancanza di una condizione di procedibilità, o di proseguibllità, dell’azione penale, ovvero della presenza di una causa di estinzione del reato, per il cui accertamento non occorra procedere al dibattimento – e ciò ai fini della individuazione del mezzo di impugnazione consentito – sovente è stata attribuita significativa valenza al momento procedimentale in cui la stessa è stata emessa: con particolare riferimento al controllo della regolare costituzione delle parti ed alla dichiarazione di apertura del dibattimento. Sulla questione così delineata si rinvengono precedenti della giurisprudenza di legittimità di segno opposto, pur di epoca posteriore alla decisione delle Sezioni Unite, Angelucci, sopra già evocata: tuttavia, senza che sia mai stata avvertita la necessità di sottoporre tale specifico aspetto al vaglio delle Sezioni Unite. Deve pertanto presumersi che, nelle varie occasioni, il citato precedente delle Sezioni Unite non sia stato considerato quale decisivo ed inequivoco riferimento per la soluzione del quesito quale appena prospettato (altrimenti non si spiegherebbe il contrasto quale emerso), posto che: A) in quella circostanza, le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciarsi sul quesito così articolato: 1) quali siano i limiti di applicabilità della sentenza di proscioglimento anticipato nella fase predibattimentale; 2) se la sentenza predibattimentale di proscioglimento, pur dichiarata inappellabile dall’art. 469 cod. pen., sia tuttavìa appellabile, allorchè venga pronunziata senza il consenso delle parti; B) nella parte narrativa della sentenza stessa si da atto che "secondo la Corte di Appello la circostanza che, nella specie, non sia intervenuta la dichiarazione di apertura del dibattimento, è elemento che qualifica la sentenza impugnata come sentenza di proscioglimento prima del dibattimento";

C) nella parte motivazionale della sentenza non si rinviene però alcun accenno alla individuazione del momento procedimentale che dovrebbe costituire il limite oltre il quale la decisione del giudice non può rivestire la natura di sentenza predibattimentale; nè, dalla sentenza stessa, può desumersi, in termini di certezza, se in primo grado vi era stata o meno la verifica della costituzione delle parti: sembrerebbe peraltro doversi escludere che vi fosse stato l’espletamento di detta formalità, avendo le Sezioni Unite dato atto che dal verbale di udienza non risultava che le parti fossero state interpellate sulla questione concernente la irritualità della querela.

Come detto, il panorama giurisprudenziale offre decisioni contrastanti sulla specifica questione in argomento.

4.1 Un primo indirizzo interpretativo è nel senso che la sentenza emessa comunque prima della dichiarazione di apertura del dibattimento riveste natura di sentenza predibattimentale, ed a favore di tale opzione ermeneutica si sono così espresse sentenze di diverse sezioni: Sez. 2, n. 8667/12, RV. 252481, Raciti; Sez. 1, n. 2441/08, RV. 242707, P.G. in proc. Forte; Sez. 1, n. 48128/08, RV. 242788, P.G. in proc. Lionello. Mette conto tuttavia sottolineare che nelle citate decisioni non si rinvengono specifiche argomentazioni a sostegno dell’affermazione secondo cui la decisione di proscioglimento emessa prima della dichiarazione dell’apertura del dibattimento rivestirebbe natura di sentenza predibattimentale; solo nella sentenza n. 48128/08, risulta evocata la sentenza Angelucci delle Sezioni Unite, con riferimento alla precisazione che – come già si è avuto modo innanzi di ricordare – quella, sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite, era una sentenza di improcedibilità dell’azione penale pronunciata prima dell’apertura del dibattimento senza l’audizione preventiva delle parti.

4.2 In altre occasioni questa Corte ha invece precisato che la decisione di proscioglimento nel rito, pronunciata dopo la verifica della costituzione delle parti e la dichiarazione di contumacia dell’Imputato, non può rivestire natura di sentenza predibattimentale ma deve essere considerata sentenza dibattimentale e quindi, in quanto tale, appellabile: nelle sentenze favorevoli a tale interpretazione, dunque, non vi è alcun accenno alla dichiarazione di apertura del dibattimento. In tal senso si sono espresse in particolare: Sez. 1, n. 48124/08, RV. 242486, P.G. in proc. Piscitello; Sez. 2, n. 48340/04, RV. 230535, P.G. in proc. Carducci ed altro; Sez. 1, n. 25121/03, RV. 224695, imp. Morrone.

Anche per le sentenze che si inseriscono in questo secondo filone interpretativo vale quanto prima detto per l’altro indirizzo, e cioè che, eccezion fatta per la sentenza n. 48340/04, della Seconda Sezione, di cui di seguito si dirà, in linea di massima non risultano addotte specifiche argomentazioni a sostegno del principio enunciato. Qualche spunto in più può cogliersi, come si diceva, nella sentenza n. 48340/08 laddove vengono descritte le cadenze procedimentali evidentemente ritenute significative ai fini della individuazione del limite procedimentale oltre il quale la sentenza dovrebbe essere considerata dibattimentale, a prescindere dal nomen iuris ad essa attribuito dal giudice; appare opportuno riportare testualmente la parte motivazionale di riferimento, laddove risulta altresì sottolineato che nella fattispecie il giudice di primo grado aveva anche dato atto dell’acquisizione di documenti: "… in conformità alla giurisprudenza di questa Corte, che si condivide, la sentenza qualora sia pronunciata in pubblica udienza (ancorchè su conformi conclusioni del Pubblico Ministero e della difesa per l’improcedibilità dell’azione penale per mancanza di querela) dopo la costituzione delle parti e la dichiarazione di contumacia dell’imputato (come risulta dalla stessa intestazione della sentenza), deve essere considerata come dibattimentale e quindi soggetta all’appello qualunque sia il nomen iuris ad essa attribuita dal giudice (Cass. Sez. 1, 15.4.2003, Morrone, rv. 224695). – la sistematica del codice conforta la correttezza di tale interpretazione, in quanto la collocazione dell’art. 469 c.p.p. nella fase degli atti preliminari al dibattimento (titolo 1^ del libro 7^) giustifica la pronuncia della sentenza inappellabile con procedimento in Camera di consiglio; – nel caso in esame la sentenza è stata pronunciata, esaurita la fase degli atti Introduttivi (capo 2^ del titolo 2^ del libro 7^) e quindi al dibattimento, tanto che nella motivazione si da atto della produzione di documenti." Muovendo dalle argomentazioni svolte nella sentenza appena richiamata, e dalla scansione procedimentale ivi descritta, potrebbe ipotizzarsi – ma, appunto, si tratta solo di un’ipotesi e di uno spunto di riflessione – che la Corte abbia ritenuto che non vi sia una pausa significativa tra l’avvenuto compimento delle formalità relative al controllo della regolare costituzione delle parti e la formale dichiarazione di apertura del dibattimento, nel senso che si tratterebbe di momenti solo formalmente distinti ma sostanzialmente coincidenti, non essendo previsto l’espletamento di altre formalità tra i due momenti. D’altra parte giova sottolineare che nella giurisprudenza di legittimità non sono mancate decisioni con le quali è stata affermata appunto la coincidenza sostanziale tra la chiusura degli atti preliminari del dibattimento e la dichiarazione di apertura del dibattimento, in particolare con riferimento alle questioni di competenza che la Suprema Corte fu chiamata ad affrontare a seguito della istituzione di taluni Tribunali: "In tema di competenza per territorio, la legge 11 febbraio 1992, n. 125, istitutiva del Tribunale di Nola, ha attribuito a quest’ultimo la cognizione dei procedimenti già pendenti dinanzi a quello di Napoli, con l’unica esclusione dei processi in ordine ai quali sia stato aperto il dibattimento (art. 3 della Legge citata): a tal fine deve ritenersi avvenuta l’apertura dei dibattimento allorquando siano state compiute per la prima volta le operazioni relative al controllo della regolare costituzione delle parti" (Sez. 1, 25 marzo 1996, confi, comp. in proc. De Capua, RV 204418); "In tema di competenza per territorio, l’art. 3 della legge 12 febbraio 1992 n. 127 istitutiva del Tribunale di Nocera Inferiore ha espressamente previsto che alla data di entrata in funzione del detto Tribunale siano devoluti alla sua cognizione non solo i procedimenti penali non ancora instaurati, ma anche quelli pendenti avanti al Tribunale di Salerno, sempre che non sia stato dichiarato aperto il dibattimento:

a tal fine deve ritenersi avvenuta l’apertura del dibattimento allorquando siano state compiute per la prima volta le operazioni relative all’accertamento della costituzione delle parti" (Sez. 1, n. 711 del 06/02/1995 Cc. – dep. 19/04/1995 -Rv. 200928). In epoca più recente, questa Corte – nel ritenere appellabile una sentenza di assoluzione pronunciata In primo grado ex art. 129 c.p.p., che in sede di merito era stata invece considerata inappellabile – ha ritenuto di dover precisare che in quel caso "la decisione era stata presa dal Tribunale dopo l’apertura del dibattimento e più precisamente appresso la verifica della regolare costituzione della parti in giudizio, ai sensi dell’art. 484 c.p.p., come risulta del resto dal verbale d’udienza ove si fa riferimento alla declaratoria di contumacia del prevenuto" Sez. 1, n. 45504 del 27/10/2009 Ud.

(dep. 26/11/2009).

Ancora, avuto riguardo alla scansione procedimentale evidenziata nella sentenza n. 48340/08, ed al richiamo specifico alla collocazione delle disposizioni di riferimento, rispettivamente nel titolo primo e nel titolo secondo del libro settimo, può presumersi che il Collegio giudicante in quella occasione abbia inteso individuare nella dichiarazione di apertura del dibattimento l’inizio della fase dibattimentale "propriamente detta", ritenendo inquadrabile la fase dedicata alla verifica della costituzione delle parti (con la eventuale dichiarazione di contumacia dell’imputato) pur sempre all’interno della generale cornice del dibattimento in senso ampio (quanto alla nozione di fase dibattimentale "propriamente detta", cfr. Sez. 2, n. 24481 del 19/03/2010 Ud. – dep. 30/06/2010 – in motivazione: "… fase dibattimentale più propriamente detta, che ha il suo inizio formale con la dichiarazione di apertura dall’art. 492 c.p.p.").

5. Fatta questa premessa – necessaria, per doverosa completezza espositiva – dedicata all’illustrazione degli arresti della giurisprudenza sulla questione di interesse, e passando all’esame della concreta fattispecie, ritiene il Collegio che ai fini della decisione da adottare, avuto riguardo alle peculiari connotazioni della vicenda processuale quale svoltasi dinanzi al Tribunale, di cui appresso si dirà, non è necessario richiedere l’intervento delle Sezioni Unite, risultando acquisiti elementi sufficienti per riconoscere all’impugnata decisione natura di sentenza dibattimentale, in quanto tale appellabile. Ed invero, dagli atti a disposizione di questo ufficio, ed in particolare dalle formulazioni contenute nei verbali delle udienze del 20 settembre 2011 e del 22 novembre 2011 – cui la Corte ben può accedere tenuto conto della natura del thema decidendum – si rileva quanto segue: 1) all’udienza pubblica del 20 settembre 2011 il Tribunale verificò la costituzione delle parti e dichiarò la contumacia delle imputate; in quella stessa udienza il difensore rappresentò al giudice che era intervenuta remissione di querela ad opera della parte offesa (atto in quel momento irrilevante, posto che alle imputate risultava contestato il furto commesso in un supermercato, con l’aggravante dell’uso del mezzo fraudolento); il difensore chiese quindi un rinvio onde munirsi della procura speciale da parte delle imputate ai fini dell’accettazione della remissione della querela; il giudice, acquisita agli atti la remissione di querela, rinviò all’udienza del 22 novembre 2011; 2) in tale udienza, svoltasi nella già dichiarata contumacia delle imputate, il difensore, esibita la procura speciale ricevuta dalle imputate per l’accettazione della remissione della querela, chiese al giudice di pronunciare sentenza di proscioglimento, ex art. 129 c.p.p., per estinzione del reato per remissione della querela, previa qualificazione del fatto come furto semplice, ed esclusa quindi la contestata aggravante: Il pubblico ministero si oppose; il giudice – dopo la chiusura del dibattimento, pur in precedenza non formalmente dichiarato aperto (nel verbale di udienza, sia pure su modulo prestampato, si legge "dichiara chiuso il dibattimento": dicitura, questa, non depennata nè interlineata, ma integrata con l’indicazione dell’ora) – si ritirò alle ore 9,25 in camera di consiglio, e rientrò quindi in aula alle ore 9,30 dando lettura del dispositivo, con contestuale motivazione, della sentenza poi impugnata; 3) nella motivazione della sentenza, pronunciata ai sensi dell’art. 129 c.p.p. e art. 152 c.p., quanto alle ragioni addotte dal giudice a fondamento del convincimento così espresso, si legge testualmente quanto segue: "Ritiene il Tribunale che, dalla lettura della querela, il fatto denunciato possa essere qualificato come reato furto semplice e non possa ritenersi sussistente l’aggravante contestata non essendo indicato nella descrizione del fatto il mezzo fraudolento".

Ciò posto, a prescindere da ogni considerazione circa la valenza da attribuire al momento procedimentale in cui nella concreta fattispecie è stata pronunciata l’impugnata sentenza – e pur se si volesse altresì prescindere non solo dall’annotazione relativa alla dichiarata chiusura del dibattimento, muovendo dal rilievo che si è in presenza di mera formulazione contenuta in modulo prestampato, ma anche dalla intestazione della sentenza laddove non risulta depennata la dicitura "Sentenza a seguito di dibattimento" -risulta di palmare evidenza che si tratta di decisione alla quale non può assolutamente attribuirsi natura di sentenza predibattimentale; ed invero: 1) è stata comunque svolta addirittura una sorta di istruzione dibattimentale con acquisizione documentale; 2) il Tribunale è pervenuto alla sua decisione all’esito di un evidente apprezzamento di merito – a seguito della lettura della querela e del vaglio delle circostanze fattuali ivi indicate – circa la ritenuta insussistenza dell’aggravante ritualmente contestata con il capo di imputazione (occultando sotto gli indumenti i generi alimentari prelevati dagli espositori del supermercato, ed oltrepassando le casse dopo aver pagato regolarmente altra merce). Trattandosi di sentenza appellabile, il proposto ricorso deve essere quindi qualificato come appello, con conseguente trasmissione degli atti alla Corte d’Appello di Venezia per il giudizio di secondo grado.

Nè vale obiettare che in tal modo, non essendovi stata una piena istruttoria dibattimentale, le imputate risulterebbero sostanzialmente private di un grado di giudizio di merito: ed invero basta replicare che, ove il P.G. si fosse avvalso, quale mezzo di impugnazione, dell’appello, si sarebbe verificata la medesima situazione. Ed il convincimento del Collegio trova ulteriore riscontro nella disposizione di cui all’art. 604 c.p.p., comma 6:

"quando il giudice di primo grado ha dichiarato che il reato è estinto o che l’azione penale non poteva essere iniziata o proseguita, il giudice di appello, se riconosce erronea tale dichiarazione, ordina, occorrendo, la rinnovazione del dibattimento e decide nel merito". Giova al riguardo ricordare che anche di recente è stato ribadito il principio, già più volte enunciato in precedenza nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui "è legittimo, da parte del giudice di appello, nel caso in cui il giudizio di primo grado sia stato erroneamente pretermesso, lo svolgimento dell’intera gamma delle attività processuali non espletate in prime cure" (in termini, Sez. 2, n. 847 del 22/12/2011 Ud. – dep. 13/01/2012 – Rv. 251771; conf.: Sez. 3, n. 11039 del 28/10/1993 Ud – dep. 02/12/1993- Rv. 196596; si veda anche Ser. 6, n. 29639 del 09/06/2010 Ud. – dep. 27/07/2010 – Rv. 248191).

P.Q.M.

Qualificato il ricorso per cassazione come appello, dispone trasmettersi gli atti alla Corte d’Appello di Venezia.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2013

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